Humanae Vitae, è ora di abbandonare questa enciclica
Articolo pubblicato sul sito noisiamochiesa.org il 23 luglio 2018
Gli errori principali che hanno portato, a giudizio di Noi Siamo Chiesa, alla non receptio della Humanae Vitae da parte del popolo cristiano sono il non rispetto della coscienza e della responsabilità della coppia nelle circostanze in cui si trova, la preminenza del fine procreativo nel matrimonio su quello affettivo, la differenza artificiosa tra metodi naturali e artificiali di contraccezione.
Ciò premesso, Noi Siamo Chiesa ritiene che i fatti più gravi siano stati l’accanimento e la tenacia con cui per decenni l’enciclica è stata proposta e imposta dai papi e dalle strutture ecclesiastiche alla generalità del popolo cristiano. Ogni nomina episcopale è stata sottoposta per decenni alla verifica sulla previa accettazione da parte del candidato dei contenuti dell’enciclica.
La dottrina della Humanae Vitae fa parte della tradizionale enfatizzazione della morale sessuale e famigliare a scapito del “messaggio più importante di Gesù, quello della pace fondata sulla giustizia, quello del riscatto degli oppressi e delle periferie esistenziali e sociali, quello del soccorso al samaritano”.
I segni dei tempi che ci troviamo di fronte oggi sono del tutto lontani da quelli della Humanae Vitae, enciclica che viene difesa ad oltranza da tutta la destra cattolica. La Amoris Laetitia apre invece prospettive nuove nell’analisi della complessità delle situazioni da affrontare con un’ottica pastorale e con la preoccupazione prioritaria della formazione delle coscienze.
Noi Siamo Chiesa conclude il suo testo auspicando che “il Vaticano e le strutture ufficiali della Chiesa, nell’ipotesi comprensibile che non vogliano criticare esplicitamente l’enciclica, usino almeno questo cinquantenario per dimenticarla. Essa dovrebbe diventare ormai parte solo della storia della chiesa”.
Il testo integrale:
Rileggendo la Humanae Vitae, i suoi limiti e i suoi errori appaiono ingigantiti rispetto a quelli che apparvero nel momento stesso in cui fu emanata. Da decenni essi sono stati posti in luce in tutti i modi da una vasta area di teologi, di credenti e di istituzioni ecclesiastiche. Per ricordarli e riassumerli alla meglio essi appaiono, salvo dimenticanze, i seguenti: la sottovalutazione del ruolo della coscienza e della responsabilità personale della coppia in decisioni che siano conseguenza di una valutazione complessiva delle circostanze concrete in cui essa si trova, a partire da quelle più semplici e frequenti (difficoltà materiali a mantenere ed educare adeguatamente i figli); valore assoluto di una norma che si pretende inderogabile sempre e dovunque e che si pretende fondata sul diritto naturale (sempre più discusso e controverso!) di cui la Chiesa si ritiene unica vera interprete; preminenza assoluta del fine procreativo nel rapporto di coppia rispetto a quello della reciproco rapporto fondato sull’affetto, sulla solidarietà, sulla comunanza di vita, sul piacere sessuale; la difficilmente comprensibile differenza qualitativa tra metodi naturali e metodi artificiali di contraccezione; la pretesa della continuità e irriformabilità del magistero in materia di morale (fatto contraddetto, in modo ben conosciuto, dalla storia della Chiesa); linguaggio a senso unico laddove parla solo di “paternità responsabile” e non di “maternità responsabile”.
Prima e dopo l’enciclica
E’ importante ricordare una storia di fatti conosciuti e non contestabili. Paolo VI decise che il Concilio non doveva occuparsi di contraccezione. Ciò da una parte fu la conseguenza di un uso autoritario del magistero papale, dall’altra la testimonianza di un imbarazzo sulla difensiva per un dibattito inconsueto per un’assise sinodale (idem si potrebbe dire per questione del celibato dei preti). Il papa poi non accettò la linea della grande maggioranza della Commissione di esperti istituita ad hoc. Il seguito, ben noto, è di una pesantezza che , in partenza, non si sarebbe potuta ipotizzare.
