Gli stranieri ci libereranno. Noi cristiani e l’invito di Gesù
Riflessioni del teologo spagnolo Xabier Pikaza* pubblicate sul suo blog (Spagna) il 2 settembre 2015, liberamente tradotte da Marco Galvagno
Ho presentato in questi giorni due approfondimenti biblici (uno sui peccati capitali e il secondo sull’arameo errante). Termino la serie insistendo con Gesù (ancora una volta sulla Bibbia) sulla benedizione degli immigrati, che non sono solo un problema, ma soprattutto un’opportunità, dato che non solo potrebbero liberarsi, ma anche arricchiranno e libereranno gli autoctoni (cioè molti di noi). Per questo ho scelto due testi centrali del nuovo testamento che segnano e definiscono l’identità cristiana (dato che sono il dogma fondamentale del Vangelo):
A) Il primo è la profezia di liberazione messianica di Gesù, che dice sono venuto a liberare gli oppressi e gli stranieri Luca 4, 8-18.
B) Il secondo è un appello di giudizio e di libertà propria del figlio dell’uomo, che professerà alla fine dei tempi “Ero straniero e mi avete accolto?” (Matteo 25 31-.46).
Non è che noi bravi autoctoni abbiamo il potere di aprire o chiudere le porte agli stranieri. Loro sono già entrati che lo vogliamo o no. Loro, solo loro potranno liberarsi e liberarci se ci lasciamo trasformare, se insieme faremo un progetto di fratellanza e libertà.
Il problema non sono solo loro, i poveri stranieri. Il problema siamo anche e soprattutto noi, in modo che possa adattarsi ai nostri giorni la parola di Gesù: “gli stranieri ci libereranno” al contrario siete morti (siamo morti). Buon giorno a tutti e vi auguro tanta libertà.
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Professione messianica di Gesù di Nazareth
Il testo è all’inizio del Vangelo di Luca (Luca 4, 18-32). Gesù si presenta a Nazareth dove i suoi compatrioti aspettano il suo discorso, ed egli dice loro che non è venuto a rafforzare la loro identità egoista, ma che vuol parlar loro come uno straniero, e fa proprie le parole del profeta Isaia che secoli prima aveva esposto il problema correttamente.
“Lo spirito del Signore è sopra di me per questo poiché mi ha unto il Signore, mi ha mandato per annunziare la buona novella ai poveri, per chiamare alla libertà i prigionieri, per liberare gli oppressi e gli stranieri” ( Luca 4- 16-21, testo preso da Isaia 61).
Gesù si presenta come il Cristo l’unto del Signore, non perché conceda al mondo beni puramente interiori, ma perché dichiara compiute nella sua vita e nella sua persona le promesse dell’antica profezia che è la liberazione degli oppressi, dei prigionieri e degli stranieri. Così dice fondamentalmente:
1. (Dio) Mi ha unto perché annunci la buona novella ai poveri. Gesù ci appare come l’unto per eccellenza ( Messia- Cristo). Dio gli ha regalato il suo Spirito, perché esprima il suo dono e la sua presenza nel mondo evangelizzando i poveri e i bisognosi, gli affamati di pane e i carenti di altri beni importanti. Evangelizzare significa offrire la vita, dare una strada di speranza. Questa è l’affermazione generale, il punto di partenza del Giubileo di Gesù. I quattro momenti posteriori esprimono ed espandono il suo senso.
2. Mi ha inviato per proclamare la libertà ai prigionieri (carcerati, stranieri), cioè agli uomini e alle donne che la violenza della storia schiavizza, opprime o espelle. Mi ha inviato per accogliere in primo luogo gli estranei e quegli stranieri che non contano, senza diritti né denaro per difendersi.
3. Mi ha inviato per liberare gli oppressi. Gesù è venuto per liberare gli oppressi, cioè a fare in modo che gli oppressi possano camminare liberamente, non per proteggerli come persone invalide o sempliciotte, ma affinche siano loro a farsi carico del proprio viaggio, che vadano, che siano, che liberino e ci liberino creando una società diversa.
