La mia veglia per il superamento dell’omotransbifobia con gli amici di Reggio Emilia
Riflessioni di Massimo Battaglio lette nella Veglia di preghiera per il superamento dell’omotransbifobia della parrocchia del Sacro Cuore di Gesù di Reggio Emilia il 24 maggio 2024
Gli amici di Reggio Emilia mi hanno invitato a vegliare con loro portando i dati e le storie di Cronache di Ordinaria Omofobia, quelli contenuti in omofobia.org , progetto che curiamo da un po’ di anni raccogliendo notizie sugli episodi di violenza e discriminazione omofoba che si verificano in Italia.
Nel consueto bel clima di una veglia, tra amici ma non solo, ho provato a tradurre il “materiale” che di solito espongo in iniziative comunali o di quartiere, in una preghiera. Mi sembra che abbia funzionato, almeno a giudicare dalle lunghe e profonde discussioni informali che ha suscitato dopo la celebrazione. La riporto, un po’ per testimonianza e un po’ perché potrebbe tornare utile in altre comunità.
“Cari amici conosciuti, cari amici che non conosco oggi vorrei parlare al Signore di alcuni numeri che Lui conosce già ma che molti di noi e molte nostre organizzazioni ignorano.
Vorrei parlargli delle 1780 vittime di omofobia, 1277 uomini e 503 donne di cui ben 188 transgender, che abbiamo intercettato in questi dodici anni di “Cronache di Ordinaria Omofobia”. Lui sa che non rappresentano tutta la piaga del fenomeno omofobo. Sa che si tratta solo quella piccola parte che riesce a emergere grazie al coraggio che i protagonisti hanno dimostrato accettando di metterci la faccia. Non è facile che si ammetta che una violenza subita sia dovuta al proprio orientamento sessuale o alla propria identità di genere. E d’altra parte non è facile che, una volta ammesso, la cosa venga riconosciuta.
Alcuni sostengono che le vittime “saranno al massimo 30 o 40 all’anno”. Trenta o quaranta sono in realtà i processi che si chiudono con una sentenza in cui si identifica, grazie a qualche giudice attento, la matrice omofoba. In assenza di una legge, non può che andare così. Ma il Signore riconosce tutti i torti, anche quelli che non hanno una rilevanza penale come quella dei casi osservati.
Gli vorrei parlare di violenze corporali, come quelle sofferte da più della metà delle persone di cui abbiamo incontrato la storia. Sono violenze che vanno dalle botte – pensiamo ad esempio a quella ragazza trans, qui a Reggio, sequestrata, violentata e infine rapinata nel 2015 – fino all’omicidio. 35 sono i casi di omicidio omofobo registrati. Uno avvenne da queste parti, a S. Martino in Rio nel 2021, quando un signore fu accoltellato dal figlio che aveva scoperto sue frequentazioni gay.
Insieme a lui vorrei ricordare le due donne trans di Napoli e di Rivazzurra e le tre di Roma di cui non conosco nemmeno il nome, poi Salvatore di Bari, Lucas di Bergamo, Marta di Brescia, Maria Paola di Caivano, Antonio di Canaro, Marcio di Castelvolturno, Johanna di Cinisello, Claudio di Jerago, Ximena di Frosinone, Aldo e Alves di Milano, Congliang di Modena, Alex di Napoli, Gioacchino di Praia di Mare, Bruna di Rimini, Daniele, Mario, Andrea, Bathista, Naomi e Roberta sempre di Roma, Alessia di S. Giorgio alle Pertiche, Camilla di Sarzana, Alessandro e Luigi di Siracusa, don Mario di Tizzana, Francesca di Vallo, Eghianruwa di Vecchiano.
Poi vorrei dirgli delle 387 vittime di aggressioni plurimi, che hanno cioè danneggiato più persone in un colpo solo, per esempio coppie o gruppi di amici. Gli direi ad esempio di quei due uomini di Bologna che, nel giugno scorso, dopo aver già sopportato insulti e minacce da una baby gang del quartiere, si sono visti incendiare il portico di casa, o i quattro attivisti trans che, sempre a Bologna, furono accerchiati, insultati e presi a spintoni da un gruppo di ragazzi all’ingesso della loro sede sociale. Ma c’è chi dice che a lottare contro l’omofobia si finisce per ostacolare la libertà di espressione. Di fronte a questi fatti, non ho idea di cosa si possa esprimere di diverso dall’angoscia.