Ben 49 conferenze episcopali, in un modo o nell’altro, espressero critiche, ma soprattutto dall’inizio ci trovammo di fronte a una esplicita non receptio da parte della generalità delle coppie del popolo cristiano che è continuata da allora senza interruzioni e in modo geograficamente diffuso. Essa è stata tale che, a quanto ci risulta, ormai le prescrizioni dell’enciclica non sono ora più oggetto della confessione sacramentale. C’è stata una rimozione collettiva e generalizzata del problema dei metodi della contraccezione. Ci siamo trovati di fronte a un sensus fidelium che si è fatto interprete di una comprensione del Vangelo diversa e più “umana” di quella fatta dal sistema ecclesiastico nella persona del papa. Tutto ciò pone il problema generale di come la teologia morale debba determinarsi aldilà delle competenze canoniche.
Una gestione dell’Enciclica che ha fatto male alla Chiesa
Il fatto più grave è però un altro. Da allora, con una continuità durata decenni che ha dello straordinario e in barba al sensus fidelium, l’insegnamento sulla contraccezione della Humanae Vitae fu imposto ovunque nell’universo cattolico. Per certo sappiamo che nei criteri di scelta dei nuovi vescovi era indispensabile la prova che il candidato si fosse espresso a favore della linea ufficiale su questa questione. Nelle università e nei seminari diffusi nel mondo il sistema gerarchico è stato intransigente e destituzioni ed emarginazioni sono state numerose. Anche Bernhard Haering, il grande rinnovatore della teologia morale, ce ne andò di mezzo. La situazione peggiore, ed incredibile per la sua temerarietà, si ebbe quando, all’inizio degli anni ottanta, esplose l’epidemia dell’AIDS. Nessuna deroga fu accettata e la disubbidienza di molte suore missionarie in Africa fu fatta nel silenzio perché non si doveva sapere!
Da poche settimane si è saputo che il Card. Wojtyla, oltre ad una linea molto rigida prima, dopo la pubblicazione dell’enciclica scrisse a Paolo VI per chiedere, di fronte alle contestazioni, una “Istruzione” di sconfessione delle critiche, nel timore che esse “potessero costituire l’occasione per dare vita ad un processo molto più ampio di contestazione su altri elementi della fede e degli usi cristiani” (“Avvenire”, 4 marzo 2018, pag.18).
Diventato papa, Wojtyla fu coerente per tutto il suo lungo pontificato; la sua linea non si modificò con papa Benedetto. Insomma questa enciclica e la sua gestione hanno messo a nudo la radicale insufficienza di un magistero papale quando esso si isola, diventa autosufficiente non ascoltando la base del popolo cristiano, si rifà ai peggiori precedenti della storia, dimostrando così la sua fallibilità. In questo caso ha creato disorientamento nel popolo cristiano, crisi di credibilità e ha portato anche ad allontanamenti dalla vita di fede.
L’enfasi sulla morale sessuale e famigliare
La gestione che è stata fatta dei contenuti della Humanae Vitae all’interno della teologia morale e della ordinaria catechesi fa parte di quella enfatizzazione di tutta la morale sessuale e famigliare che ha caratterizzato per un tempo immemorabile la proposta di vita cristiana offerta dalle strutture della Chiesa alla generalità dei battezzati. In questo modo è stato posto in secondo o terzo piano il messaggio più importante di Gesù, quello della pace fondata sulla giustizia, quello del riscatto degli oppressi e delle periferie esistenziali e sociali, quello del soccorso al samaritano.
Il Concilio ha proposto un’ottica diversa, la Pacem in terris e la Populorum Progressio sono andate in questa direzione, la Teologia della Liberazione ha dato indicazioni che sono state contrastate spesso dal potere centrale della Chiesa. Ma solo con papa Francesco abbiamo un ribaltamento delle prospettive.
Papa Francesco, la destra e chi difende, a sorpresa, la continuità del magistero
Papa Francesco si è occupato molto del rapporto di coppia e della famiglia indicendo i due Sinodi del 2014 e del 2015 e poi con la Amoris Laetitia, ma nella direzione di liberare la pesantezza del “sabato” del magistero precedente per aprirlo a un approccio pastorale. Ora, per capire la situazione è bene tenere presente che la Humanae Vitae viene sempre difesa senza “se “ e senza “ma” da tutta la destra cattolica, che vede in essa un baluardo contro ogni cedimento alla “morale permissivistica del mondo”, contro il superamento della centralità della morale sessuale fondata su leggi di natura e, sullo sfondo, per l’abbandono della stessa svolta conciliare. A tale scopo è stata fondata una apposita “Accademia GP II per la vita umana e la famiglia (JAHLF)”che si pone come diretto contraltare della ufficiale “Pontificia Accademia per la Vita”.
