Gli uomini di Dio alle prese con la loro omosessualità
Articolo di Alice Develey e Stéphane Joly pubblicato sul sito del periodico StreetPress (Francia) il 16 ottobre 2018, liberamente tradotto da Fabiana Ceccarelli
“Ho scoperto la mia omosessualità tra i salafiti”, ricorda l’imam Zahed. Invece padre Henri ha sentito i suoi primi turbamenti in seminario. StreetPress ha incontrato questi due uomini di fede, che sono riusciti a conciliare il loro ministero… e la loro sessualità.
“L’ebreo omosessuale è un abominio per la comunità, un sodomita che distorce i principi della Torah”, esordisce Alain Beit in maniera ardita. “In quanto ebrei siamo abituati alle discriminazioni”. Perciò, per lui, gli attacchi da parte dei suoi correligionari sono la routine.
Questa sera il presidente della Beit Haverim, l’associazione degli ebrei LGBT in Francia, sarà al teatro L’Auguste, nell’undicesimo arrondissement parigino, e prenderà in giro proprio questi pregiudizi: sul suo trono rosso, l’uomo accoglierà il pubblico con affabilità, come un rabbino nella sua sinagoga. Ma attenzione, “la barba non fa il rabbino…”.
Idem per gli spettatori che vanno a vedere Yalla, la tajine musicale, “un Mamma mia! ebreo in salsa LGBT”. La kippah è nascosta, ma sempre a portata di mano. Alain Beit la tiene in tasca, coi colori della bandiera arcobaleno: “Rappresenta le mie due identità”. E i tabù che la avvolgono.
Le storie omosessuali scritte sui muri
Le tre religioni monoteiste – la religione ebraica, quella cristiana e quella islamica – condannano l’omosessualità, sia che si tratti dei credenti che dei loro rappresentanti. Eppure le relazioni omosessuali sono scritte perfino sui muri: “Ci sono tanti omosessuali nella Chiesa, come in tutte le branche della società: la polizia, la scuola…”, mormora Jacques Mérienne, vicario della parrocchia di Sant’ Eustachio.
Capelli lunghi argentati, baffetti folti, l’uomo, il cui aspetto ricorda il cardinale Richelieu, non ha mai nascosto la sua omosessualità: “Ogni volta che arrivo in una parrocchia, mi presento alla comunità. Dico chi sono”. Non esiste nascondere la testa sotto la sabbia: “Ho avvertito il mio vescovo quando sono stato ordinato nel 1972. Questo, all’epoca, non rappresentava un ostacolo per chi voleva diventare prete. Era consuetudine”.
Padre Henri Michel (non è il suo vero nome), ordinato da un vescovo poi scomunicato, ha fatto una sua personale statistica: “Secondo la mia opinione, negli anni 1970-80, il 90% dei preti erano omosessuali. Lungo i corridoi del seminario questa realtà era tangibile. Eravamo due per stanza. Ciascuno aveva il proprio amichetto. Se arrivavano ragazzi etero, dopo poco se andavano via”.
Oggi padre Henri Michel esercita il suo ministero in una grande città francese: “Gestisco una cappella che non dipende dalla diocesi. Accoglie tutti coloro che non si riconoscono nei dogmi ufficiali”. Degli emarginati “a sua immagine”, come fa intendere tra le righe.
“È da quando avevo 6 anni che volevo diventare prete. Erano gli anni ’50. Mio padre era regista alle Folies-Bergère. Crescendo in una famiglia di artisti, la Chiesa mi sembrava un po’ come un grande teatro. A 10 anni ho scoperto che mi piacevano i ragazzi, ma non mi sono preoccupato, perché sapevo che ero predestinato alla castità”.
Nessun problema nemmeno per la sua famiglia: “Queste cose non andavano condivise. Quando invitavo i ragazzi del seminario in vacanza, i nostri genitori dicevano semplicemente: Vogliono diventare sacerdoti, è tutto normale”.
Un sistema ipocrita
A 11 anni, Henri Michel entra in seminario minore: “Non è successo nulla di particolare”, puntualizza. O quasi: “Verso i 15-16 anni ho avuto una storiella con un ragazzo. Accadeva di notte, nella serra. Ma molto presto siamo stati scoperti da uno dei compagni. Siccome era geloso, ha fatto la spia, così sono stato espulso”.
Episodio abbastanza grave da riporre l’abito nell’armadio? “No, la direzione era abituata a fatti del genere. Non erano un segreto di stato”. Una volta finito il liceo, Henri Michel entra quindi in seminario maggiore: “Il luogo con più tresche di qualsiasi altro posto”, ricorda, trattenendo una risata: “Aspettavamo i nuovi arrivi di settembre per scambiarci i nostri compagni di vita”.
