I contesti storici e culturali del matrimonio e della famiglia
Testo della teologa suor Margaret Farley* tratto dal libro Just Love: A Framework for Christian Sexual Ethics, Continuum International Publishing Group (USA), agosto 2005, pagg. 233-238, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Le istituzioni del matrimonio e della famiglia sono sempre state significative per le società e le tradizioni religiose. Osserva Ruether: “Sia la Chiesa che lo Stato hanno tutto l’interesse a che si mantengano relazioni nella stabilità dell’impegno, le quali costituiscono il contesto in cui allevare i figli, sostenere nel tempo il benessere delle persone coinvolte e prendersi cura di chi è in crisi, malato o anziano”.
Nancy Cott aggiunge che anche oggi “Nessuna moderna nazione-Stato può ignorare le varie forme di matrimonio, perché esse hanno un impatto diretto sulla riproduzione e la composizione della popolazione”. Naturalmente nel corso della storia il matrimonio e la famiglia hanno assunto forme diverse e assolto a diverse funzioni, a seconda del contesto sociale e culturale in cui venivano esperiti.
In molti contesti il matrimonio serviva a stabilire relazioni tra famiglie, creare linee ereditarie, stabilire e rafforzare ruoli di genere, circoscrivere l’attività sessuale, determinare i diritti e i doveri nelle relazioni sessuali, provvedere alla legittimazione e alla crescita dei figli. Scopo primario del matrimonio era il bisogno delle famiglie di acquisire parentele e di stabilire o rafforzare alleanze politiche ed economiche con altre famiglie [1]. La storia degli scopi del matrimonio rimane tuttavia complessa e occorre stare in guardia da interpretazioni troppo frettolose del passato e della sua relazione con il presente.
Secondo Coontz la poliginia (l’unione matrimoniale di un uomo con due o più donne) è l’istituzione matrimoniale più trasversale nelle epoche e nelle culture. In Occidente è prevalsa la monogamia, ma più gradualmente di quanto non sospettino i cristiani di oggi. Quando il cristianesimo si mosse dalla Palestina, venne a contatto con varie leggi e costumi matrimoniali, retaggio delle tradizioni giudaica e greco-romana. Presso alcuni gruppi etnici occidentali, come i Franchi, i Teutoni e i Germani, la poliginia è stata praticata fino all’inizio del Medio Evo [2].
Da allora la cultura occidentale ha giudicato la poliginia come una pratica “primitiva” e “incivile”, che doveva essere abolita, sia che questa si trovasse nelle nazioni occidentali o in altre parti del mondo. Negli Stati Uniti, per esempio, questo giudizio ha pesato sui Nativi Americani, i mormoni e gli immigrati che provenivano da una cultura poliginica.
Le narrazioni del matrimonio e della famiglia nella civiltà occidentale sono segnate da percorsi particolari, che hanno cambiato in modo profondo lo scenario delle relazioni. Cambiamenti decisivi sono avvenuti, per esempio, nelle motivazioni per il matrimonio, nelle scelte per la cerimonia e la forma del matrimonio stesso, nelle relazioni di genere all’interno della coppia e della famiglia. Questi cambiamenti non sono avvenuti di punto in bianco: sono divenuti possibili e in un certo senso preparati dalle modifiche dei contesti politici ed economici entro cui hanno avuto luogo. Anche se mi concentrerò sui percorsi avvenuti in Occidente, ci sono molte prove che ciò che è avvenuto qui sta avvenendo anche nel resto del mondo.
All’alba della civiltà occidentale e per buona parte della sua storia, il matrimonio è servito principalmente alle necessità economiche, politiche e sociali delle famiglie e dei gruppi tribali. La traiettoria storica del controllo sul matrimonio (vale a dire il controllo che passa dalle famiglie alla Chiesa, alle monarchie, agli Stati democratici, agli individui) è lunga e complessa, ma dalla visuale presente la caratteristica più visibile di di questo cambiamento sembra essere il graduale trionfo della scelta degli individui, sulla base dell’esperienza dell’amore e la speranza di felicità personale.
