Gli internati omosessuali delle Tremiti. Una storia dimenticata
Articolo di Alan Johnston tratto dal sito della BBC (Gran Bretagna), del 19 giugno 2013, liberamente tradotto da Dino
Settantacinque anni fa, nell’Italia fascista di Benito Mussolini, un gruppo di uomini omosessuali, definiti “degenerati”, furono allontanati dalle loro case e internati in un’isola, dove vennero sottoposti ad un regime carcerario. Alcuni di essi, tuttavia, vissero come un’esperienza liberatrice la vita in questa prima comunità italiana apertamente omosessuale.
Ogni estate i turisti sono tentati dalla bellezza di un piccolo gruppo di isole rocciose nel mar Adriatico. Ma di recente un gruppo di visitatori è giunto all’arcipelago delle Tremiti non tanto per godere della pace e della tranquillità di questo luogo remoto, ma per ricordare. Si trattava di attivisti per i diritti di gay, lesbiche e transgender. Sono arrivati sul posto per celebrare una piccola cerimonia, durante la quale hanno rimarcato il vergognoso episodio che avvenne nelle isole più di settant’anni fa.
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“Un regime virile”
Nel decennio del ’30 l’arcipelago servì al piano messo in atto dai fascisti di Benito Mussolini per reprimere l’omosessualità. Gli uomini omosessuali minavano l’immagine che il Duce voleva diffondere della virilità italiana.
“Il fascismo è un regime virile. (In questo contesto) gli italiani devono essere forti, mascolini ed è impossibile che possa esistere l’omosessualità in un regime fascista”, afferma il professore di storia dell’Università di Bergamo, Lorenzo Benadusi.
Cosicché la strategia fu quella di nasconderla il più possibile. Non furono promulgate leggi discriminatorie, ma venne creato un clima in cui le palesi esibizioni di omosessualità erano represse con forza.
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A 600 km da casa
Un prefetto di polizia della città siciliana di Catania utilizzò in modo pesante questa linea d’azione. “Abbiamo notato che molti balli, spiagge e luoghi nelle montagne accolgono molti di questi uomini malati, e che giovani di tutte le classi sociali cercano la loro compagnia”, scriveva.
Diceva di essere deciso a metter termine al “propagarsi di questa degenerazione” nella sua città “o almeno a contenere qualsiasi aberrazione sessuale che offende la morale e che risulta disastrosa per la salute pubblica e il miglioramento della razza”. E diceva anche: “Questo male dev’essere attaccato e bruciato dall’interno”. Cosicchè nel 1938 a Catania furono imprigionati 45 uomini che si credeva fossero omosessuali e mandati al confino. Finirono a circa 600 km di distanza, sull’isola di San Domino, nelle Tremiti.
Questo episodio è stato in buona parte dimenticato. Si pensa che nessuno di quelli che subirono questo castigo sia ancora in vita, e ci sono pochi racconti dettagliati di ciò che avveniva in quel luogo.
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“Le bimbe”
Ma nel libro “L’isola e la città”, gli investigatori Gianfranco Goretti e Tommaso Giartosi parlano di decine di uomini, non tutti di Catania, costretti a vivere in dure condizioni a San Domino. Arrivavano ammanettati. Poi venivano sistemati in grandi e spartani dormitori, senza elettricità né acqua corrente. “Ci incuriosiva il fatto che venissero chiamati ‘le bimbe'”, dice Carmela Santoro, un’isolana che era appena una bambina quando gli esiliati iniziarono ad arrivare…
“Andavamo a vederli sbarcare dal canotto… vestiti in estate con pantaloni bianchi e con cappelli. E osservavamo con meraviglia, ‘guarda quella, guarda come si muove!’, ma non avevamo nessun contatto con loro”.
Un altro isolano, Attilio Carducci, ricorda come, alle 8 di sera, ogni giorno, suonava una campana che indicava il momento in cui non potevano più uscire. “Restavano rinchiusi nei loro dormitori, vigilati dalla polizia”, dice. “Mio padre parlava sempre bene di loro. Non aveva nulla di male da dire di essi, e lui era il rappresentante locale del fascismo”.