4. Mi ha inviato per proclamare l’anno di Grazia del Signore. La pienezza umana che Gesù ha cominciato a realizzare si esprime come una festa giubilare, un anno di grazia, un tempo di gioia che conformemente alla tradizione d’Israele diventa celebrazione di fraternità, di condono dei debiti, di liberazione degli schiavi e di condivisione delle terre.
Le buone tribù d’Israele sperano che Gesù di Nazareth rafforzi la loro identità e le protegga dagli stranieri. Condividendo le parole di Isaia e reinterpretando il messaggio dei due maggiori profeti antichi (Elia e Eliseo) che offrirono il proprio aiuto sia ai malati che agli stranieri, Gesù fa propria la causa degli stranieri e dice: sono venuto a liberarli. (Leggete tutto Luca 4, 18-32).
Ovviamente la sua tribù di contadini di Nazareth vuole linciarlo: si scandalizzano, discutono con lui, decidono di assassinarlo, conformemente alla legge del linciaggio collettivo, che viene praticata alla lettera anche ai nostri giorni.
Non riescono ad accettare che Dio curi (accolga e dia dignità) in maniera uguale ai connazionali e agli estranei. Non vogliono libertà per tutti, né Vangelo per coloro che, a loro giudizio, non se lo meritano (oppressi e stranieri).
Letto sotto questa chiave di lettura il passaggio (Lc 4, 18-32) diventa di un’inquietante attualità che ci lascia sperare. Ci turba e ci sorprende l’universalismo di Gesù che non è di tipo astratto (tutti uguali sulla carta e tutto rimane inalterato), ma lui inizia ad accogliere gli stranieri in concreto, appassionatamente.
In generale noi brave tribù diciamo di volere libertà, ma solo per alcuni, per i bravi contadini del nostro villaggio o del nostro gruppo, vogliamo prosperità però solo per quelli che appartengono al sistema occidentale o americano, per fare un esempio, non vogliamo accogliere gli stranieri.
In conformità alla logica della scelta e della ricerca del proprio tornaconto i nazareni rifiutano il messaggio di Gesù, non vogliono accogliere gli stranieri accampando le loro buone ragioni (economiche, politiche, religiose), i privilegiati del sistema, coloro che non vogliono accogliere gli stranieri condannano Gesù e vogliono ucciderlo, perché mette a repentaglio la loro sicurezza offrendo cura e libertà a tutti, inclusi i nemici d’Israele (i fenici e i siriani).
I gruppi sociali e persino religiosi così come gli stati legali hanno bisogno di difendere la propria identità e per farlo devono espellere gli estranei chiudendo le frontiere. Logicamente insieme all’anno di grazia (che va bene per loro) hanno bisogno di un “giorno di vendetta”, cioè del rifiuto degli stranieri.
Così è sempre stato e così continuerà ad essere. I difensori di un tipo di nazione che si impone, i fan di alcuni gruppuscoli potenti e minoritari, impegnati a difendere tenacemente la propria identità, dovranno continuare a far appelli alla polizia o a chiedere l’espulsione degli stranieri.
Da questo sfondo capiamo la conclusione del testo. I nazareni sono colmi di ira, vogliono uccidere Gesù, ma non ci riescono, perché Gesù conosce il teritorio e sfugge loro di mano, attraversando le montagne e mentre continua a camminare per realizzare le sue opere dice:
“In verità vi dico nessun profeta è ben accetto in patria sua. In verità vi dico vi erano molte vedove in Israele al tempo di Elia quando il cielo rimase chiuso per tre giorni e sei mesi, sicché vi fu una grande carestia in tutta la Palestina. Eppure Elia non fu inviato a nessuna di loro, se non ad una povera vedova di Sarepta, nel territorio di Sidone. Vi erano pure molti lebbrosi in Israele al tempo di Eliseo, profeta, ma nessuno di loro fu mondato eccetto il siro Naaman”.
All’udir queste parole tutti i presenti nella sinagoga si sentirono pieni di sdegno e levatisi lo condussero fin sopra a una rupe del colle su cui la loro città era edificata per precipitarlo di sotto, ma lui passando in mezzo alla folla se ne andò” (Luca 4, 24-30).
