Gli scout cattolici aprono alla possibilità di avere capi gay, divorziati e risposati
Articolo di Michele M. Ippolito pubblicato sul sito fanpage.it il 21 ottobre 2014
I ragazzi dell’Agesci chiedono allo Stato di riconoscere le unioni gay ed alla Chiesa di rivedere le proprie posizioni “perché tutti abbiamo il diritto di amare e di essere amati”.
Gli scout cattolici italiani chiedono allo Stato di riconoscere le unioni gay ed alla Chiesa di rivedere le proprie posizioni su omosessuali e divorziati.
I vertici nazionali dell’Agesci, Associazione Guide e Scout Cattolici Italiani, 180mila iscritti nel Paese, hanno infatti ratificato negli scorsi giorni la Carta del Coraggio, redatta alla fine della Route Nazionale tenuta a San Rossore lo scorso agosto, con la presenza di 33mila ragazzi ed ospiti di primo piano, tra cui il presidente del Consiglio Matteo Renzi, che è lo scout più famoso d’Italia.
I giovani chiedono alla stessa Agesci di “allargare i propri orizzonti affinché tutte le persone, indipendentemente dall’orientamento sessuale, possano vivere l’esperienza scout e il ruolo educativo con serenità, senza sentirsi emarginati”, dunque di consentire ad omosessuali dichiarati di svolgere il ruolo di capo, ma anche di “non considerare esperienze di divorzio, convivenza, omosessualità invalidanti la partecipazione alla vita associativa e al ruolo educativo, fintanto che l’educatore mantenga i valori dell’integrità morale.” Una prospettiva inconciliabile con quella della Chiesa cattolica, che ritiene di per sé moralmente non integri comportamenti omosessuali, il divorzio e la convivenza.”
Gli scout continuano chiedendo alla Chiesa, intendendo con questo termine generico il Vaticano, di “mettersi in discussione” rivalutando “i temi dell’omosessualità, convivenza e divorzio”, mentre allo Stato è chiesto di riconoscere giuridicamente le associazioni omosessuali “perché tutti abbiamo il diritto di amare ed essere amati.” In realtà, già oggi non è precluso ad omosessuali, divorziati e conviventi di operare come capi educatori di ragazzi, ma si raccomanda loro di “evitare comportamenti eccessivi”, cioè di non “dare nell’occhio”, o, meglio ancora, di non rendere pubblica la loro condizione ai ragazzi che sono chiamati a seguire.
La presentazione ufficiale del documento è firmata anche da don Giovanni Gallo, assistente ecclesiastico nazionale dei gruppi di ragazzi tra i 16 ed i 21 anni. “La Carta del Coraggio – scrive don Gallo insieme a Elena Bonetti e Sergio Bottiglioni, capi scout dell’Agesci – andrà consegnata alle istituzioni locali, alla Chiesa e alle realtà dei singoli territori in maniera coordinata all’interno di un percorso condiviso a livello di zona e coordinato a livello regionale. Siamo certi che tutti sapremo essere custodi di questo percorso, valorizzando le parole nuove che i ragazzi ci hanno detto.”
Parole nuove che secondo alcuni sono, però, in netto contrasto con il Patto Associativo dell’Agesci, che si basa sul concetto di “coeducazione” come strumento per “crescere insieme” aiutando “a scoprire ed accogliere la propria identità di donne e uomini” e che porta l’associazione ad applicare la “diarchia”, ovvero che ogni incarico in associazione, ad ogni livello, è affidato contemporaneamente ad un uomo e ad una donna.
Inoltre, punto fondamentale del Patto Associativo è la scelta cristiana: “Ci sentiamo responsabili, da laici e con il nostro carisma e mandato di educatori, di partecipare alla crescita di questo corpo che è la Chiesa, popolo di Dio che cammina nella storia. – è scritto – Operiamo in comunione con coloro che Dio ha posto come pastori e in spirito di collaborazione con chi si impegna nell’evangelizzazione e nella formazione cristiana delle giovani generazioni, anche partecipando alla programmazione pastorale.” Se la formazione cristiana è un veramente un aspetto nodale del messaggio dell’Agesci risulterà difficile, in futuro, conciliare il Patto Associativo e le nuove linee guida decise a San Rossore.
C’è chi esulta per la scelta, come Roberto Borraccia, ispettore di polizia e capo del gruppo scout Bari 13, un gruppo che raccoglie decine di ragazzi in una zona di frontiera, per il quale quella della Carta del Coraggio “è’ una scelta inclusiva, avanzata, in linea con il nuovo corso di papa Francesco, che bene ha fatto a non intervenire alla Route per lasciare l’iniziativa alla “base” piuttosto che ai vertici della Chiesa. Le scelte compiute non possono comprendersi senza essere stati all’interno della discussione e senza accettare il fatto che la Carta del Coraggio diventerà nel medio termine, il nuovo Patto Associativo.”