Gli uomini con il triangolo rosa. Lo sterminio degli omosessuali nei lager nazisti
Testimonianza di Heinz Heger* (Josef Kohout) tratta da The men with the Pink Triangles, Alyson Publications, 1980, pp. 34-37, liberamente tradotta da Silvia Lanzi
“… Il nostro blocco (ndr del campo di concentramento) era occupato solo da omosessuali, con circa 250 uomini in ogni ala.
Potevamo dormire con la sola camicia da notte e dovevamo tenere le mani fuori falle lenzuola perché: ‘Voi checche … non inizierete a masturbarvi qui!’
“Le finestre erano incrostate da un centimetro di ghiaccio. Chiunque veniva trovato a letto con in dosso la biancheria intima, o con le mani sotto le lenzuola – c’erano controlli praticamente tutte le notti – veniva portato fuori e gli si rovesciavano addosso parecchi secchi d’acqua prima di lasciarlo fuori per un’ora buona.
Solo poche persone sono sopravvissute a questo trattamento. Il minimo che succedeva erano bronchiti ed era raro per i gay che venivano portati in infermeria uscirne vivi.
Noi che portavamo il triangolo rosa eravamo i primi ad essere scelti per esperimenti medici, e questi solitamente finivano con la morte.
Per quanto mi riguardava, comunque, facevo attenzione a non infrangere le regole.
I superiori del blocco e i loro aiuti erano … dei criminali. … Brutali e senza pietà nei confronti di noi “froci” e attenti solamente ai loro privilegi e al loro vantaggi, erano molto più spaventati di noi dalle SS.
“Ci era anche proibito di avvicinarci più di cinque metri agli altri blocchi. Chiunque fosse sorpreso a farlo veniva caricato sul ‘cavallo’ ed era certo di ricevere, come minimo, dai 15 ai 20 colpi.
Ugualmente, si proibiva alle altre categorie di prigionieri di entrare nel nostro blocco.
Dovevamo rimanere isolati, come i più dannati tra i dannati, il campo dei ‘froci di merda’ condannati all’annientamento a alle vane preghiere per i tormenti inflittici dalle SS e dai Capò.
Solitamente la giornata iniziava alle 6, o alle 5 in estate, ed entro mezz’ora dovevamo essere lavati, vestiti e aver fatto il letto in stile militare.
Se si aveva ancora tempo potevamo fare colazione, il che significava ingollare velocemente la zuppa di farina, bollente o LUKE- WARM, e mangiare in nostro pezzo di pane.
Poi dovevamo unirci in gruppi di dieci sulla piazza d’armi per l’appello mattutino.
Seguiva il lavoro, in inverno dalle 7,30 di mattina alle 5 di pomeriggio, e in estate dalle 7 alle 8 di sera, con mezz’ora di pausa sul posto di lavoro. Dopo il lavoro, diritti al campo e la sfilata per l’appello serale.
“Ogni blocco marciava in formazione fino alla piazza d’armi e lì vi aveva la sua posizione specifica.
La sfilata del mattino non era così prolungata come il temuto appello serale, perché venivano contati solo i numeri del blocco, cosa che durava circa un’ora, e il commando (gruppo) era pronto per formare i distacchi (sottogruppi) per il lavoro.
“Ad ogni sfilata, quelli che erano appena morti dovevano essere (comunque) presenti, cioè erano stesi alla fine di ogni blocco e contati comunque.
Solo dopo la sfilata, ed essere stati registrati dall’ufficiale deputato, venivano portati alla camera ardente e bruciati.
Anche le persone disabili dovevano essere presente alla sfilata. Spesso aiutavamo o portavamo alla piazza d’armi i compagni che erano stati picchiati dalle SS solo qualche ora prima.
Oppure dovevamo portare compagni di prigionia mezzi assiderati o febbricitanti, così che i nostri numeri tutti presenti.
Qualunque uomo in meno (sparito) dal nostro blocco significava molte botte e conseguentemente parecchie morti.
“Noi nuovi arrivati eravamo assegnati al nostro lavoro, che era quello di mantenere pulita l’area intorno al blocco.
Questo, almeno, era quello che ci veniva detto dall’NCO (dovrebbe essere l’abbreviazione di qualche addetto militare) responsabile.
In realtà, il proposito era quello di soffocare anche l’ultima scintilla di spirito d’indipendenza che ancora poteva essere rimasta nei nuovi prigionieri, con una fatica pesante e senza senso, e di distruggere la poca dignità umana che ancora c’era.
Il lavoro continuava finché un nuovo gruppo di prigionieri con il triangolo rosa veniva portato al nostro blocco e noi venivamo rimpiazzati.
Il nostro lavoro, allora, era il seguente.
Al mattino dovevamo spalare la neve fuori dal nostro blocco dalla parte sinistra a quella destra della strada.
Nel pomeriggio dovevamo spalare la stessa neve dalla parte destra alla sinistra.
Non avevamo né carriole né badili per farlo, cosa che sarebbe stato troppo facile per noi ‘checche’. No, i nostri capi delle SS avevano pensato qualcosa di molto meglio.
Dovevamo usare i nostri cappotti con la parte che si abbottona a rovescio e gettare la neve nel container.
Questo comportava che dovevamo spalare la neve con le mani – le nostre mani, nude, perché non avevamo guanti. Lavoravamo in squadre di due.
Venti turni a spalare neve con le mani, e venti turni a portarla via. E così, fino a sera e tutto due volte!
“Questo tormento fisico e mentale durava sei giorni, finché i nuovi prigionieri dal triangolo rosa venivano mandati al nostro blocco e ci subentravano.
Le nostre mani erano tutte screpolate e mezze assiderate, e noi eravamo diventati schiavi indifferenti e ammutoliti delle SS.
“Ho saputo dai prigionieri che erano già stati nel nostro blocco per un bel po’ di tempo che in estate lo stesso lavoro veniva fatto con sabbia e terra.
Sul cancello della prigione del campo, comunque, era scritto in lettere maiuscole il pregnante slogan nazista: “Il lavoro rende liberi!”.
* Heinz Heger è lo pseudonimo usato da Josef Kohout (Vienna, 1917 – Vienna, marzo 1994), un cittadino austriaco prigioniero nei campi di concentramento nazionalsocialisti a causa della propria omosessualità, considerata un crimine dal paragrafo 175 del codice penale tedesco.
Nel 1972 Kohout, utilizzando lo pseudonimo di Heinz Heger, pubblicò Die Männer mit dem rosa Winkel – tradotto in molte lingue e pubblicato in italiano con il titolo ‘Gli uomini con il triangolo rosa’.
Una delle poche testimonianze autobiografiche, insieme a quella dell’internato gay alsaziano Pierre Seel, relative alle condizioni di vita e al trattamento riservato agli omosessuali all’interno dei lager nazisti.
Testo originale: The men with the Pink Triangles