Per difendere il proprio atteggiamento Gesù chiama due venerabili d’Israele (Elia e Eliseo) che scelsero e aiutarono i pagani, cioè gli stranieri. Continuando sulla stessa linea Gesù ha offerto aiuto ed accoglienza agli stranieri senza cacciarli in alcun modo. È normale che i nazareni benpensanti si sentano defraudati e vogliano ucciderlo (linciarlo).
Questa scena di linciaggio iniziale (iniziatico) ci colloca al centro del vangelo di Luca e di tutto il nuovo testamento. I nazareni non vogliono uccidere Gesù, perché è un assassino o uno stupratore, né un adultero, ne un idolatra (come comanda la legge israelitica), ma per qualcosa di più profondo, perché mette a rischio la distinzione e la sicurezza nella legge del suo popolo, offrendo il Vangelo ai forestieri (quelli che prima erano rifiutati) e non fa distinzione tra connazionali e stranieri, tace sulla vendetta di Dio contro questi ultimi.
Chi può dire oggi le parole di Gesù “Sono venuto a liberare gli stranieri, sono venuto a dirvi che loro vi libereranno”. Può forse dirle Obama? Potranno dirle i connazionali (tedeschi) della Merkel o (spagnoli) di Rajoy di Mas o di Gonzales? Dovrà dirle il papa di Roma, invece di occuparsi di questioni secondarie come i dettagli intimi di una coppia di sconosciuti? Dovrò dire loro: “sono venuto qui, sono qui per…?” .
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Matteo 2- 5. Sono stato straniero e mi avete accolto
Questa è la seconda tematica chiave in relazione con gli stranieri. Solo facendoci stranieri potremo accoglierli. Per il solo fatto di essere stranieri potranno liberarci, così dice il testo centrale della Bibbia Cristiana in forma di parabola.
“Quando il figlio dell’uomo verrà nella gloria dirà ad alcuni benedetti dal padre mio, ereditate il regno preparato per voi dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero forestiero e mi avete ospitato, ero nudo e mi avete vestito, malato e mi siete venuti a trovare, in carcere e siete venuti da me…In verità vi dico ogni volta che avete fatto una di queste cose a uno di questi piccoli fratelli l’avete fatta a me”.
Così Gesù parla in nome di Dio, assumendo su di se la causa dei poveri e degli stranieri. Così si può dire e dice che era uno straniero …
La fame fisica è alla base di tutte le necessità, ma immediatamente dopo vengono le necessità di tipo sociale, perché non di solo pane vive l’uomo (cfr Mt 4: 4; Deuteronomio 8: 3), ma anche di una patria, di accoglienza, di parole.
Gli stranieri (come le persone nude) non hanno patria o un gruppo che garantisca loro uno spazio di umanità, hanno dovuto lasciare la propria terra quasi sempre per motivi economici, per vivere in condizioni sociali e culturali diverse, in mezzo a un ambiente ostile, sono poveri, perché essendo carenti di beni materiali lo sono anche nei beni sociali e culturali e nelle relazioni affettive, sono doppiamente umiliati e deprivati in un ambiente avverso. Per la bibbia e per la cultura che è alla base dell’antico e del nuovo testamento nudi sono quelli che pur avendo i vestiti vestono e si comportano in maniera indegna o diversa. Sono quelli che a causa dei loro abiti o per il loro aspetto o la loro condizione (materiale, sociale o culturale) sono estranei per il gruppo dominante e non hanno dignità, ne conoscenze, ne cultura.
In fondo esiliati e nudi si identificano: gli uni e gli altri sono persone prive di protezione sociale, minoranze etnico-religiose, non integrate nel gruppo dominante. La nostra società capitalista potrebbe offrire cibo a tutti se solo lo volesse, però non lo fa e cresce il numero degli affamati e degli esiliati o degli stranieri che non trovano accoglienza nelle nostre società stabili.
Viviamo in una società spietata nella quale i gruppi dominanti si proteggono espellendo grandi minoranze (a volte maggioranze), condannandole a vivere in maniera contraria alle leggi dominanti. Per questo è normale che ci sembrino pericolose e che finiscano per essere controllate o incarcerate.