Tutti sapevano… ma nessuno parlava. La legge del silenzio ha prevalso sul comportamento “troppo autentico” di Henri Michel. La presunta omosessualità gli chiuse le porte della Chiesa, a differenza di ciò che accadde a padre Jacques Mérienne: “Sono stato ordinato seguendo un percorso parallelo, che l’episcopato francese non riconosce”.
Secondo padre Jacques Mérienne, negli anni ’80 è emersa una forma di discriminazione: “L’ex arcivescovo di Parigi, il cardinale Lustiger, fece, infatti, un grande passo indietro quando si rifiutò di ordinare sacerdoti omosessuali”. Un’inversione di marcia “legata”, secondo padre Henri Michel, “all’ipocrisia del sistema”. Ma non solo.
Il primo imam omosessuale in Francia
“In famiglia mi sentivo un estraneo”, ricorda Ludovic-Mohamed Zahed. Allievo dell’École Normale, dottore in scienze umane e sociali, un esperto riconosciuto dell’islam… Questo imam ha contribuito a dar vita alle prime moschee inclusive di Francia, Germania e Sudafrica: “A 17 anni ho scoperto la mia omosessualità tra i salafiti, innamorandomi dell’uomo che mi aveva insegnato il Corano”. Mohamed, diviso tra islamismo e omofobia, cerca sostegno nella sua famiglia: “L’ho pagata cara questa mossa. Da allora in poi mio padre mi ha insultato quotidianamente, e mio fratello mi picchiava. Mi ha perfino rotto naso e mascella. Casa mia era una prigione”.
Tutta questa violenza travolge in pieno Mohamed. Assumere la propria doppia identità, religiosa e sessuale, era impossibile: “Ho rifiutato l’Islam per sette anni”.
Ludovic-Mohamed Zahed
Nel 1995 l’Algeria sprofonda nella guerra civile. Come tante famiglie francofone, anche gli Zahed si stabiliscono in Francia, a Marsiglia: “Avevo 19 anni quando ho conosciuto il mio primo compagno, in un club gay. Un algerino introdotto nel Fronte Nazionale. All’epoca eravamo un po’ tutti pazzi nella nostra comunità. Quest’uomo era un ‘infedele’, andava incontro ad un sacco di rischi, soprattutto praticando la pratica del chemsex (basata sul binomio sesso/droga). Ha coinvolto anche me ed è così che ho contratto l’AIDS”.
Senza Dio e senza un padre, Mohamed, naturalizzato Ludovic, parte allora per Parigi. Si butta a capofitto nel lavoro e colleziona lauree: “Lavoravo dieci volte più degli altri, eppure ero sempre l’ultima ruota del carro. Una sera, mentre venivo via dall’École Normale, ricevetti una chiamata da mia madre: – Questa situazione dura da fin troppo tempo. Ad un dato momento sei caduto nel baratro e io non sono riuscita a salvarti -”.
“Ero considerato un malato di mente.”
È a 30 anni che Ludovic trova il suo equilibrio: “Mi ci sono voluti sette anni per capire che non ero anormale”. Finalmente in pace con se stesso, s’innamora di un sudafricano e si sposa davanti alla sua famiglia e ai suoi amici. Si riconcilia quindi con le proprie origini e riprende il suo percorso spirituale.
Un anno prima aveva creato l’Associazione Omosessuali Musulmani di Francia per accogliere tutte le persone che, come lui, sono state vittime di discriminazioni. Non solo credenti: “C’era in realtà solo il 10% di praticanti nell’associazione, quando l’abbiamo creata. Molti si sono uniti a noi successivamente, attirati dal nostro Illuminismo islamico”. Un successo che preannuncia quello della moschea inclusiva nel 2012.
Ispirato da un movimento nato del Nord America, Ludovic viene dapprima ospitato da un amico buddhista, Federico Dainin Jôkô, alle porte della capitale, per poi impegnarsi nell’apertura di uno spazio nel quartiere de la Goutte d’Or, a Parigi. Inizialmente rimane vago sull’indirizzo della sede, per paura di subire violenze: “Non ci aspettavamo un tale successo, anche dall’altra parte del Mediterraneo”.
Questa notorietà improvvisa si traduce in un lasciapassare per accedere alle più grandi istituzioni sunnite. Ludovic diventa così il primo imam omosessuale a dibattere all’interno della prestigiosa università al-Azhar, in Egitto. Un successo tanto più grande in un paese che allora era sotto il controllo dei Fratelli musulmani.
Vivere di nascosto per essere felice
La realtà presenta tuttavia delle contraddizioni. Quando si chiama l’Associazione Omosessuali Musulmani di Francia, è difficile trovare qualcuno dall’altra parte del telefono. E quando si invia una mail, si riceve in automatico questo messaggio: “IMPORTANTE: notare che non ci sono più moschee inclusive a Parigi”. L’ associazione si muove quindi nell’ombra.
