Gli Scout Agesci e l’omosessualitá. Storia di un cambiamento in corso
Riflessioni di Massimo Battaglio
Sulle colonne de L’Avvenire, Luciano Moia ci informa che gli Scout hanno iniziato un dibattito interno sull’omosessualità.
“È nato, nel giugno dello scorso anno, un percorso di ascolto tra gli oltre 30mila capi scout dell’Agesci. Nessun programma predefinito, nessuna ricetta già preconfezionata. Ma un autentico itinerario che mette al centro il desiderio di ascoltare la realtà, senza pregiudizi, senza soluzioni già scritte.
Una Commissione istituita dal Consiglio Generale, di cui fanno parte alcuni capi e assistenti ecclesiastici, oltre a un esperto esterno – il gesuita padre Pino Piva – ha predisposto una lettera con lo scopo di promuovere la raccolta di testimonianze scritte di quanti, in Agesci, desiderano condividere la loro esperienza”.
“Ai primi di giugno, durante l’assemblea del Consiglio Centrale già programmata a Sacrofano, a Nord di Roma, si valuterà quanto emerso e si deciderà come andare avanti”.
Sembra, anzi è, una cosa seria. Tant’è vero che, per la prima volta, l’Agesci ha deciso di farsi accompagnare nel suo percorso da un esperto da sempre vicino alla comunità LGBT+, padre Pino Piva. E’ però utile ripercorrere un po’ di storia per capire come mai gli scout abbiano deciso di intraprendere un percorso così serio e complesso sui nostri temi.
Sopriremo che non è un tema nuovo e che, negli ultimi vent’anni, l’Agesci, sulla questione omosessuale, ha avuto posizioni altalenanti quando non burrascose. E’ proprio da questa storia che nasce l’esigenza di fare sintesi una volta per tutte, non rimandando più una discussione non più rimandabile.
2002: Il “Caso Bucaioni”
Qualche tempo fa, avevo già affrontato il caso del mio amico Stefano Bucaioni, scout di Perugia che, nel 2002, era stato degradato e, di fatto, cacciato dall’associazione in seguito al proprio coming out. Ne aveva parlato col suo gruppo, col quale sembravano non esserci problemi. Rimandata però la questione ai responsabili regionali, gli era stato risposto: “la responsabilità di educatore non è compatibile con l’omosessualità”. Da lì, una serie di provvedimenti si susseguirono fino a causare la sua uscita dall’Agesci.
Di Stefano, si parlò sui giornali non solo locali. La sua storia però non fece fare alcun passo avanti.
2011: “Omosessualità, nodi da sciogliere nelle Comunità Capi”. Un seminario di studio.
Il 12 novembre 2011, a Roma, il Consiglio Nazionale Agesci tenne un seminario in cui, per la prima volta, si tentava di parlavare sistematicamente di omosessualità: “Omosessualità, nodi da sciogliere nelle Comunità Capi”. Le posizioni però non mutarono. I tre relatori invitati non fecero che ribadire le posizioni ufficiali della Chiesa di quel tempo. E le argomentazioni lasciavano anche piuttosto desiderare. Padre Francesco Compagnoni disse, per esempio:
“E’ evidente che una persona omosessuale da sempre, con la tendenza profondamente radicata, si trova generalmente in difficoltà col proprio sesso”.
E più avanti:
“Le persone omosessuali adulte che hanno una tendenza innata (e forse predominante) costituiscono, per i ragazzi loro affidati, un problema educativo. Sappiamo che gran parte dell’effetto educativo dipende dall’esemplarità (anche inconscia) dell’adulto”.
Eccetera. Faceva eco il dott. Contardo Seghi, dichiarando:
“Nella mia esperienza professionale, nei molti casi di omosessualità femminile che ho incontrato, ho potuto constatare che, molto spesso, queste donne avevano incontrato maschi brutali”.
Vi furono reazioni infuocate, non solo per la mancanza di dialogo dimostrata ma soprattutto per l’arretratezza scientifica delle posizioni espresse. L’Agesci precisò che non si trattava di posizioni dell’associazione ma solo dei relatori. Intanto, erano stati invitati quei relatori lì e non altri. E due su tre avevano una lunga esperienza da scout.