1. Gli emigranti stranieri a volte sono stati potenti. Hanno lasciato il loro vecchio ambiente per avere successo e lo hanno avuto (i bianchi negli Stati Uniti, gli spagnoli e i portoghesi in America Latina) dove si sono stabiliti, sono i conquistadores cioè soldati e avventurieri che vogliono far fortuna, si impongono grazie alla forza delle armi o alla supremazia culturale o commerciale, riducendo in schiavitù od emarginando i precedenti abitanti di quella terra. Così hanno fatto o continuano a fare gli invasori più fortunati.
2. Però attualmente la maggioranza dei migranti non sono conquistadores, ma poveri in cerca di cibo, fuggono dalla fame, dalla miseria, o dalla morte. Provengono in gran parte da paesi poveri dell’ (Asia, dell’Africa dell’America Latina, da zone di guerra in Siria, Iraq, Afghanistan) e cercano cibo tra i membri delle società più avanzate (nelle grandi città, nei paesi avanzati dell’Occidente). I paesi ricchi tendono a chiudere le porte e a controllarle, come abbiamo visto parlando degli egizi o degli ebrei al tempo di Mosé.
È evidente che la chiesa non vuole sostituirsi alle responsabilità politiche della società, però Bibbia alla mano deve dire qualcosa e offrire qualcosa. Sa con Gesù che la soluzione non è nel chiudere le frontiere, ma nell’aprire spazi di collaborazione economica e di fraternità mondiale: mettere cultura e beni al servizio di tutti i popoli in modo che ognuno possa vivere nella propria terra e tutti possano comunicare, sapendo che quelli che hanno di più da dare non sono i ricchi nei confronti dei poveri (gli autoctoni nei confronti degli stranieri), ma l’opposto. Loro i poveri e gli stranieri ci evangelizzano, ci danno la buona novella dell’umanità.
“Per risolvere il problema dell’esilio o della nudità dobbiamo superare l’atteggiamento del conquistador e l’egoismo di coloro che credendosi padroni di una terra che i suoi antenati hanno invaso violentemente chiudono le frontiere alle necessità dei più sfavoriti dell’ambiente”.
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Otto Proposte
Sono preso da riunioni e da pagine sul tema dei migranti che sto condividendo da qualche tempo. Non sono tutte farina del mio sacco, ma sono frutto di molti che stanno lavorando con decisione su questo tema, dall’Associazione Caribù di Madrid fino a vari gruppi di solidarietà in Messico (per fare due esempi).
1. Obiettivo una cittadinanza universale. La nostra prima patria è l’essere umano, cioè la parola, la comunicazione, la nostra patria è l’uomo, iniziando dagli esclusi del sistema. Il principio di tutte le soluzioni è una cittadinanza inclusiva. Per questo Gesù si presenta come il figlio dell’uomo, cioè come un essere umano. Gli stati, i sistemi economici sono secondari e valgono nella misura in cui aiutano tutti gli uomini e tutte le donne.
2. La emigrazione è un diritto e una benedizione, non un problema. È un diritto, la casa dell’uomo è la terra. È una benedizione: gli stranieri ci mostrano il vero volto della vita, sono come un fermento per cambiare tutta la massa degli uomini. Se non venissero gli stranieri finiremmo per rimanere rinchiusi in una fossa mortale, ripetendo sempre le stesse cose, fino a diventare nevrotici. Siamo davanti a una grande possibilità di redenzione, che viene da loro, dagli stranieri che arrivano, a volte affamati, a volte colmi di risentimento, però vitali.
3. Bisogna passare da un tipo di carità intimista senza (scordarla) e di piccole opere sociali a un’esperienza universale creatrice di una nuova umanità. Non siamo noi bravi cristiani quelli che accogliamo, aiutiamo in un gesto di paternalismo dittatoriale. Loro gli stranieri ci possono arricchire. Sono loro che possono e devono offrirci il loro fermento di umanità. Non si tratta di lasciare gli stranieri in celle chiuse o in ghetti, ma di imparare gli uni dagli altri in modo che ci sia un arricchimento reciproco.