Come scrive Coontz, in passato “alcune persone si innamoravano, qualche volta persino del proprio coniuge” [3], ma le funzioni del matrimonio erano troppo importanti per lasciare quest’ultimo alla decisione privata di due individui sulla base dell’affetto e dei sentimenti. Gli storici forniscono date diverse per l’evoluzione del matrimonio occidentale, dall’accordo tra famiglie alla scelta in base all’amore reciproco, ma il cambiamento decisivo sembra aver avuto luogo nei secoli XVII e XVIII. Il processo era quindi nel suo svolgimento all’inizio della storia degli Stati Uniti.
Cott affronta la narrazione di questo nuovo Paese in espansione decostruendo il ruolo onnipresente della nazione, dello Stato e delle comunità locali nel controllare le forme e gli scopi del matrimonio. Sebbene spesso poteva sembrare altrimenti, il matrimonio era un’istituzione pubblica, non privata, un veicolo con cui lo Stato, guidato da motivazioni religiose, politiche ed economiche, cercava di organizzare, governare e regolare la popolazione. Nonostante o a causa del controllo del governo, questa narrazione procede da quattro secoli, trasformando infine il matrimonio in una scelta privata e la famiglia in un luogo separato dal mondo.
I cambiamenti nelle relazioni di genere sono ineluttabilmente legati ai cambiamenti negli scopi e nei significati del matrimonio. È probabile che “in principio, una divisione dei compiti lavorativi flessibile e basata sul genere all’interno di una relazione affettiva” fosse importante per la sopravvivenza umana [4]. I ruoli e le relazioni di genere erano quindi funzionali e si basavano su ciò che doveva essere fatto. La storia successiva del genere è complessa, come abbiamo visto nei capitoli precedenti, ma si muove lungo una linea che comprende la subordinazione della donna all’uomo, talvolta la concezione del corpo della donna come proprietà dell’uomo e la mai scomparsa ineguaglianza tra la donna e l’uomo all’interno del matrimonio e della famiglia.
Cott ci offre un sobrio ritratto di come il matrimonio sia stato una pubblica istituzione nella storia degli Stati Uniti e la tesi, corroborata da prove convincenti, di come esso sia stato lo strumento attraverso cui lo Stato regolava e regola ancora oggi i ruoli di genere. Cott argomenta che nella storia di questa nazione si sia creato un adattamento “senza sussulti” della dottrina cristiana al diritto angloamericano. Centrali per la concezione cristiana del matrimonio, così come Cott la interpreta, sono i concetti di mutuo consenso per la celebrazione del matrimonio (il concetto più importante di tutti nella graduale evoluzione del pensiero cristiano tra il VII e il XII secolo) e di “due in una sola carne”, concetti questi che si amalgamano bene con le concezioni angloamericane di contratto e di identità legale tra marito e moglie. Inoltre, la concezione cristiana del marito come “capo” della moglie e della famiglia era in accordo con la common law inglese, lì dove afferma “l’identità” legale, politica ed economica di marito e moglie. I mariti, gli unici cittadini a pieno titolo nelle primitive famiglie americane, erano i rappresentanti politici e legali delle mogli e, poiché il lavoro domestico e le proprietà delle mogli appartenevano o venivano amministrate dai mariti, la donna era anche economicamente una cosa sola con il marito. L’unione sponsale significava l’allargamento dell’identità dell’uomo, ma nella maggior parte dei casi significava anche il restringimento di quella della donna.
Secondo l’analisi di Cott, la relazione tra marito e moglie doveva rispecchiare quella tra lo Stato e il popolo. Quando, nel XVIII secolo, quest’ultima vide erodersi il suo modello patriarcale, si cercò una nuova via per comprendere l’analogia tra il contratto sociale, che fondava lo Stato, e il contatto matrimoniale, che fondava la relazione tra marito e moglie; perciò sorse, nell’istituzione del matrimonio, un nuovo concetto di uguaglianza tra marito e moglie.
L’autorità del marito rimaneva in piedi, ma unicamente o principalmente perché il contratto di matrimonio veniva “riscritto sotto il profilo economico” [5]. Questo permetterà alle mogli di conquistare gradualmente la possibilità legale e politica di agire, ma al tempo stesso rafforzerà il concetto secondo cui il marito deve guadagnare il pane e la moglie è economicamente dipendente da lui. Il contratto era ancora tale che i due contraenti dovevano consentire, ma i cui termini non avevano possibilità di scegliere [6].
