Non è “hadd”. L’impari lotta della comunità LGBT+ in Iran
Dialogo di Katya Parente con Shadi Amin
Il Medio Oriente, in questi giorni, è balzato alla ribalta per via della guerra tra Israele e Palestina. Ma l’area comprende anche altri Paesi.
Questa volta la nostra attenzione si rivolge all’Iran e alla situazione della comunità LGBTQ. Ne parliamo con Shadi Amin, direttrice esecutiva di 6Rang (Iranian Lesbian and Transgender Network), associazione che si occupa di sensibilizzare sui diritti umani LGBTQ+ e sradicare l’omofobia, la transfobia e la violenza contro le persone lesbiche e transgender in particolare e che fa parte dell’ILGA (International Lesbian, Gay, Bisexual, Trans and Intersex Association).
Da quanto esiste 6Rang?
Nel novembre 2010, in Germania c’è stato il primo meeting di 6rang nell’ambito di un incontro ufficiale con la presenza di oltre 20 membri attivi della comunità LGBTQ+. Dopodiché, durante tre giorni di discussione brainstorming, sono stati presentati il nome della rete, i suoi obiettivi e le sue necessità e finalmente ha iniziato la sua attività ufficiale pubblicando una dichiarazione d’intenti. Oggi in Iran 6rang ha centinaia di soci e diecimila followers.
Qual è la situazione della comunità LGBT in Iran e nei Paesi in cui è in vigore la sharia?
Qui, oltre alle pressioni legali e alla paura di rivelare l’orientamento sessuale, ci sono, allo stesso tempo, la censura ufficiale nei confronti della comunità LGBTQ+ e delle questioni correlate che hanno causato la diffusione di tabù sociali e un massiccio incitamento all’odio da parte del governo.
L’omofobia nel vostro Paese ha radici religiose. A quali versetti e/o sure del Corano si rifà il clero per condannare le persone queer?
L’enfasi della sharia non significa che nella legislazione ci siano riferimenti ad un particolare capitolo e/o versetto. Anche i racconti tradizionali e gli hadith (raccolte di ciò che il profeta Maometto ha fatto, detto o tacitamente approvato) giocano un ruolo essenziale nella creazione dei modelli della sharia per la regolamentazione e l’approvazione delle leggi e anche per la loro implementazione.
Ad esempio la storia dei concittadini di Lot racconta che, dal momento che hanno peccato e hanno dormito con i loro ospiti, Dio ha fatto cadere pietre dal cielo e li ha distrutti (per favore fate un’indagine separata su questo argomento). Mentre, per quanto riguarda l’omosessualità femminile, non c’è alcuna narrativa, ma anche il medesimo comportamento da parte delle donne porta al pericolo della pena di morte.
Che pene possono essere comminate?
Le pene sono descritte nel Codice Penale Islamico. Dal momento che, secondo la legge iraniana, l’omosessualità è punibile con la morte, gli uomini gay che cercano di ottenere una deroga devono anche temere le conseguenze legali di essersi dichiarati tali.
L’articolo 234 del Codice Penale Islamico commina l’hadd (una punizione standard per i reati previsti dalla sharia) per la sodomia che stabilisce che la parte “attiva” sia condannata a morte solo se sposata o sia ricorsa alla forza e allo stupro. Mentre la parte “passiva” viene condannata a morte a prescindere dal fatto che sia o meno sposata.
Secondo il primo paragrafo di tale legge, un “attivo” non-musulmano con un musulmano “passivo” sarà condannato a morte. Una postilla all’articolo 236 che prevede la pena per il sesso intercrurale omosessuale prevede inoltre che se la parte “attiva” è non-musulmana e la parte “passiva” è musulmana, l’hadd per la parte “attiva” sarà la pena di morte.
Di più, l’articolo 302 del nuovo CPI stabilisce una lista di chi è mahdoor-ol-dam (ferito al primo sangue) o merita la pena di morte. L’articolo 302(a) dichiara altresì che chiunque è colpevole di aver commesso un crimine contro chi è stato trovato colpevole di hadd (punibile con la morte), si deve considerare mahdoor-ol-dam e i loro uccisori non saranno puniti con la qisas (giustizia retributiva o “occhio per occhio”) devono pagare la diya (compensazione legale, prevista nel diritto islamico, nei casi di omicidio o grave violenza portata a un essere umano o “prezzo del sangue”).
Esiste un islam liberale e progressista che auspica l’abolizione dell’omofobia?
Anche se alcuni religiosi la pensassero così, non hanno il potere di implementare politiche nuove e liberali. Nello stesso tempo, consideriamo improponibile ogni soluzione religiosa e crediamo che la fede debba essere liberata dall’autorità che ha sulle relazioni e che si dovrebbe diminuire il suo controllo sulle persone.
Che azioni concrete avete intrapreso?
È evidente che quando la censura governativa non consente la consapevolezza, il nostro lavoro si concentra proprio sul promuoverla nella società e nel de-tabuizzare argomenti come l’orientamento sessuale e l’identità di genere. Allo stesso tempo, la giovane comunità LGBTQ+ dell’Iran dovrebbe poter organizzarsi e avanzare le proprie richieste nel campo della politica interna e attraverso le istituzioni internazionali, promuovendo al contempo l’autoconsapevolezza e la conoscenza di sé.
Abbiamo fatto un passo essenziale in questi due ambiti con una comunicazione sociale diretta e costante. Inoltre, a livello internazionale, cooperando con le organizzazioni globali LGBTQ+ e lavorando regolarmente con le istituzioni delle Nazioni Unite, facciamo pressione sulla Repubblica islamica affinché cambi la sua politica, cosa che non è stata sviluppata come dovrebbe a causa della mancanza di solidarietà internazionale.
Quali piani avete per il futuro?
Continuare così e, allo stesso tempo, promuovere un uso ottimale dei media per trasmettere la voce della nostra comunità sia al popolo iraniano che al di fuori dell’Iran.
Il nostro sforzo è quello di mostrare i diversi livelli di discriminazione per sviluppare l’empatia e la cooperazione tra i gruppi discriminati in Iran e promuovere la tesi secondo cui in Iran non si formerà alcuna democrazia stabile se non è in grado di prendere in seria considerazione i diritti e le richieste di tutti i gruppi emarginati.
Non solo l’omosessualità dovrebbe essere depenalizzata, ma ogni violenza e discriminazione nei suoi confronti dovrebbe essere riconosciuta come un crimine. Allo stesso tempo, per garantire questo processo, la comunità LGBTQ+ deve poter partecipare politicamente a tutti i livelli. Questi argomenti sono centrali per il nostro programma educativo e per il dibattito in Iran in questo periodo così turbolento.
Chi volesse saperne di più può fare riferimento al sito ufficiale di 6Rang. Intanto il nostro plauso va a Shadi Amin e a tutte quelle persone che, in Iran e altrove, combattono per i diritti delle persone LGBTQ, rischiando spesso anche la propria vita.