I dolori di Lazzaro
Testo del pastore Jione Havea*, pubblicato come “Lazarus Troubles”** in Bible Trouble: Queer Reading at the Boundaries of Biblical Scholarship, a cura di T.J. Hornsby e K. Stone, Society of Biblical Literature (Stati Uniti), nel gennaio 2011. Liberamente tradotto da Innocenzo Pontillo, volontario del Progetto Gionata.
“E avvicinatosi, Gesù rotolò via la pietra dalla porta del sepolcro. E subito, entrato là dove si trovava il giovane [Lazzaro], tese il braccio e lo fece alzare, afferrandolo per la mano. Ma il giovane, guardandolo, lo amò e cominciò a supplicarlo di poter stare con lui.
E usciti dal sepolcro, entrarono nella casa del giovane, poiché egli era ricco. E dopo sei giorni Gesù gli disse cosa fare, e alla sera il giovane venne da lui, indossando un lenzuolo sopra il suo corpo nudo. E rimase con lui quella notte, poiché Gesù gli insegnò il mistero del regno di Dio” (Estratto dal Vangelo segreto di Marco)*
Il trauma di Lazzaro
Il racconto di Giovanni 11 è carico di traumi: con Gesù che si trova lontano da Betania, quando Lazzaro si ammala.
Malessere: Marta e Maria, le sorelle di Lazzaro, mandano un messaggio per informare Gesù che colui che egli ama con affetto profondo (philein, 11,3.11) è malato.
Dolore: Il narratore e le sorelle non dicono cosa sperino che Gesù faccia in risposta.
Dubbi: Ma sappiamo che loro, insieme al fratello, occupano un posto speciale nel cuore di Gesù, perché egli li ama in modo incondizionato e sacrificante (agapan, 11,5).
Speranza: Gesù si prende il suo tempo per rispondere.
Paura: Due giorni dopo aver ricevuto il messaggio, Gesù parte per Betania. Indifferenza: Nel frattempo, Lazzaro è già morto.
Lacrime: Non sappiamo quando esattamente Lazzaro sia morto rispetto al momento in cui Gesù ricevette il messaggio, né quanto tempo impiegarono lui e i discepoli per tornare a Betania, ma è certo che Gesù arrivò quattro giorni dopo la morte di Lazzaro.
Perdita: Gesù va prima a casa di Marta e Maria.
Domande: Poi si reca al sepolcro e davanti agli occhi e alle orecchie dei presenti, alcuni dei quali sono suoi sostenitori ed altri suoi oppositori. E chiede a Lazzaro di uscire (dalla tomba).
Rialzarsi: Poi Gesù dice ad alcuni di loro di sciogliere (le bende) a Lazzaro e di lasciarlo andare.
Incertezza: A quel punto, l’attenzione del narratore si sposta dal corpo risorto di Lazzaro al risentimento crescente verso Gesù da parte dei Giudei.
Angoscia: Il racconto si concentra su Gesù, come se il corpo risorto di Lazzaro non fosse più importante.
Abbandono: Gesù richiama in vita un corpo morto
Potenza: Gesù non ha lasciato Lazzaro riposare in pace
Turbamento: La storia di Lazzaro, di un uomo morto che cammina di nuovo, è inquietante.
La storia di Lazzaro pone diversi problemi.
Queering Lazzaro, in carcere
La storia della resurrezione di Lazzaro ha catturato l’attenzione di predicatori, teologi, artisti e studiosi, che l’hanno interpretata da una miriade di prospettive, appropriandosene per i più disparati interessi. Il mio obiettivo in questo testo non è ripetere quelle interpretazioni, ma rileggere la storia di Lazzaro alla luce delle esperienze vissute nella parte oceanica del Pacifico da cui provengo.
Condividerò alcune riflessioni nate dal confronto con persone detenute nelle isole del Pacifico che ho incontrato nel 2007 presso il carcere di Parklea, nel Nuovo Galles del Sud, in Australia (cfr. Taylor 2004, p. 54).
I partecipanti alle mie visite settimanali hanno acconsentito a che alcuni dei loro nomi venissero riportati: Amini, Tuifua, Samiu, Sione (x2), Va’inga, Filisione e Mali (altre persone partecipavano occasionalmente).
Ho chiesto loro di leggere Giovanni 11, di discutere della figura di Lazzaro nel cortile del carcere, di mettere in scena le loro comprensioni durante i nostri incontri, per aiutarmi a vedere questa storia attraverso i loro corpi tatuati, feriti da coltelli, cicatrizzati, colpiti da armi da fuoco, forati e violati.
I detenuti crearono anche un rap con un ritmo surreale, intitolato “il vangelo di Lazaroos”, i cui testi cambiavano a ogni esecuzione. (I titoli delle sezioni che seguono riprendono frasi tratte da quel rap).
Mi dissero che non avevo la lingua adatta per rappare, ma mi concessero di condividere alcune delle loro visioni sul racconto di Lazzaro e su ciò che ho visto nei loro corpi nel processo di “slegare Lazzaro”.
Ovviamente, non esiste un’unica comprensione “da detenuto” della storia di Lazzaro, così come non esiste una sola prospettiva nativa, indigena o asiatica (cfr. Kang 2004).