2012: Un’esperienza personale
Nel 2012 fui invitato a una serata organizzata a Ivrea sul tema fede-omosessualità. C’era un docente della diocesi, una pastora valdese, e c’ero io. Lui disse le solite bestialità; lei ribattè che, dalle sue parti, era tutto diverso (praticamente rose e fiori raimbow); io mi limitai a portare la mia esperienza.
Era presente un gruppo scout locale. Al termine del simposio, mi avvicinarono per insegnarmi che non dovevo preoccuparmi troppo. A loro insindacabile giudizio, io ero sicuramente una brava persona; semplicemente non ero cattolico. Perché, per definirsi cattolici, bisogna seguire il Catechismo, che dice bla bla bla.
Vabbè, erano gli anni ruggenti di Benedetto XVI e, soprattutto tra i giovani, quella era un’opinione comune. A nessuno sfiorava il dubbio che il Catechismo, opera magna del card. Ratzinger, fosse più sacro (e più comodo) del Vangelo. Ma quel gruppo di ragazzi mi impressionò.
Oggi avranno una trentina d’anni e molti di loro saranno sposati (chissà se in chiesa o, magari, secondo l’istituto delle Unioni Civili). Forse, un giorno il buon Dio donerà loro un figlio omosessuale. Sono sicuro che sarebbe un’esperienza bellissima.
2014: La Carta del Coraggio: “Diritti al Futuro”
Quasi inaspettatamente, nell’estate 2014, gli scout partecipanti alla Rout Nazionale scrissero un documento che avrebbe voluto segnare un taglio con le esperienze pregresse: la Carta del Coraggio. Un capitolo era dedicato proprio all’omosessualità e sembrava una dichiarazione in appoggio al ddl Cirinnà (e forse lo era). Si leggeva:
“Chiediamo all’Agesci di allargare i propri orizzonti affinché tutte le persone – indipendentemente dall’orientamento sessuale – possano vivere l’esperienza scout e il ruolo educativo con serenità senza sentirsi emarginati. Chiediamo inoltre all’Agesci che dimostri maggiore apertura riguardo a temi quali omosessualità, divorzio, convivenza, attraverso occasioni di confronto e di dialogo, diventando così portavoce presso le Istituzioni civili ed ecclesiastiche di una generazione che vuole essere protagonista di un cambiamento nella società. A questo proposito, chiediamo alla Chiesa di accogliere e non solo tollerare qualsiasi scelta di vita guidata dall’amore”.
E ancora:
“Chiediamo che l’Agesci non consideri esperienze di divorzio, convivenza o omosessualità invalidanti la partecipazione alla vita associativa e al ruolo educativo, fintanto che l’educatore mantenga i valori dell’integrità morale”.
E infine:
“(chiediamo) alla Chiesa di mettersi in discussione e di rivalutare i temi dell’omosessualità, convivenza e divorzio, aiutandoci a prendere una posizione chiara;
(chiediamo) che lo Stato porti avanti politiche di non discriminazione e accoglienza nei confronti di persone di qualunque orientamento sessuale, perché tutti abbiamo lo stesso diritto ad amare ed essere amati e che questo amore sia riconosciuto giuridicamente affinché possa diventare un valore condiviso”.
Il vento era cambiato. Naturalmente, alcuni gruppi scout, ex capi e assistenti religiosi si affrettarono anche questa volta a reclamare che non si trattava di dichiarazioni ufficiali. Si vede che le Route Nazionali sono un po’ un gioco. Ci si educa ai rituali della democratizia ma poi… Intanto, ciò che è scritto, è scritto.
