La violenza tra i banchi di scuola si combatte a partire dall’educazione
Riflessioni del pastore battista Massimo Aprile andata in onda nella trasmissione Culto Evangelico su Radio 1 il 19 aprile 2015
Care ascoltatrici e ascoltatori, ascoltate questa testimonianza. “Più volte ero stato accusato di essere gay dai miei compagni di scuola. E tutto questo perché mi rifiutavo di partecipare ai commenti sessisti o agli insulti espliciti verso le ragazze. Il mio atteggiamento, anche per l’educazione ricevuta, mi faceva rifuggire i comportamenti aggressivi del branco. E proprio per questo diventavo, spesso, io stesso vittima del bullismo dei miei coetanei.
Una volta, forse anche per rompere l’isolamento, accettai di andare ad una festa a casa di uno di loro. Oltre me c’era anche una ragazza che aveva accettato di partecipare forse per ragioni simili alle mie. Ad un certo punto, complice la musica e qualche bicchiere, la ragazza cominciò a fare una specie di spogliarello, al quale francamente mi parve più che altro costretta. I ragazzi guardavano e incitavano. Poi cominciarono a metterle le mani addosso. Ma la ragazza si ritrasse.
A quel punto sentii un forte disgusto e feci per andarmene e anche la ragazza decise di venire via con me. La reazione imbufalita del gruppo investì entrambi. Io fui accusato di essere frocio e lei puttana. Tememmo il peggio, ma ci lasciarono andare. Il giorno dopo in classe sulla lavagna, trovammo i nostri nomi, accompagnati da insulti irripetibili. Ci fu una denuncia al preside e anche alla magistratura ma senza alcun esito.
Ricordo con quanta veemenza intervennero i genitori a difendere i loro figli, tanto perbene. Ho ripensato spesso a quegli anni. Se non avessi avuto dei genitori che mi avevano insegnato che esistono altri modi di essere maschi che non comprendono il sessismo e la prepotenza, probabilmente sarei rimasto anch’io fagocitato da quella mentalità”.
Fin qui, la testimonianza, in parte camuffata, di un episodio realmente accaduto, con esiti non tragici per fortuna, simile a tanti altri che, raramente, occupano la cronaca minore dei giornali. Tutto ciò per ricordare il ruolo che tutti abbiamo come educatori, genitori e insegnanti, per fare in modo che i nostri ragazzi ricevano testimonianza di modelli maschili che non siano segnati dal cliché del maschio virile, che non deve “chiedere mai”, spinto a declinare la propria identità di genere in termini di forza fisica e capacità di prevaricazione sugli altri.
Chissà se ci fosse stata una lavagna ai tempi di Gesù, che cosa vi avrebbe trovato scritto il giorno dopo la sua difesa della donna adultera, che uomini bellicosi erano sul punto di lapidare. Purtroppo, le chiese non sempre sono state luogo di rispetto reciproco tra i sessi e certi modelli paternalistici e prepotenti si sono affermati e sono stati tollerati con silenzio complice anche tra noi. È ora di cambiare. È ora di soffermarci a guardare quel Posto occupato (1) che nelle nostre chiese riserviamo ormai da un po’ di tempo alla memoria delle donne uccise dalla brutalità degli uomini.
Quel posto solamente occupato da una sciarpa o da una borsa rossa è il promemoria del nostro impegno per un percorso educativo e di rinnovamento che ci porti a vincere modelli maschili basati sulla forza fisica e ad affermare quella verità evangelica per la quale – come scriveva l’apostolo Paolo 2000 anni fa – in Cristo siamo uno e non c’è né Giudeo, né Greco, né schiavo, né libero, né maschio né femmina (Galati 3:28).
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(1) “Posto occupato” è una campagna contro la violenza sulle donne http://postoccupato.org