In questo capitolo onoro la molteplicità delle loro voci, cercando di sfuggire all’imposizione di discorsi dominanti che cercano di legittimare un controllo sulle prospettive (cfr. A. Jensen 2007).
Questo capitolo non riecheggerà il grido di Gesù “Lazzaro, vieni fuori!”, ma piuttosto interrogherà, con un certo sgomento: “Che diamine?” (cfr. Althaus-Reid 2005, p. 7), parlando a nome di Lazzaro. È un testo sui guai di Lazzaro e su come questa storia abbia turbato anche noi (come gruppo, per quasi quattro mesi).
Rendo queer la storia di Lazzaro seguendo la definizione proposta da Stephen Moore, secondo cui “queer” è “un segno mobile che designa ciò che si oppone al normale e al naturale, definendoli per contrasto, e al tempo stesso ciò che si annida nel normale e nel naturale per sovvertirli e persino pervertirli – un’opposizione e sovversione che privilegia, pur non limitandosi, alla sfera cangiante del sessuale” (Moore 2001, p. 18; cfr. Althaus-Reid e Isherwood 2007; Stone 2001, p. 117). […]
Lazzaro, la tua condanna è la morte
Alcune delle persone detenute con cui ho dialogato sono state condannate per omicidio; i familiari delle vittime e le loro cerchie di amici vivono nell’angoscia quando i miei amici detenuti ricevono pene lievi. Ma i miei amici nel carcere provano a loro volta angoscia quando degli uomini bianchi ricevono condanne ancora più leggere per crimini simili.
Nel contesto carcerario, la morte punge su più livelli, e i miei amici detenuti hanno sottolineato come sono colpiti dal lezzo della morte nella loro comprensione della storia di Lazzaro. Per chi è in prigione, il brano biblico di Giovanni 11 è anzitutto un racconto di morte e di reclusione in una tomba buia, dalla quale parenti e amici sono esclusi.
Lazzaro riceve una condanna a morte, e marcisce in solitudine, avvolto in bende che ne impediscono la decomposizione, persino da morto.
Il sepolcro e le bende di Lazzaro turbano i miei amici che hanno causato la morte di altre persone: uno di loro si agitava a terra, come un pesce fuor d’acqua, per mostrare come immaginava il corpo in decomposizione di Lazzaro.
La storia di Lazzaro parla semplicemente della morte, non perché ci sia speranza nella resurrezione, ma perché la morte e le condanne a morte sono realtà concrete.
«Non scherzare con la morte», mi hanno detto i detenuti, perché la speranza, per chi ha una condanna a vita o a morte, è proprio nella morte stessa. La morte è sempre vicina, e loro non la temono quanto la temo io (cfr. Byrne 1991, pp. 10-11).
I detenuti si identificano facilmente con Lazzaro. I criminali più violenti hanno visto nella sua morte un simbolo della possibilità di fuggire dalla reclusione, una visione che ha spaventato i piccoli delinquenti, non pronti alla morte, ma che vedono nella tomba di Lazzaro una rappresentazione della cella.
Alcuni erano perfino invidiosi di Lazzaro, immaginando che avesse un sepolcro tutto per sé.
Per loro, sarebbe stato crudele se Lazzaro avesse avuto un “coinquilino” nella tomba – come quando i detenuti hanno un compagno di cella – e lui fosse risorto, mentre l’altro no.
La resurrezione di Lazzaro ha quindi turbato quei prigionieri che, pur avendo una condanna a vita, si rendono conto che solo pochi tra loro, non tutti, verranno liberati.
*Il reverendo Jione Havea* è un teologo metodista originario delle isole Tonga e attualmente ricercatore presso la Charles Sturt University (Università Charles Sturt, Australia). È anche research fellow presso il Trinity Methodist Theological College (Collegio Teologico Metodista Trinity, Nuova Zelanda). Le sue pubblicazioni si concentrano sulla lettura decoloniale e queer della Bibbia, con particolare attenzione alle voci indigene del Pacifico. Ha collaborato a numerosi progetti legati alla giustizia sociale, alla teologia contestuale e alla pastorale nelle carceri.
**Questo testo riflette sulla storia di Lazzaro attraverso le opinioni espresse dai carcerati delle isole del Pacifico meridionale che non apprezzano il modo in cui Gesù e il vangelo giovanneo hanno approfittato della storia di Lazzaro. Leggono la storia a nome dei “guai di Lazzaro”, che tocca la loro realtà in modi inquietanti. Il capitolo ha messo in contatto l’immaginazione di questi prigionieri con altre immaginazioni, come con il Vangelo segreto di Marco, con due opere d’arte di Rembrandt e opere recenti di lettori queer. Il risultato è una lettura che permette a Lazzaro di disturbare ancora i lettori.
***Il Vangelo segreto di Marco, che Morton Smith affermò fosse citato in una lettera di Clemente di Alessandria (Smith 1973, p. 447), sebbene l’autenticità del vangelo e della lettera sia oggetto di dibattito tra gli studiosi (cfr. Jeffery 2007; Esler e Piper 2006, p. 48), ciò che interessa qui è l’eccentricità queer del testo.
Testo originale: Lazarus Troubles