«Ho bisogno di baciarti sulle labbra». Liturgia, pietà e mistica dei baci
Riflessioni Luigi Testa* sulla “spiritualità dei baci”, parte seconda
Esiste una spiritualità dei baci che, direttamente dal Vangelo, si innerva nella liturgia, nella pietà popolare, e nella mistica cristiana, che solo il freddo razionalismo dei tempi più recenti ha liquidato con superficialità.
Anzitutto la liturgia, che, sebbene abbia in sé piuttosto «il gioco del desiderio: sfiorare senza trattenere, assaggiare senza saziare, sbirciare sotto il velo dei simboli, intuire senza mai presumere di aver compreso», conosce due baci appassionati: all’altare e all’Evangeliario (M. Baldacci, La liturgia è come un bacio, L’Osservatore Romano, 1 luglio 2023).
Naturalmente la pietà popolare: basti pensare alla generale diffusione del bacio alla croce come segno di riverenza nella liturgia del Venerdì Santo. E poi la lunga teoria della mistica cristiana, dove il bacio diventa bocca a bocca: qui, accanto ad una importante presenza femminile che forse sorprende meno, è significativo il numero di uomini che senza alcuna resistenza o vergogna hanno fatto loro il desiderio che erompe dal cuore della sposa all’inizio del Cantico: «Mi baci con i baci della sua bocca!» (Ct 1,2). «Egli ha posto il suo volto sopra il mio volto, la sua bocca sopra la mia bocca» (Aelredo di Rievaulx, Discorsi, nell’Ufficio delle Letture del Venerdì prima dell’Epifania, Rito ambrosiano). «Desideriamolo ardentemente questo bacio dalla bocca divina» (Padre Pio, Lettere a Padre Agostino, 17 agosto 1913).
Un cantore recente di questa spiritualità dei baci è stato David Maria Turoldo, frate servita del secolo scorso, autore – tra gli altri testi – di una produzione poetica che raggiunge vette di lirismo e di mistica assolutamente preziose. Turoldo vive una spiritualità che è passionale fino quasi allo scandalo, con i toni tormentosi e gelosi di una relazione di amore vivo ed incandescente, che coinvolge – e travolge – anche i sensi: «Sei il nostro affamatore», «Feriti, arsi, dilaniati da queste Tue forme irraggiungibili» (O Sensi miei…, ed. 2017, p.75); «Non regge il mio peso insopportabile d’uomo alla Tua aggressività inesausta» (126); «Impossibile amarti impunemente» (282); «Cristo, mia dolce rovina» (314); «Mio crudele Amore, io so quale vignaiolo severo tu sei» (667).
In questa cornice, il poeta – come Giovanni della Croce in Fiamma viva d’amore – non si fa remore di mostrare il suo desiderio di un’intimità definitiva, che rompa finalmente “il velo”, e che sia anche sensoriale: «Tu stai lontano al di là della luce mentre io ho bisogno di toccarti e baciarti sulle labbra» (230); «Te, mio Signore, volevo: sentirti con i sensi che urlavano di fame, e Tu a non concederti mai!» (653).
Altrove egli allude a baci lasciati sul corpo del Signore deposto dalla croce: «E furono anzi le nostri mani, le nostre labbra, che ne hanno consumato il cadavere, a ridarGli la vita» (51). Di baci egli ha nostalgia, e se pure ha consapevolezza di essere chiamato ad un’intimità più alta con il Signore, non cela la sua mancanza di un’intimità fisica. È così in quello che forse è il suo vertice poetico e spirituale, Amore e morte: «Eri dovunque. E gli altri intanto si baciavano solo sulla bocca, ma io Ti mangiavo tutte le mattine. E, allora, perché, perché dunque ero così triste?» (145).
Nella sua rilettura del Cantico dei Cantici (La sublime allegoria, in Canti ultimi), Turoldo offre infine una piccola “teologia” dei baci. Per il poeta, vi è un unico desiderio nel cuore dell’uomo («amore celato nei nostri amori» [O Sensi miei…, 628]), e i baci sparsi sulle labbra degli uomini non sono che sacramento del bacio che si desidera dallo Sposo: «Ma se il bacio è segno dell’unica Fame, che lo stesso Amato incendia, allora scampo non v’è per nessuno».
Questo desiderio è avvertito come desiderio di abbandono totale alle labbra dell’Amato, le sue «labbra voraci», quasi come bisogno di dominazione, o almeno di resa: «Voluttà di distruzione è il bacio, desiderio di essere consumato senza che nulla avanzi».
D’altra parte, si intravede nel Cantico come la sposa desideri «una sua aggressività nell’amore» (D. Barsotti, Meditazione sul Cantico dei Cantici): ella non chiede di baciare, ma di essere baciata, di essere presa, di essere portata.
Compare infine il bacio come scambio di spirito vitale che – come si vedrà nella terza parte della riflessione – è presente nel racconto giovanneo dell’effusione dello Spirito Santo dopo la Resurrezione.
Qui al poeta sta a cuore segnalare la dinamicità dello scambio, con i due amanti che si consegnano e riconsegnano il fiato, come un bisogno l’uno dell’aria dell’altro: «È con il bacio che Egli il suo respiro di nuovo si prende […] E tu hai solo una scelta: aspirare il suo alito con la stessa passione…».
*Luigi Testa è autore di testi a carattere giuridico e scrive su alcuni quotidiani nazionali. “Via crucis di un ragazzo gay” (Castelvecchi, 2024) è il suo primo libro di natura spirituale, altre sue riflessioni sono pubblicate anche su Gionata.org
> Le riflessioni sulla “spiritualità del bacio” di Luigi Testa