2016: La lettera dei centotrenta
A gennaio 2013, gli scout, come tutti i gruppi cattolici, furono calorosamente invitati a partecipare al family day. Centrotrenta capi pubblicarono una lettera aperta indirizzata ai vertici del movimento, in cui si felicitavano per non aver accettato l’invito:
“Constatiamo con profonda gioia che l’associazione non prenderà parte all’evento del Family Day”
Ma aggiungevano:
“Purtroppo questo non basta”. “Si deve iniziare un cammino ed un confronto con lo scopo ultimo di prendere una decisione di coraggio su tale argomento. Interroghiamoci su cosa sia una famiglia, incontriamo le famiglie arcobaleno, confrontiamoci con associazioni quali Nuova Proposta che raggruppano i cattolici omosessuali”
Gli echi della Carta del Coraggio si facevano sentire. Ma soprattutto, sia il rifiuto a partecipare al family day, e sia la lettera dei centotrenta, avvertivano che gli scout non vivono fuori del mondo e che il loro motto è il cammino, non lo stare fermi.
2017: il caso di Staranzano
Nel giugno 2017, un nuovo caso costrinse gli scout a fare i conti coi temi LGBT+. Il capo scout Marco Di Just, a Staranzano, in provincia di Gorizia, aveva sposato il suo fidanzato. L’ira del parroco locale non si era fatta attendere. Il reverendo aveva preteso che Marco si dimettesse e lasciasse lo scoutismo.
Naturalmente, i compagni di Riparto gli risposero che non se ne parlava proprio e gli ricordarono che non aveva alcuna autorità per pretendere robe del genere. Tra l’altro, non era neppure il loro assistente religioso (incarico in capo al viceparroco). Lui rincarò la dose e si rivolse al vescovo. Ottenuta una risposta in cui lo si invitava a smorzare i toni, si mise a smadonnare pure contro il presule.
Dopo un anno di battibecchi, don Francesco Fragiacomo (così si chiamava il parroco) si arrese rassegnando le dimissioni. La cosa non fece gran notizia ma, tra gli scout di Staranzano, fu accolta come una vittoria.
Potremmo aggiungere
Da allora, la linea dei vari gruppi scout sull’omosessualità e la transessualità è davvero cambiata. Molti gruppi hanno iniziato a confrontarsi sinceramente sul tema fede/omosessualità e, prima ancora, sull’omosessualità in sé.
Io stesso, come tanti de La Tenda di Gionata, siamo stati chiamati spesso a intervenire in qualche incontro, e sono sempre stati bei momenti. Diversi gruppi hanno preso a partecipare ai pride.
E’ evidente che l’attuale dibattito promosso dal Consiglio Nazionale dell’Agesci vuole arrivare a fare sintesi di un percorso travagliato ma interessante. Sa che è urgente. Se, qualche anno fa, c’era il timore che qualche genitore o qualche prete si sarebbero ribellati all’idea che gli scout “promuovessero il gender”, oggi è il contrario.
Continuare ad assumere posizioni neutrali, non è possibile. Si finirebbe per essere scambiati per omofobi. E questo causerebbe sicuramente gravi defezioni e significativi cali di iscrizioni.
C’è però ancora un nodo da sciogliere: quegli slogan ripetuti come “non servono posizioni ideologiche” o “ci vuole discernimento”. Cosa vuol dire “posizioni ideologiche”? Noi siamo persone, mica idee. E cosa significa “discernimento”? Che bisogna distinguere il gay buono da quello cattivo e includere il primo cacciando il secondo?
Quando in un gruppo giovanile cattolico, che sia scout o no, qualcuno si sposa, non si fa mica tutto questo “discernimento”. Scatta immediatamente l’entusiasmo collettivo. Si sceglie il regalo dopo lunghe discussioni, si provano i canti almeno tre volte, si decidono i doni da portare all’offertorio e si scrivono enciclopedie di intenzioni di preghiera da leggere durante la cerimonia. A nessuno salta in mente di interrogarsi sull’amore dei nubendi. Lo si dà per scontato – a volte, anche troppo.
Perchè mai, se invece uno del gruppo dichiara di essersi fidanzato con una persona del suo stesso sesso, bisogna “discernere”? E’ possibile che, ancora nel 2023, si possa dubitare che tra due uomini o tra due donne ci possa non essere amore?