Gli effetto deleteri generati dalla negazione dell’omosessualità nel clero cattolico
Articolo di Josselin Tricou* pubblicato sulla rivista Sociologie (Francia), 2018/2 (Vol. 9), pp. 131-150, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro, parte undicesima
Tuttavia, voler vedere delle prove di una intenzionalità dell’istituzione [di squalificare l’omosessualità e gli studi di genere] basandosi sulle intenzioni di uno dei suoi membri, per quanto centrale e con molti incarichi come padre Anatrella, è rischioso, ma è possibile mostrare gli effetti che hanno sui sacerdoti queste reazioni della Chiesa, attraverso i molti fatti che costellano la mia ricerca.
La maggior parte dei sacerdoti da me intervistati considera la decisione del 2005 inapplicabile nei seminari – perché richiederebbe una selezione molto rigorosa, con il rischio di danneggiare molti candidati -, ma suscettibile di influenzare chi è già ordinato, o chi sta svolgendo un periodo di discernimento.
Allo stesso modo, la comparsa, con le manifestazioni del 2013, della crociata anti-gender negli ambienti cattolici francesi, ha significato, per molti cattolici francesi, essere intrappolati in una quasi istantanea politicizzazione dell’omosessualità. La Manif pour tous [1] ha usato il tema omosessuale come “proposta d’impegno” verso i membri delle classi dirigenti che sostenevano il movimento, e che prima d’allora si definivano “apolitiche politicizzate”, ma ha finito per essere un’occasione, per alcuni cattolici “moderati” che all’inizio erano incerti sulla tematica, per schierarsi contro.
I sacerdoti hanno pagata cara tale politicizzazione, come quel sacerdote gay che da anni aveva una relazione con un uomo, e che era molto scrupoloso in fatto di liturgia, che si è sentito obbligato, per poter proteggere il suo “nascondiglio”, a leggere dal pulpito una lettera del suo vescovo, con la quale invitava i fedeli della sua diocesi a unirsi alla Manif pour tous.
O come quel sacerdote etero il quale, essendo “progressista”, ha deciso di invitare, durante l’omelia, alla tolleranza verso le varie forme di coniugalità, proprio nel bel mezzo della lotta attorno alla Manif pour tous, e che per questo è stato segnalato da alcuni parrocchiani al proprio vescovo, perché sospettato di omosessualità.
Questo spiega anche il fatto che mi è accaduto durante una settimana di osservazione etnografica in un seminario francese. La comunità scoprì che “facevo gender” in base alle informazioni ricevute da un sacerdote di un’altra comunità in cui avevo condotto uno studio.
La sera stessa i seminaristi stamparono tutto ciò che poterono trovare su di me nel Web e lo consegnarono al rettore. Il giorno dopo venni sommerso da domande aggressive, e uno dei seminaristi arrivò al punto di abbandonare la sala prima della fine del pasto, tremante e rosso di rabbia.
Uno dei giovani sacerdoti presenti, che due giorni dopo, una volta che le sue “paure” si erano più o meno placate, accettò di parlare con me, mi disse: “È vero che siamo tutti in preda al panico, perché lei vuole dimostrare che la nostra identità sessuale non è chiara, e questo non è bene, quand’anche fosse vero, perché ferirebbe la Chiesa a cui lei appartiene!” (Intervista informale con padre Enguerrand, sacerdote all’ultimo anno di studi, 32 anni).
Possiamo notare anche qui la necessità di salvare l’istituzione. Il rettore del seminario, qualche tempo dopo la mia partenza, sentì il bisogno di dirmi, come per onorare i principî cattolici della fraternità e dell’ospitalità: “Forse lei era il diavolo che non avevamo il diritto di buttare fuori, ma vedo che, dopo, nessuno le ha più concesso un’intervista” (intervista informale con padre Albert, tutor del seminario, 62 anni).
