I gay che si sposano “sono come tutti gli altri”
Articolo di Luigi De Biase del 25 aprile 2013 pubblicato su il giornale.it
I gay lottano per legalizzare i loro matrimoni, ma poi cadono negli stessi tic ed errori delle altre coppie. All’inizio c’erano i viaggi in Ontario, i pacchetti per le coppie gay con volo da Londra e cerimonia sulla strada che porta alle cascate del Niagara: certificato di matrimonio, una bottiglia di champagne e trenta foto ricordo per cinquecento dollari, tasse escluse.
Accadeva una decina d’anni fa, quando il Canada era sulla lista molto corta dei Paesi che ammettevano lo scambio degli anelli fra persone dello stesso sesso. Oggi queste unioni sono legge in molti stati americani e anche in Europa governi e parlamenti approvano misure per portare sullo stesso piano nozze gay e matrimonio tradizionale: l’ultimo caso è di questa settimana, viene dalla Francia, ma in Olanda e in Belgio il processo è cominciato fra il 2001 e il 2003. Ora questi Paesi fanno i conti con un’altra rivoluzione, quella dei divorzi gay.
L’Istituto centrale di statistica olandese, il corrispettivo dell’Istat in Italia, ha fornito qualche numero nelle scorse settimane. Circa 1300 coppie dello stesso sesso arrivano all’altare ogni anno (quelle di donne sono appena più numerose rispetto agli uomini, in media 690 contro 610), e il numero dei divorzi tocca quota 150 (anche in questo caso le donne si dicono addio con maggiore frequenza, il centro di statistica ha rilevato 100 richieste all’anno fra le coppie lesbo e 45 fra quelle gay). La situazione è molto simile in Belgio: fra il 2003 e il 2010 l’11 per cento delle unioni fra donne è finito davanti a un giudice, sostiene StatBel, mentre si parla del 6,7 per cento fra gli uomini.
Questi numeri abbattono il luogo comune abbastanza diffuso secondo il quale le coppie gay sono più stabili rispetto a quelle tradizionali. Frederick Hertz, avvocato e opinionista del sito internet americano Huffington Post, dice che la percezione si spiega facilmente: sinora il matrimonio ha interessato soprattutto persone di mezza età con storie durature alle spalle, ma adesso stanno arrivando i giovani e il mondo non sarà lo stesso.
E così, in Canada e negli Stati Uniti cresce una vera “industria legale” del divorzio gay: le unioni civili, i matrimoni e le partnership domestiche riguardano quasi mezzo milione di cittadini, si tratta di un mercato consistente e per questo fioriscono gli studi e le agenzie che mettono da parte le brossure romantiche sulle cascate del Niagara e passano il tempo con le carte bollate.
Se il diritto al matrimonio è considerato una battaglia civile dagli attivisti, quello al divorzio è una lotta alla burocrazia: la città di Washington ammette il matrimonio, lo stato del Maryland ha rifiutato le coppie gay sino al 2010 ma ora le ammette, nel Delaware il meglio che si può ottenere è l’unione civile, le autorità della Pennsylvania non riconoscono alcun contratto matrimoniale fra persone dello stesso stesso, poi si arriva a New York e si è di nuovo marito e marito (o moglie e moglie).
Naturalmente ogni stato regola in modo diverso la fine delle unioni, quindi bisogna trovare il posto giusto non solo per sposarsi, ma anche per lasciarsi, per dividere il patrimonio, per ottenere un assegno di sostentamento o per stabilire l’affidamento dei bambini che, nel frattempo, qualcuno è riuscito ad avere o ad adottare.
Probabilmente la storia più famosa è quella di Robin Tyler e Diane Olson, due donne della California che sono il simbolo della campagna sul matrimonio gay: hanno sfidato a lungo la Corte di Beverly Hills per avere la licenza di sposarsi, nel giugno del 2008 ci sono riuscite e sono state le prime a farlo nella storia dello stato (è accaduto pochi mesi prima che il governo impedisse il matrimonio gay con il cosiddetto “Prop 8”).
L’anno scorso Tyler ha avanzato la richiesta di divorzio di fronte allo stesso tribunale e ha risposto così a chi le chiedeva che cosa fosse andato storto nella battaglia: “Non abbiamo mai detto che saremmo state perfette se ci avessero riconosciuto il diritto di sposarci, o che ci saremmo amate più di chiunque altro. Infondo siamo esattamente come tutti gli altri”.