I diavoli gay e l’acqua santa. Viaggio tra i cattolici omosessuali italiani
In questo periodo la Chiesa si trova ad affrontare il problema dell’omosessualità fra preti, porporati e seminaristi.
Minimizzare o dare regole ferree? Viaggio tra chi ha vissuto in prima persona il dilemma. E sta cercando una soluzione.
Comincia così il racconto di Robert Mickens a Panorama. Una storia di grande coraggio, ma anche di profonda sofferenza che svela le contraddizioni della Chiesa sul tema dell’omosessualità.
Robert oggi è un uomo sereno e appagato: ha superato i 40 anni, vive a Roma con un compagno e fa il corrispondente per un settimanale inglese. Ma ha attraversato momenti molto difficili: «Non volevo avere una doppia vita perciò in seminario cercavo di soffocare qualsiasi spinta alla sessualità e all’affettività.
Ogni tanto mi accorgevo che qualche compagno e qualche professore erano interessati a me, ma facevo finta di non capire. All’improvviso tutto questo castello di carte è crollato con un soffio: mi sono innamorato di un altro seminarista di Ferrara, tre anni più giovane. Avevo perso completamente la testa per lui.
All’inizio eravamo entrambi molto inesperti, perciò il nostro amore era solo spirituale, eravamo convinti di poter vivere la nostra relazione solo in modo platonico. Ma questo era impossibile: l’attrazione è stata più forte di noi, è scoppiato il rapporto fisico, travolgente e dolcissimo.
Mi sono subito allarmato e ne ho parlato con il mio direttore spirituale. Ero deciso a lasciare il seminario. Ma con grande sorpresa lui mi ha suggerito di non abbandonare la carriera per diventare prete. Mi disse che sarei potuto cambiare, che era meglio prendere tempo».
Robert Mickens continua, sereno: «La doppia vita però non faceva per me. Così dopo un anno abbandonai il seminario e mi trovai completamente solo a Roma, senza un lavoro. Facevo fatica a sopravvivere.
Finalmente venni assunto alla Radio vaticana mentre continuavo a frequentare alcuni miei ex colleghi del seminario: mi stupivo di vederli andare avanti nella loro carriera senza tentennamenti, senza farsi troppe domande.
Ma quello che mi ha colpito di più è stato ritrovare alcuni amici seminaristi e sacerdoti nei locali e nei ritrovi gay romani. Ci salutavamo come se niente fosse, senza imbarazzo. Poi io tornavo al mio lavoro e loro all’attività pastorale. Credo che oggi tutta questa ipocrisia debba finire.
La Chiesa deve fare i conti con l’omosessualità, non può più nascondere il problema».
Eppure, le violente polemiche suscitate dall’intervento del cardinale Tarcisio Bertone sul rapporto tra omosessualità e pedofilia hanno mostrato come l’universo gay per la Chiesa sia ancora in larga parte inesplorato.
Sono passati 40 anni da quando Giovanni Testori e Pier Paolo Pasolini provocavano la Chiesa perché si interrogasse sul rapporto tra fede e omosessualità, ma «ancora oggi per tanti sacerdoti e per molti credenti l’omosessualità resta solo una malattia da curare» pensa Gustavo Gnavi, fondatore nel 1981 a Torino del primo gruppo di omosessuali credenti, «Davide e Gionata».
Gnavi contesta alcuni gruppi cattolici, come il Gruppo Lot di Milano, animato da Luca Di Tolve (protagonista della famosa canzone di Povia Luca era gay), che si propongono di aiutare gli omosessuali a guarire. «Purtroppo è solo una questione di ignoranza. L’omosessualità fa paura perché mette in discussione le nostre certezze.
Spinge ciascuno a interrogarsi: chi sono veramente io? Come vivo la mia sessualità? E obbliga la Chiesa a domandarsi quale visione abbia della sessualità. L’omosessuale va aiutato ad accettarsi, non a cambiare».
Ma potrà diventare prete? Gnavi è convinto di sì: «Un gay che vive la sua identità sessuale con serenità credo che possa vivere il celibato ed essere sacerdote altrettanto bene di un eterosessuale».