E chiedo scusa se questa narrazione tradisce la mia rabbia. Il Padre saprà sicuramente raccoglierla e trasformarla in speranza, come faceva coi figli di Israele quando piangevano davanti a Lui sui fiumi di Babilonia. E non avevano peli sulla lingua perché erano parecchio incazzati.
Vorrei pregare con voi per quei ragazzi e quegli adulti che non ce l’hanno fatta e si sono tolti la vita, come Ale, Alessandro, Alex, Andrea, Antonio, Aurora, Chiara, Cloe, Daniele, Filippo, Francesca, don Franco, Francesco, Gabriele, Isabel, Mario, Marta, Mattia, Monica, Mohammed, Orlando, Roberto, Simona, Simone, Stefano, Tiziano, Vittoria e altri 24 di cui non posso dire il nome.
Ma mancherei di rispetto a tanti altri di cui non conosciamo neppure la storia poiché i parenti o gli amici non hanno voluto o potuto parlarne. È difficile, per dei genitori o degli amici, ammettere le ragioni per cui un loro caro ha deciso di lasciare il mondo. Ed è ancora più difficile è rivelare che la causa era un’omosessualità non accettata dagli altri e forse neppure da se stessi. Si teme di fare un ulteriore torto. E così, questi giovani martiri dell’odio (spesso non avevano vent’anni) vengono consegnati all’oblio, terzo torto ancora più imbarazzante.
Grazie a Dio – e all’impegno di molti – queste storie di morte cercata come estremo rifugio sono meno di un tempo. Essere omosessuali o transessuali non è più percepito come una colpa, una macchia da espiare in modo così disperato. Colpisce però che si accompagna spesso a un malinteso senso di religione. Penso al caso di quel ragazzo impiccatosi perché i genitori lo avevano convinto di meritare l’inferno. Ricordo quel seminarista trovato appeso in giardino vicino a Torino – depressione, si disse, ma io l’avevo conosciuto poche settimane prima al centro d’ascolto di Arcigay. Strazia il cuore quel biglietto lasciato da un quindicenne: “qui nessuno mi capisce. Signore, vengo da te”.
In paradisum deducant te angelis et perducant te in civitatem sanctam Jerusalem.
Poi vorrei parlargli della violenza più sottile, quella psicologica o che fa leva sui bisogni primari senza trafiggere il corpo. Gli vorrei dire di quelle 286 persone che sono state allontanate dalla casa dei genitori o che hanno dovuto andarsene prima che succedesse il peggio. Gli vorrei parlare delle 90 licenziate o convinte a licenziarsi dal lavoro, o di quelle a cui è stata rifiutata una casa in affitto o una stanza in albergo o un tavolo al ristorante o che hanno subito danni alle proprie abitazioni, alle proprie auto o alle proprie attività imprenditoriali. Ma dovrei menzionare anche quelle che sono state oggetto di stalking o di diffamazione con tutti i mezzi, non ultimi quelli informatici. E l’elenco si allungherebbe fino a 817 vittime accertate e chissà quante nascoste.
E allora mi basta sapere che, per Lui, la dignità di ciascuno dei suoi figli vale tanto quanto il suo corpo e che i torti fatti a essa sono indelebili quanto le cicatrici:
“Chi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna” (Mt 5,22).
Il disprezzo non si ripara con una multa ma solo attraverso la giustizia, la solidarietà e, per noi cristiani, la capacità di com-patire.
Fac me tecum plángere.
Mi tocca registrare spesso – negli ultimi anni è capitato più di trenta volte – episodi avvenuti proprio negli ambienti in cui la dignità della persona viene ritenuta più sacra, cioè le chiese, gli oratori, le scuole e gli ospedali cattolici, dove, quando non si arriva a offendere una persona in particolare – espellendola dai servizi pastorali o dal posto di lavoro – ci si lascia andare a considerazioni generali e a prediche che non si possono conteggiare perché non fanno vittime dirette ma sono capolavori di ignoranza e veri e propri incitamenti all’odio.
Il Signore infonda, nei pastori che ci invia, un minimo di delicatezza e li renda capaci di comprendere che ciascuna delle sue pecore è più importante di qualunque ideologia, qualunque convincimento, qualunque dottrina.