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Orazio L.
I prigionieri sapevano che mettere in piazza la propria omosessualità avrebbe causato vergogna alle loro famiglie in casa, nei paesi e nei villaggi estremamente conservatori. Si può leggere qualche accenno di questo in una lettera di un pastore siciliano che quando venne detenuto stava preparandosi a diventare prete. Pregando le autorità giudiziarie perché lo lasciassero andare a casa, scriveva: “Immagini, Sua Signoria, il dispiacere del mio amato padre. Che disonore! Al confino per cinque anni. Al solo pensiero impazzisco!”
Il prigioniero, identificato solo come Orazio L. chiese che gli venisse concesso di lasciare l’isola e di “servire la Patria” nell’esercito. “Trasformarmi in un soldato e ritornare in seminario per vivere in ritiro è l’unico modo per riparare a questo scandalo e disonore per la mia famiglia”, scrisse.
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Giuseppe B.
Ma alcune testimonianze degli esiliati lasciano intendere che la vita a San Domino non fosse poi tanto male. Sembra che il regime carcerario fosse relativamente rilassato nella quotidianità. Involontariamente i fascisti hanno creato un angolo di Italia dove si poteva essere apertamente omosessuali. Per la prima volta nella loro vita questi uomini furono posti in un luogo in cui potevano essere se stessi, liberi dallo stigma che normalmente li accompagnava nella devota Italia degli anni 30.
Un’eccezionale intervista con un veterano di San Domino citato soltanto come Giuseppe B., pubblicata molti anni fa sulla rivista gay Babilonia, fa capire ciò che questo significava per gli esiliati. Giuseppe B. diceva in quella circostanza che in qualche modo si trovavano meglio sull’isola (rispetto a come stavano prima). “A quel tempo se eri una ‘femmenella’ (un termine del gergo italiano per indicare un uomo gay) non potevi nemmeno uscire di casa, farti notare; la polizia ti avrebbe arrestato”, diceva parlando della sua città natale, Napoli.
“Invece sull’isola festeggiavamo il giorno dei nostri onomastici o l’arrivo di qualcuno nuovo… Facevamo teatro e potevamo vestirci da donne e nessuno diceva niente”. Raccontava anche che, naturalmente, c’erano storie d’amore e anche lotte per gli amanti. Alcuni prigionieri piansero, ricordava Giuseppe, quando lo scoppio della II Guerra Mondiale nel 1939 segnò la fine del regime di confino a San Domino e gli uomini dovettero ritornare a una specie di arresti domiciliari nei luoghi dai quali provenivano.
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Non è finita
Alcuni uomini omosessuali furono internati insieme a prigionieri politici in altre piccole isole, come Ustica e Lampedusa. Ma San Domino è stata l’unica dove tutti gli esiliati erano omosessuali. È profondamente ironico che nell’Italia di allora potessero trovare un certo grado di libertà soltanto in un’isola-prigione. Il gruppo di attivisti per i diritti di gay e lesbiche che si è riunito nell’arcipelago, alcuni giorni fa ha posto una targa in memoria degli esiliati. Sarà una memoria permanente della persecuzione degli omosessuali da parte di Mussolini.
“Questo è necessario perché nessuno parla di quanto successe in quegli anni”, ha detto uno degli attivisti, il parlamentare italiano Ivan Scalfarotto.
E la sofferenza non è ancora cessata per la comunità omosessuale italiana, fa notare. Adesso non vengono ammanettati e mandati alle isole, ma a tutt’oggi non sono considerati cittadini “di prima classe”.
Scalfarotto dice che in Italia non c’è ancora un vero stigma sociale associato all’omofobia e che lo Stato non riconosce diritti legali a nessun tipo di coppia gay o lesbica. Quindi la loro lotta per l’uguaglianza continua…
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Testo originale: La isla gay creada por el fascismo en Italia