I cristiani e la tentazione della “buona risposta”
Riflessioni di Enzo Bianchi, priore di Bose, pubblicate sul mensile Jesus n.5 del maggio 2015
Da secoli noi cristiani pensiamo di dover dare una “buona risposta” su tutto. In questa ansia – oggi causa di sempre maggior fastidio nei non cristiani – finiamo a volte per dare risposte preconfezionate, incuranti della realtà mutevole e sfaccettata né della diversità delle persone e del mistero che ciascuna di loro racchiude. Occorrerebbe un serio esame di coscienza: e se l’altro ci trattasse come noi trattiamo lui? E se ciò che diciamo con sicurezza all’altro fosse anche un giudizio su di noi? Ci ricordiamo dell’avvertimento di Gesù: “Con il giudizio con il quale giudicate sarete giudicati voi e con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi” (Mt 7,2)? E ci ricordiamo che Gesù era maestro anche nell’arte del non dire tutto? Come non ammettere che nella chiesa sovente i rigoristi che giudicano con severità alcuni peccati commessi dagli altri, sono in realtà i primi a commettere quegli stessi peccati?
E piuttosto di condannare se stessi, infieriscono sugli altri: come ha detto recentemente papa Francesco, “puniscono negli altri quello che nascondono nella loro anima”… In questi giorni nelle nostre chiese d’occidente emerge costantemente la questione dell’orientamento sessuale, del gender e degli statuti che questo può richiedere. Possiamo, come cristiani, dire alcune parole in proposito, e dirle umilmente, fornendo indicazioni per cercare ancora? Innanzitutto dovremmo evitare di parlare semplicisticamente di omosessuali, eterosessuali, bisessuali o transessuali perché le persone non possono essere definite dai loro comportamenti o a essi ridotte.
Occorre inoltre ammettere che l’orientamento sessuale appare come un enigma (attenzione: un enigma, non un mistero): non è una scelta dell’individuo né sta nello spazio delle patologie; emerge in diverse situazioni; persino di fronte agli stessi cammini educativi e allo stesso “venire al mondo” l’orientamento può manifestarsi come eterosessuale, omosessuale, o con altre varianti al di là delle libere scelte. Perché?
Per ora non abbiamo una risposta: non dobbiamo però avere paura dell’enigma, ma prenderlo sul serio perché parte della realtà complessa dell’umano. Là dove ci sono “storie d’amore”, c’è l’amore sempre vulnerabile, la necessità del perdono, della fiducia sempre da rinnovare, la fatica della fedeltà, mai piena. L’amore, che è il fine della relazione, è più grande della condizione in cui si è abilitati ad amare. Da questo dovrebbe discendere molta cautela nel dare giudizi o nel richiedere alle persone di essere ciò che non possono essere: si deve guardare alla relazione, all’amore vissuto e tentato dai partner, alla loro sincerità, astenendosi dal giudicare le persone.
È vero, i comportamenti omosessuali sono severamente esecrati dall’Antico e dal Nuovo Testamento – anche se i vangeli non registrano parole esplicite di condanna da parte di Gesù – ma il peccato resta una realtà presente anche in tutti i comportamenti sessuali e in ogni azione da noi compiuta assecondando l’egoismo, la violenza, l’arroganza del potere sull’altro.
Uomini e donne, qualunque orientamento sessuale abbiano, sono sempre creature amate da Dio; nella chiesa sono cristiani nati dal battesimo, conformati a Cristo e dotati di una capacità di testimonianza e di missione nel mondo; e in quanto battezzati sono sacerdoti, profeti e re (cf. Lumen gentium 34-36), tutti partecipi del corpo di Cristo. A tutti, nessuno escluso, la chiesa deve chiedere di tentare di vivere il Vangelo, tutti deve amare come si amano le membra del corpo di Cristo, e tutti deve aiutare a vivere l’amore con gli enigmi che esso contiene. La chiesa non è stata chiamata a condannare il mondo ma a indicare al mondo vie di salvezza, e queste stanno sempre in cammini di umanizzazione.
Nessuna ingenuità e nessuna resa: a tutti la chiesa chiede responsabilità nei comportamenti; chiede lotta contro la philautía, l’amore egoistico di se stessi; chiede di non cedere al facile e conformista “così fan tutti”; chiede di combattere i nuovi idoli dominanti, tra cui spicca l’individualismo esasperato, in base al quale i desideri devono diventare diritti.
Non tutto è possibile e non tutto può essere un diritto! Chiediamoci in ogni circostanza qual è il cammino di umanizzazione più fecondo e felice per ciascuno, senza aver la pretesa di possedere a priori l’unica risposta possibile.