Tuttavia due documenti della Congregazione per l’educazione cattolica del 2005 e del 2008 di fatto escludono la possibilità di ordinare sacerdoti con accertate tendenze omosessuali, «con il risultato che i gay nei seminari sono presenti come prima, ma si nascondono sempre di più» osserva il fondatore del gruppo Davide e Gionata.
Insegnante di matematica in pensione, 63 anni, Gnavi ha passato una vita a difendere i diritti degli omosessuali dentro e fuori la Chiesa: «Quando siamo partiti 30 anni fa a Torino non esistevano gruppi di omosessuali.
I gay erano isolati, si nascondevano, erano vittime di attacchi e discriminazioni. Abbiamo cominciato a riunirci, ma nessuno voleva ospitarci.
L’unico ad aprirci le porte è stato il Gruppo Abele, di don Luigi Ciotti. E così, a poco a poco, abbiamo iniziato anche a pregare, a leggere la Bibbia, a interrogarci sull’atteggiamento della Chiesa nei nostri confronti».
Ora, prosegue Gnavi, «il gruppo Davide e Gionata si è sciolto, però sono nati altri gruppi che svolgono la stessa attività, tra cui il Centro studi Castellano. Siamo in contatto con le diverse realtà omosessuali della città e abbiamo partecipato al comitato del Gay pride di Torino nel 2006.
In quell’occasione il cardinale Severino Poletto ha incaricato due sacerdoti della diocesi, Valter Danna ed Ermis Segatti, di avviare un dialogo costante con i nostri gruppi e di partecipare anche alle nostre attività».
Così gli omosessuali cattolici sono ormai usciti dalle catacombe, non solo a Torino: secondo un recente rapporto curato dal Progetto Gionata (www.gionata.org), in Italia ci sono almeno 21 gruppi ufficiali di omosessuali credenti, con oltre 540 aderenti (84 per cento uomini, 16 per cento donne).
Se a questi si aggiungono i gruppi omosessuali cattolici non censiti, si arriva a oltre 700 aderenti. A fine marzo i rappresentanti di queste realtà si sono riuniti ad Albano per il primo Forum italiano dei cristiani omosessuali.
Cambia anche l’atteggiamento del clero nei confronti dei gay. «Chi ha un certo orientamento sessuale non deve essere allontanato sulla base di pregiudizi. Questi nostri fratelli vanno accolti, compresi, accompagnati nella loro ricerca di fede» osserva don Valter Danna, direttore dell’Ufficio famiglia della diocesi di Torino e incaricato per il dialogo tra Chiesa e omosessuali.
Per Danna, autore anche di un recente volume sull’argomento (Fede e omosessualità, Effatà editrice), «la Chiesa non deve aver paura di dire una parola nuova su queste situazioni: senza nulla togliere alle indicazioni del magistero e delle verità di fede, occorre anche accettare la gradualità del cammino delle persone omosessuali».
Anche il vescovo di Cremona, Dante Lafranconi, ha incaricato uno degli educatori del seminario, Antonio Facchinetti, di curare l’accompagnamento pastorale degli omosessuali. È nato un gruppo, Alle querce di Mamre, che si riunisce una o più volte al mese sotto la guida di un sacerdote.
L’obiettivo, spiega don Facchinetti, è favorire la ricerca di fede delle persone omosessuali, ma anche «aiutarli ad accogliere serenamente la propria condizione omosessuale, vincendo paure, preclusioni, timori e nello stesso tempo stimolare la comunità cristiana a rifuggire ogni tentazione di emarginare le persone omosessuali».
Resta però aperto un interrogativo: i gay possono accedere ai sacramenti? Gustavo Gnavi: «Ho sempre trovato sacerdoti che hanno compreso la mia situazione.
Non mi sono mai state negate né la confessione né l’eucarestia. Anzi, nella mia diocesi di Ivrea ho fatto anche parte del consiglio pastorale diocesano e tuttora sono segretario del consiglio parrocchiale».