Gli studi sui rapporti tra i sessi. Da strumento di ricerca storica ad arma contro le nozze gay
Articolo di Elena Tebano pubblicato sul “Corriere della Sera” il 17 settembre 2015
C’è una fantasma che si aggira per l’Italia ed è quello della «teoria (o ideologia) di gender». Come succede con i fantasmi, si vedono anche se non ci sono, e così ieri il ministro dell’Istruzione ha dovuto ricordare con un’apposita circolare che nella riforma scolastica del governo Renzi non ve n’è traccia. Trovarcela in effetti sarebbe stato difficile, perché è solo un’invenzione retorica, un idolo polemico pieno di niente.
«Non esiste una teoria di gender», scriveva già nel 2014 in una lettera aperta al ministro dell’Istruzione la Società delle Storiche, che si era sentita chiamata in causa perché è la più importante associazione in Italia che si occupa di studi di genere. E spiegava che i «gender studies» (gender in inglese vuol dire genere) sono solo «uno strumento concettuale per poter pensare e analizzare le realtà storico-sociali delle relazioni tra i sessi in tutta la loro complessità e articolazione» e cioè una categoria storiografica per indagare le differenze dei ruoli e delle caratteristiche attribuite a uomini e donne nelle epoche della storia.
A creare la «teoria di gender» di cui si parla oggi nel dibattito politico sono stati i suoi oppositori, che la usano come spauracchio — un fantasma appunto. «Teoria del gender vuol dire che i vostri figli saranno istigati all’omosessualità, che saranno invitati alla masturbazione precoce fin dalla culla, che potrebbero essere obbligati ad assistere a proiezioni di filmati pornografici, fino ad arrivare a correre il rischio di sentirsi obbligati ad avere rapporti carnali con bambini dello stesso sesso», si legge in un appello che da mesi viene diffuso via Internet tra i genitori degli scolari italiani per invitarli a opporsi alle lezioni contro stereotipi e discriminazioni previste dal cosiddetto «piano formativo di istituto» (con incluso un modulo da firmare e consegnare all’amministrazione scolastica).
Chi sostiene l’esistenza della «teoria di gender», infatti, è contrario al progetto — questo sì contenuto nella riforma della scuola — che mira a prevenire la violenza sulle donne e il bullismo omofobico attraverso l’educazione alla parità di genere (l’eguaglianza tra uomini e donne) e al rispetto delle persone gay e lesbiche.
Il termine, inoltre, è stato usato negli ultimi tre anni dai gruppi organizzati (come Manif pour tous, nato in Francia ai tempi dell’estensione delle nozze alle coppie dello stesso sesso e poi «importato» in Italia) per contrastare prima la legge contro i reati di omofobia e poi quella sulle unioni civili.
Un tempo si accusavano gli omosessuali di essere contro natura, oggi si accusa la «teoria di gender» di «porre in discussione le caratteristiche innate del maschile e del femminile universalmente riconosciute, fino a indurre un indifferentismo sessuale» (da una lettera del comitato «Difendiamo i nostri figli»).
È un espediente retorico, ma non è privo di conseguenze: in un video pubblicato da Manif Pour Tous si sostiene che tra i modi che la supposta «teoria di gender» ha per distruggere le differenze tra maschile e femminile c’è affermare che «le ragazze possono guidare un camion». Ricorda i tempi in cui, in nome della supposta natura femminile, si impediva alle donne di fare i magistrati.