E anche se lo sanno tutti dove si trovano le due associazioni LGBT – quella cattolica David e Jonathan e quella ebraica Beit Haverim – i praticanti omosessuali si trovano spesso a condurre una doppia vita, al di fuori delle istituzioni: “Un giovane cattolico che giudica il proprio orientamento sessuale in contraddizione con la propria religione non andrà a cercare sostegno presso un prete gay. Perché dovrebbe farlo, se il prete omosessuale è considerato per primo un peccatore?”, si chiede Jacques Mérienne.
Alain Beit tiene la kippah colorata in testa quanto è dentro la sinagoga; una volta che è in strada, se la mette in tasca e si raccomanda cogli adolescenti che vengono a trovarlo di non rivelare la loro omosessualità ai genitori: “Sii felice e vivi di nascosto. Non metterti in pericolo. Quando sarai in grado di provvedere a te stesso, potrai uscire allo scoperto”, e ribadisce: “Non c’è contraddizione ad essere ebrei ed omosessuali”.
Nel quartiere del Marais, a Parigi, la comunità di Saint-Merry ha fatto della pastorale che tratta il tema dell’accoglienza delle differenze il suo punto d’onore. Come David e Jonathan, accetta qualsiasi persona, qualsiasi sia il suo colore, la sua origine, il suo orientamento liturgico o sessuale.
Padre Daniel Duigou, curato della parrocchia, è uno dei suoi araldi: “Si può essere cristiani e omosessuali! Quando incontrai il Papa, mi chiese subito: – Cosa dite ai divorziati risposati? – Ho risposto: Come prima cosa li ascolto. E poi li benedico insieme alle coppie omosessuali. Sentendo queste parole, si alzò e mi disse: Sì, Dio pensa al bene degli uomini. Dio pensa al bene di tutti gli uomini”.
Una questione di interpretazioni
Come gesto simbolico, padre Daniel Duigou attualmente inserisce le coppie omosessuali nella preparazione religiosa al matrimonio delle coppie eterosessuali: “È una tradizione radicata. Già nei primi secoli della sua storia, la Chiesa benediceva gli omosessuali”.
Un modo per riallacciare i rapporti con le Sacre Scritture? Che dire allora del passo su Sodoma e Gomorra? “Le persone che rifiutano l’omosessualità citano spesso questo estratto. Però ciò che è sotto accusa è il fatto di costringere il proprio partner ad avere una relazione sessuale” dice padre Duigou. “E poi” fa presente Henri Michel “Eva è nata da una costola di Adamo. Il che vuol dire che il primo uomo era una creatura ermafrodita. Il credente può ritrovare la propria natura androgina, la parte maschile e la parte femminile che sono in lui, attraverso la propria omosessualità”. Quindi nessuna contraddizione, secondo la Bibbia.
“Nel Corano Dio non condanna mai l’omosessualità”, sottolinea l’imam Ludovic: “Un versetto riporta addirittura che un giorno il Profeta era per strada con un uomo quando sopraggiunse una terza persona. Il primo uomo disse al Profeta: – Io amo quest’uomo – Il Profeta gli chiese se avesse manifestato i suoi sentimenti. Gli rispose di no e il Profeta gli intimò di farlo. Il Profeta avrebbe esortato un uomo a dichiarare la propria passione se fosse stato il capo misogino e omofobo descritto da molti musulmani dogmatici?” Niente di più lontano dalla realtà.
Ludovic si confida. Dall’Algeria uno dei suoi zii continua a minacciarlo di morte a causa della sua omosessualità: “Lui conosce solo l’islam dei Fratelli Musulmani”. E i soprusi non provengono solo dalla sua famiglia. In Internet i salafiti hanno postato una fatwa, ossia una sentenza, per punire Ludovic “con la spada”. Altre figure, come il sacerdote Jacques Mérienne e il presidente dell’associazione Beit Haverim, sono oggetto di insulti omofobi: “È terribile usare Gesù per condannare l’altro” esprime con disapprovazione padre Daniel Duigou: “Queste persone dimenticano che la Bibbia non è che l’interpretazione di un’altra interpretazione”.
Quindi al diavolo i pregiudizi! “Non scegliamo chi siamo” afferma padre Jacques Mérienne, “Ciò che siamo non è frutto di una colpa”. Una verità che i genitori di Ludovic, alla fine, hanno dovuto riconoscere. L’imam tuttavia è alle prese ora con una nuova inquietudine della madre: “Ho divorziato tre anni fa. Da allora, mia madre è preoccupata per il mio celibato, perché secondo lei è solo sposandosi ed avendo dei figli che ci si realizza nella vita privata”. D’altra parte, non si è mai abbastanza perfetti per i propri genitori.
Testo originale: Ils aiment Dieu et les hommes