Più in generale, se si guarda alla scena cattolica attraverso la lente della polarizzazione tra apertura e identitarismo già citata, è chiaro che il secondo si basa sul desiderio di migliorare l’immagine del sacerdote agli occhi dei laici creando un’impressione di mascolinità e di eterosessualità. In un’altra comunità, tipica espressione del cattolicesimo identitario, il rettore ha così risposto alla mia domanda falsamente innocente sul sospetto di omosessualità che grava sui sacerdoti cattolici:
“Be’… le critiche del mondo… per molto tempo i preti sono stati come dei nerd! E i nerd, be’, il loro punto di forza è… non sviluppato allo stesso modo, ma… non so se riesco a spiegarlo, ma… be’… io, non ho mai pensato… se sono gay o no. Per me, è… be’, ciò che conta è che è… dopo, quello che diventano”.
Io: Ma comunque dal 2005!
“Sì, sì! Ma, prima di tutto, sono sinceri… dicono le cose giuste! Be’, questo documento, questo documento di Roma… e poi, dopo, be’… è tutto… dopo, è vero, quando vivi in un mondo omo-sessuale [separa in maniera distinta le due parti], come un seminario o un monastero, be’… devi stare attento a non diventare troppo sensibile! Perciò abbiamo questo lato che è un po’, un po’ rozzo e duro! [Andiamo avanti a parlare sui metodi di insegnamento dei seminari.] È necessario… e li rimette al loro posto.” (Padre Albéric, rettore di un seminario, 40 anni)
Qui possiamo vedere che la negazione della potenziale omosessualità degli studenti del suo seminario trae forza dalla confusione tra sessualità ed espressione corporea di genere, o piuttosto dalla convinzione di uno stretto collegamento tra evidente mascolinità ed eterosessualità maschile, una tipica convinzione eteronormativa che è ancora più evidente nelle parole dei seminaristi, come se il genere determinasse in maniera meccanica l’orientamento sessuale, come se credessero (o si sforzassero in tutti i modi di credere) che questo semplifichi il problema, che un’ovvia mascolinità rimuova ogni sospetto:
“È chiaro che in questa casa non è assolutamente un problema, secondo me. Chiaramente, se sei omosessuale non puoi fare il prete! E questa casa lo ha riconosciuto. Noi obbediamo alla Chiesa. So bene che ci sono altri seminari, da altre parti, che non prendono così sul serio questa regola interna della Chiesa. Ma come faccio a sapere che qui è stata presa sul serio? Be’, non ne ho mai incrociato uno! Anche se è una cosa che si vede subito! È una cosa che si vede molto chiaramente!” (Louis, seminarista al quinto anno, 30 anni).
“Li sgami subito! E in ogni caso, se ne vanno di loro spontanea volontà!” (Alban, seminarista al quinto anno, 38 anni).
Ma tali osservazioni contrastano con quelle del tutor di questo seminario, aderente al cattolicesimo aperto:
“No, be’, tutti conoscono il fondamentalismo di Benedetto XVI e di Anatrella! Non voglio psicanalizzare Benedetto XVI. Per quanto riguarda Anatrella […] è così che copre la sua, di omosessualità… È così! Nessuno crede a questa retorica, perlomeno non nei seminari.
Comunque, ho fatto parte di due gruppi didattici in due seminari, e posso parlare anche del seminario [X], che conosco abbastanza bene, e credo anche del seminario [Y], perciò sono quattro seminari, ehm… e anche altri, perché ci incontriamo regolarmente con i tutor di altri seminari. Perciò, nessuno crede in queste cose! Nessuno!
E tutti hanno sempre pensato che dare la caccia ai preti gay non avesse senso, tutti tranne i fondamentalisti, i complottisti, i sicofanti e gli omosessuali repressi. Perlomeno, se la gente ci credesse, ci sarebbero pochi preti gay, invece ce n’è un’infinità.
No, nessuno ha mai creduto a quella retorica! Magari oggi c’è qualche giovane sacerdote che è fanatico di quella ideologia, che diffonde quella retorica, ma il clero, fino ad ora, l’ha sempre disprezzata!” (padre Jean-Marc, tutor di un seminario, 60 anni).
[1] Il movimento francese di protesta contro il matrimonio omosessuale.
Testo originale: Recreating “moles”: Managing homosexual priests’ silence in an era of gay marriage