4. Dobbiamo mettere in discussione i nostri atteggiamenti, cambiando il nostro modo di vivere gli uni e gli altri, gli autoctoni e quelli che giungono. Quando ci chiudiamo in quello che siamo già, siamo morti dentro, continuiamo a vivere come cadaveri puzzando sia che siamo chiese che stati. Solo l’acqua che scorre, è chiara, l’acqua che si mescola con altra acqua, se no ristagna e marcisce. Non dico che gli stranieri siano santi, nulla di tutto ciò, siamo tutti impastati con lo stesso fango che insozza l’acqua, ma senza di loro moriamo.
5. Cambiare le norme basilari, cambiare i nostri tipi di stato in Europa e nel mondo. Non posso fornire norme giuridiche concrete, ma oso dire che le cose in modo particolare nello stato spagnolo devono cambiare in maniera radicale. Iniziando dalla legge sugli stranieri 4/2000 che è una vergogna nazionale, un disastro in mano a politici ciechi privi di sensibilità umana e visione del futuro. Non si tratta di buttare via tutto (come fanno molti sui barconi), dato che se non abbiamo qualcosa in casa non possiamo accogliere. Però possiamo e dobbiamo vivere insieme con le nostre risorse umane e culturali e sociali e con le sofferenze di coloro che arrivano.
6. Aprire gli armadi, abbattere gli steccati. Sì abbiamo molti scheletri nell’armadio, scheletri autoctoni (che vivono, viviamo di puro egoismo) e scheletri sconosciuti, stranieri. Si tratta di aprire l’armadio, di guardare e vedere che siamo tutti persone responsabili gli uni degli altri, capaci di arricchirci aprendo piani di cittadinanza inclusiva e creatrice contro alla proliferazione delle leggi e agli steccati su steccati, che impediscono di vivere a tutti sia quelli che sono dentro che fuori dallo steccato.
7. Piani concreti, no alle mafie, sì a un nuovo lavoro. Bisogna organizzare e legalizzare i flussi migratori, perché non siano nelle mani delle mafie della morte. Aprire l’armadio con decisione, non lasciando l’iniziativa nelle mani dei trafficanti che chiedono soldi ai poveri per farli venire a morire. Le mafie sorgono quando l’iniziativa pubblica degli stati e dei poteri economici cessa. Si tratta di legalizzare percorsi di comunicazione, di offrire spazi di accoglienza e d’integrazione. Diciamo che non c’è lavoro per tutti, che non possiamo accogliere altre persone con sei milioni di disoccupati. Questa è una menzogna. Non c’è lavoro in questo sistema di produzione, mercato e lavoro. I migranti ci obbligheranno a cambiare il nostro modo di concepire il lavoro.
8. Abbiamo bisogno di tutti, però soprattutto di donne e bambini. Non per carità intimista, ma per umanità. Siamo in un mondo che sta diventando, privo di umanità, senza uomini e donne che si amino e vivano felicemente. Stiamo rimanendo senza bambini. Dovremo imparare gli uni dagli altri. Forse non tutto ce lo insegneranno i migranti, però senza di loro siamo condannati all’estinzione.
Termino questo triduo sulla migrazione, ma tornerò a parlarne un altro giorno, perché il tema non finisce qui.
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* Xabier Pikaza Ibarrondo (12 giugno del 1941) è un teologo cattolico vicino alla Teologia della liberazione, nativo dei Paesi Baschi (Spahmo), ex religioso dell’Ordine della Mercede e sacerdote della Chiesa cattolica. A 31 anni è stato nominato professore alla Pontificia Università di Salamanca sino a 2003, quando si ritirò a vita privata e dopo aver dato le dimissioni dalla vita religiosa, per gravi contrasti con alcuni esponenti conservatori della Chiesa cattolica. Attualmente tiene conferenze e continua a scrivere libri di Teologia, Etica e storia religiosa e gestisce un blog di riflessioni religiose su http://blogs.periodistadigital.com/xpikaza.php
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Testo originale: Me ha enviado para liberar a los extranjeros (con ocho propuestas)