Vorrei poi digli che trovo assurda la differenza che, addirittura nell’omofobia, si riscontra tra persone di genere maschile e femminile o di identità cisgender e transgender. Le donne “biologiche” che denunciano episodi di omofobia sono solo il 18% del totale mentre i maschi “biologici” sono il 70%. Per converso, le donne trans sono il 10% e gli uomini trans il 2%. I conti non tornano perché la nostra comunità è costituita per più di metà da femmine e solo per l’1% da persone che non si riconoscono nel proprio genere.
Sarà forse che le donne sono più abituate a sopportare che a denunciare le ingiustizie subite? Sì: l’omofobia è maschilista. L’omofobo vede la donna come oggetto di desiderio e poco più. Tant’è vero che non è nemmeno in grado di riconoscere una donna lesbica: per lui resta una potenziale preda, una serva, un essere inferiore. La dimostrazione? Il 32% delle vittime di omofobia di sesso femminile sono state colpite singolarmente; il restante 78% in contesti di coppia. L’omofobo è talmente primitivo da non considerare che una donna potrebbe anche non essere interessata a lui. Lo capisce solo quando ne ha le prove. E allora mena. E arriva a uccidere, se non gli corrisponde, come accadde a Elisa di Carpineto Piacentino.
“Ecce ancilla Domini”, dice Maria: sono la serva del Signore, non del primo che passa.
Ma il primitivo non parla latino. E non sopporta che un maschio come lui voglia degradarsi al ruolo di femmina (mica gli interessa se è gay, bisessuale, queer o quelle robe fini. Per lui è una “femmina mancata”). Tantopiù se si fa pure operare (lui, della disforia di genere, non ha mai sentito parlare). Per questo, le vittime di transfobia sono proporzionalmente così tante rispetto al loro numero. Risultato: il 53% degli omicidi omo-transfobici si concentra sull’1% della popolazione LGBT+, cioè appunto sulle donne trans.
Chiederei infine a Dio di non arrabbiarsi se mi dilungo tra amici nel dare a Cesare quel che è di Cesare, cioè nel parlare di politica, perché c’entra anche questa. In questi anni, si sono verificati picchi di violenza omofoba in alcuni momenti particolari: i mesi di giugno e luglio del 2018, 2019, e avanti fino al 2023. Sono i mesi dei pride, che evidentemente surriscaldano gli animi omofobi, specialmente a partire dall’instaurarsi di un certo Governo. C’è gente in Italia che si organizza in vere e proprie associazioni politiche per andare a caccia di froci, e i giorni del pride sono formidabili per sfogarsi. L’anno scorso a Chieti, Forza Nuova ha letteralmente assediato il corteo, facendo nove vittime in un giorno senza contare le decine che sono state prese a sputi.
Ma non c’è bisogno di un partito per usare l’omofobia come arma politica. Più di trenta volte ho registrato atti omofobi avvenuti contro persone (generalmente di sesso maschile) candidate alle elezioni (tutti di centrosinistra, ça va sans dire), atti che vanno dall’imbrattamento dei manifesti con scritte diffamanti, fino alle minacce di morte per culminare, in un caso, con l’istigazione al suicidio. È un clima che ricorda un po’ la violenza politica anni ’70 che rinfocolava le file del terrorismo.
D’altra parte, si è sempre registrata una particolare intensità del fenomeno omofobo nei momenti in cui si parlava di omofobia in parlamento: nel periodo a cavallo dell’istituzione delle unioni civili e durante la discussione della legge Zan. L’omofobo, che, come abbiamo detto, è primitivo, vuole partecipare al dibattito ma, non sapendo usare la parola, usa le mani. Le forze politiche, tutte, dovrebbero tenerne conto.
Così come dovrebbero tenerne conto quegli uomini di Chiesa che puntualmente sentono l’irrefrenabile bisogno di frenare la politica lanciando comunicati roboanti in cui si rammenta il Catechismo (selezionandone solo una parte) e il diritto ecclesiastico, o quei gruppetti fanatici che tappezzano le città di manifesti omofobi o organizzano “veglie di riparazione” contro i pride. La loro azione non è solo ridicola ma pericolosa. Genera odio. E l’odio non è cristiano. Non è di Dio.
Cari amici sacerdoti, cari amici cristiani tutti: il naso rotto di un ragazzo è infinitamente più grave di tutte le “ideologie del gender”. Il corpo di Vincenzo fatto a pezzi sparsi in giro per Napoli, non è un’ideologia. È ciò che resta di un ragazzo vittima di omofobia”.