Coontz rintraccia una simile traiettoria in Europa Occidentale dal XVII al XX secolo. Il nuovo contratto economico matrimoniale è legato a doppio filo al concetto nascente che ci si sposa per amore: emerge così la combinazione tra l’“affinità sentimentale” e il “maschio che mantiene la famiglia”. Per la prima volta il matrimonio cominciò ad appartenere a una sfera privata in cui il marito da solo guadagnava il pane e la moglie era responsabile non solo dei lavori domestici e della crescita dei figli ma anche del cuore emotivo del matrimonio e dei legami affettivi all’interno della famiglia. Anche le relazioni di genere cominciarono a cambiare: ora non si basavano su una supposta superiorità naturale del maschio ma su una (sempre supposta) naturale complementarietà maschio/femmina. Si presumeva che l’amore sponsale potesse essere preservato mettendo l’accento sulle differenze tra donne e uomini.
Tuttavia, il matrimonio basato sull’”affinità sentimentale” era destabilizzante, perché cominciava a mettere in discussione, tra le altre cose, la dipendenza economica delle mogli. Qualcosa di nuovo cominciava ad emergere in Europa e negli Stati Uniti: venivano messe in discussione le relazioni di genere, la struttura del matrimonio e della famiglia e i controllori della teoria e della prassi di queste istituzioni.
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[1] Coontz osserva che è esistita una sola società nella quale il matrimonio non era un’istituzione significativa: una società composta di soli 30.000 membri, in cui le relazioni tra fratelli e sorelle erano molto più importanti del matrimonio. Inoltre, tra tutti i possibili scopi del matrimonio, Coontz considera l’acquisire parenti come la più caratteristica e questa è la sola funzione che non può essere espletata da gruppi di fratelli e sorelle.
[2] Va detto che le tribù germaniche occidentali erano perlopiù pagane ancora nel V secolo.
[3] Coontz più avanti scrive che gli individui potevano sperare di trovare nel matrimonio l’amore, o perlomeno un “tranquillo affetto”, e i matrimoni combinati non sempre ignoravano il benessere delle coppie. Tuttavia, non era questo lo scopo primario del matrimonio. Contrariamente alle conclusioni di Coontz, c’è almeno una storica che contesta l’interpretazione dei matrimoni combinati come “privi di emozioni” o “privi d’amore”. Suzanne Dixon suggerisce che l’insistenza degli studiosi nel criticare questo tipo di matrimonio “probabilmente riflette la contemporanea repulsione occidentale di fronte ai matrimoni combinati… Ma si tratta di un salto logico dal modo di organizzare il matrimonio alle aspettative e al contenuto dello stesso”. Dixon adduce prove letterarie, come il “marito malato d’amore” e altre antiche tematiche erotiche.
[4] Coontz in realtà fornisce due possibili inizi per il matrimonio. Il secondo ipotizza che esso sia stato semplicemente un modo per gli uomini di avere accesso alle donne in maniera da soddisfare il bisogno di scambio.
[5] Secondo Coontz questo sviluppo avviene tra il XVIII e il XX secolo.
[6] Nel suo studio Cott riferisce di questa anomalia, includendo non solo le relazioni di genere, date per scontate quando non stipulate nel contratto, ma anche il fatto che ad alcune persone veniva negato il diritto di sposarsi (per esempio, agli schiavi).
* Suor Margaret A. Farley, nata il 15 aprile 1935, fa parte della congregazione americana delle Sisters of Mercy (Suore della Misericordia) ed è professoressa emerita di etica cristiana presso la Yale University Divinity School dove ha insegnato etica cristiana, dal 1971 al 2007, ed è stata anche presidente della Catholic Theological Society of America (associazione cattolica dei teologi d’America). Il suo libro Just Love (2005), ha avuto numerose critiche e censure da parte della Congregazione della Dottrina della Fede per le opinioni morali espresse, considerate divergenti dal magistero cattolico, ma ha ricevuto invece ampio sostegno ed l’approvazione dalla Leadership Conference of Women Religious (conferenza delle donne religiose degli Stati Uniti) e della Catholic Theological Society of America (associazione cattolica dei teologi d’America).