Gli amplificatori della paura. Quando l’altro diventa un nemico
Articolo di Ilvo Diamanti pubblicato su La Repubblica” del 17 agosto 2015
Vulnerabili. Assediati dal mondo che incombe. Sopra di (e intorno a) noi. È il nostro ritratto, delineato, un giorno dopo l’altro, dalla Lega. E, anzitutto, dal leader, Matteo Salvini. Che, a Ponte di Legno, nel tradizionale raduno estivo dei militanti padani, ha “promesso” di bloccare l’Italia per alcuni giorni, il prossimo novembre.
In segno di protesta. Contro l’invasione dei migranti. Una questione evocata anche dal M5s. In particolare, dal portavoce e megafono, Beppe Grillo. Si cerca, in questo modo, di amplificare la “paura degli altri” che ci invadono da Sud. Magrebini e nord-africani: scavalcano i muri, pardon: i mari.
A bordo di navicelle e barconi, guidati da pirati e briganti. E arrivano da noi, lasciando dietro di sé un numero innumerevole di morti. Annegati e abbandonati, senza sepoltura e con pochi rimpianti. Perché non possiamo e non dobbiamo rimpiangere chi se l’è cercata. Chi ha perfino pagato per intraprendere questa crociera dell’orrore. In fuga dalle guerre e dalla fame. E non possiamo rimpiangere chi non ha volto. Chi è senza biografia. E senza patria. (Altrimenti, perché lasciarla?).
Se gran parte di questi disperati parte dalla Libia, comunque, noi che c’entriamo? La Libia oggi è libera. Non c’è più il Tiranno. Anzi non c’è più nessun potere. Nessuna autorità. Non per nulla vi si è installato l’Is… Se i poveri ci invadono, noi ci dobbiamo difendere. Abbiamo impiegato decenni e decenni a conquistare il benessere. Dopo che i nostri avi — anche i miei — se ne sono andati altrove. Lontano.
Oltre oceano. Dove ci trattavano con diffidenza. Per questo oggi è giusto contrastare l’invasione. I nuovi barbari. Ed è giusto difenderci dal mondo. Non solo dall’Africa. Anche dall’Europa. Che ci impone le sue regole, le sue politiche. Ma non è disposta a condividere i costi delle scelte “comunitarie”.
L’Euro(pa). Una moneta senza Stato. Un Marco mascherato. Sul quale incombe il profilo minaccioso di Schäuble. Accanto a quello, non meno inquietante, della Merkel. Viviamo tempi difficili. E in-decifrabili. Dove si fatica a individuare il pericolo. A dargli un nome e un volto. Per questo la sfiducia cresce e si diffonde in modo rapido e profondo. Lo abbiamo già segnalato. Da gennaio ad oggi, il timore dell’immigrazione, in tema di sicurezza, è salito dal 33% al 42%, fra i cittadini (Sondaggio Demos, giugno 2015).
Contemporaneamente, nella percezione sociale, si assiste al declino di ogni istituzione e di ogni potere. La fiducia nell’Unione Europea, in particolare, è ormai ridotta al 27%. Mentre la convinzione che “stare nell’Euro”, per noi, sia vantaggioso è condivisa dall’11%. In meno di dieci anni, dunque, ci siamo trasformati nel popolo più euroscettico, mentre prima eravamo i più euro- entusiasti.
Il problema è che ci sentiamo in-difesi. Senza autorità che ci proteggano. Senza ideologie che ci offrano certezze. Ma soprattutto, senza frontiere. Perché senza confini perdiamo identità. E l’identità serve a distinguere (ciascuno di) noi dagli altri. Serve a capire di chi ci possiamo fidare. A separare gli amici dai nemici. Senza confini: non riusciamo più a riconoscere gli altri e noi stessi. E la globalizzazione ha complicato tutto. Perché — per citare Giddens — ha “stressato” il rapporto spazio-temporale.
La comunicazione globale, in particolare, ci fa sentire ancora più esposti, fragili. Inter-dipendenti dalle mille crisi — economiche, politiche, sociali — che, in ogni attimo, avvengono dovunque. Noi le percepiamo immediatamente. (Subito e senza mediazioni). E il nostro senso di im-potenza si moltiplica.
Figurarsi il flusso, quotidiano dei migranti. Seguito e amplificato, sui media, minuto per minuto, sbarco dopo sbarco, un morto dopo l’altro. La pietà? Quando non s- finisce nell’indifferenza (non ci possiamo far carico di tutti i problemi del mondo…), s-confina nell’ostilità. È un sentimento ir-razionale. Materia di fede. Se ne occupino Papa Francesco e Monsignor Galantino. “Pietosi” di professione. Basta che poi non pretendano di rovesciare su di noi la loro Caritas ir-responsabile.
Per questo — ci esortano Salvini, ma anche Grillo e altre grida di “all’armi” — dobbiamo reagire: contro ogni invasione. Che provenga dal Nord Africa, da Bruxelles o da Berlino. Prendiamo esempio dalla Gran Bretagna, disposta a bloccare il tunnel della Manica. Pur di arrestare l’invasione e difendere i propri “confini”. La propria identità. Anche noi, sostiene Salvini, per tornare “padroni a casa nostra”: presidiamo le frontiere. I mari del Sud. Allarghiamo le distinzioni e le distanze dall’Europa.
Ma, seguendo questo percorso logico e politico (non, per carità, politologico), potremmo spingerci perfino oltre. Oltre lo stesso Salvini, che vorrebbe conquistare il Sud e Roma, con la sua Lega Nazionale. Meglio, invece, rilanciare la Questione Meridionale. Per rammentare che l’Italia non esiste. È un’invenzione. Esistono, semmai, le Italie. La più affluente e sviluppata: il Nord. Pardon: la Padania. Perché dovrebbe pagare i costi “dei” Sud?
Noi, orfani di frontiere e confini, di bandiere e ideologie. Oggi non sappiamo più chi siamo. Molto meglio, allora, seguire l’esempio di Viktor Orbán. Un faro. Il premier dell’Ungheria, per fermare i profughi, ha avviato la costruzione di un muro. Lungo i confini con la Serbia.
Per difenderci dal Mondo, allora, erigiamo anche noi — non uno, ma — molti muri. Lungo le coste del Sud. Anche in Italia. Per difenderci dal “nostro” Sud. E visto che tutto è cominciato nel 1989, ricostruiamo il muro di Berlino. Neutralizzerà la Germania. E ci restituirà un mondo “finito”. Diviso. Un mondo più sicuro.
Prima di allora, però, avvertitemi. Preferisco emigrare.