Ho paura di amare! Perchè?
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La risposta…
Caro Luca quando c’è del dolore è difficile scrivere delle risposte, perciò scriverò una risposta-non risposta. Lo faccio veramente! Voglio usare una “cifra” politicamente non corretta… e chiedo la pazienza e la tolleranza di Luca. Risponderei…”SCANTATI!”, cioè: scantonati! Togliti dal cantone, dall’angolo, dal vicolo cieco! Ma per quanto tempo vuoi sbattere la testa al buio!
1) Hai ragione: non si può non essere depressi quando finisce una storia d’amore, direi che è comprensibile, legittimo, forse necessario. In definitiva è un LUTTO, e cambiano riti, abitudini, stati d’animo: è doloroso lasciarli e costruirne dei nuovi… e poi se è vera la sensazione depressiva non si vede il domani, ci si sente finiti e con una malinconia travolgente. Per fortuna il tempo è un formidabile alleato! Ma di chi e per far cosa? Passiamo al punto due.
2) Chi è quel Luca che “rifiuta”( non la crisi come scrivi, ma penso la storia sentimentale), e che non conosce il motivo del rifiuto. Forse una persona con le idee poco chiare , con il “rifiuto” più facile dell’impegno, forse un ragazzo un po’ impaurito…e da cosa: forse dalla responsabilità, dalle richieste affettive, forse da un senso d’indegnità frutto di omofobia interiorizzata?
Ma… è difficile dirlo. Quello che si può dire è che bisognerebbe lavorare per crescere in autocoscienza: ascoltando, guardando come un osservatore non giudicante, non posseduto da troppi desideri e troppe paure, che guarda con attenzione l’anima, il cuore, la coscienza: i moti della propria vita interiore. Che con umiltà e pazienza porta luce in quelle stanze (spesso buie) dove vive la nostra vita interiore, la coscienza. Il tempo è alleato della ricerca che dobbiamo fare per illuminare e ampliare la coscienza…e mentre facciamo questo il dolore si diluisce, si stempera.
3) “Vivo male, prego molto cerco conforto nella chiesa”. Quando si affoga attacchiamoci pure a tutto. Ma se imparassimo a nuotare? Certo: finita la crisi! Nuotare per me vorrebbe dire usare tutti gli strumenti che abbiamo in modo funzionale. Ho appena guardato alla coscienza: che cosa porta una vita di consapevolezza ed autocoscienza?
Porta ad un IO forte, un io equilibrato, e ragionevolmente stabile, porta la possibilità di usare la volontà che tutti abbiamo per costruire dei progetti. Porta la possibilità di vivere con una “rotta” e non in balia di correnti, tempeste, venti. O meglio di avere una direzione, di essere ATTIVI nel vivere e non vissuti da emozioni, eventi, persone che funzionano come i “funghetti” di un flipper che proiettano la nostra pallina (la nostra vita) di qua e di là, facendoci vivere un’esistenza REATTIVA. Tra una vita attiva ed una reattiva ci sono tante differenze, la prima che mi piace ricordare è la felicità, si!
La gioia che nasce anche nel dolore e nella fatica costruendo un progetto, la gioia che non è elargita da altri, ma che sgorga dall’intimo nell’essere autori del nostro destino.
E ora il quarto punto.
4) Se hai veramente fede puoi essere autore del tuo destino sotto il sole che riscalda, sotto la stella che indica la rotta di Dio. Non usare Chiesa e preghiera come un antibiotico da prendere mattino, mezzogiorno e sera. O come un anestetico: è pericoloso e manipolatorio. Manipolatorio si capisce bene: la strumentalizzazione emotiva che se ne fa. Ma spesso non si vede il pericolo: si diventa idolatri.
Si offre a questo Dio del tempo, una qualche fedeltà, magari dei sacrifici, e una parte della nostra libertà… e si pretende serenità, “essere a posto”, una specie di anestesia esistenziale… e ti saluto coscienza… si baratta la fede, una vita cosciente, con un po’ di tranquillità.
Caro Luca si potrebbe usare quest’evento per crescere, per essere più autentici, e per diventare un uomo dalla fede più matura e “pulita”.
Un saluto dal cuore
Maurizio Mistrali, psicoterapeuta e volontario di gionata