Negli ultimi mesi si sono moltiplicati libri, studi, ricerche storiche sulla genesi dell’enciclica e convegni (all’ Università Gregoriana, all’Istituto Camillianum, all’ATISM, Associazione teologica per lo studio della morale). Per quello che conosciamo ci sembra che ci sia stata molta produzione impegnativa ma che, dal nostro punto di vista, essa si è tenuta ben lontana dal dire le esplicite e definitive parole di verità che sarebbero necessarie.
Nelle ultime settimane poi teologi, che si dicono vicini a papa Francesco, hanno tentato, in modo sorprendente, di collocare l’Humanae Vitae in una linea di continuità con il passato. Ha iniziato Pierangelo Sequeri (preside dell’Istituto teologico per le scienze del matrimonio, “Avvenire”, 10 maggio 2018), poi Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la vita (in un recente discorso a Gioia Tauro). Questa linea ci appare sconcertante e ci insinua il sospetto che sia stata ispirata per confermare un pesante statu quo, o forse per cercare di “nascondere” il principale errore del pontificato di Paolo VI in vista della sua santificazione il 14 ottobre.
I segni dei tempi
La rigidità dottrinale e la supponenza magisteriale che presiedettero alla scelta di Paolo VI impedirono la comprensione dei segni dei tempi di allora. Ora dobbiamo capire bene la situazione oggi. Il vedere il “mondo” e lo stare nel “mondo” ci mostra segni nuovi rispetto ai quali la questione della contraccezione artificiale ci sembra cosa di ben poco conto. Essi ci sembrano: la permanente difficile condizione della donna nel rapporto di coppia in cui la precarietà, determinata dalle condizioni sociali e anche culturali, gioca quasi sempre a suo sfavore; le cosidette “nuove famiglie”; la condizione dei divorziati risposati; le unioni omosessuali; tutte le questioni poste dalla procreazione con metodi non naturali e via di questo passo.
Tante altre questioni, trattate nella Amoris Laetitia sono davanti ai nostri occhi, dalle condizioni concrete di vita (casa, lavoro…), a quella dei bambini senza famiglia, dalle ragazze madri ai vecchi senza cure e solidarietà, dalla condizione dei disabili all’educazione dei giovani ora sotto la pressione di potenti messaggi difficili da conoscere e controllare fino alla diffusa mentalità individualista che contrasta con la dedizione reciproca che ogni famiglia richiede. Questi attuali segni dei tempi interpellano chi cerca nel Vangelo “che dire”, “che proporre” e “che fare” cercando di capire dove è il bene, dove sono gli affetti veri, la generosità e la dedizione non tenendo conto solo delle norme civili e religiose e pensando di usare “la medicina della misericordia” e di operare sempre per il recupero quando emerge l’egoismo, la violenza , il male. Il “sensus fidelium” deve contribuire per il futuro a un nuovo difficile magistero centrale e locale. Interventi del tipo di quello della Humanae Vitae non debbono ripetersi.
Conclusioni
Nuovi segni dei tempi, non facili, incalzano, una conversione generale a un approccio pastorale ai problemi del sesso e della famiglia è necessaria, anche la consultazione dei giovani in previsione del prossimo Sinodo ad essi dedicato l’ha indicato con chiarezza. Chi si attarda a elucubrare sulla continuità del magistero dalla Casti Connubii alla Familiaris Consortio dalla Humanae Vitae in poi fa delle acrobazie inutili e si colloca in una posizione di retroguardia, buona solo per alzare le proprie bandiere identitarie o solo preoccupata dell’ortodossia ecclesiastica ben lontana dalle attese del Popolo di Dio.
L’Amoris Laetitia, che ha contraddizioni che sono state rilevate sia dai tradizionalisti che da alcune aree di progressisti di ispirazione conciliare, sicuramente non risolve tutti i problemi e, tuttavia, si sforza di indicare una strada alternativa a quella precedente, perché parte dalla concretezza delle situazioni, spesso complesse, e dalla necessità della formazione delle coscienze. Le nuove prospettive della teologia morale percorrono altre strade, hanno altre centralità, prime tra queste la tutela dell’ambiente e l’impegno attivo per il cambiamento delle strutture sociali e dei rapporti tra i popoli nel mondo. Speriamo e supponiamo che il Vaticano e le strutture ufficiali della Chiesa, nell’ipotesi comprensibile che non vogliano criticare esplicitamente l’enciclica, usino almeno questo cinquantenario per dimenticarla. Essa dovrebbe diventare ormai parte solo della storia della chiesa.