I genitori cattolici davanti al coming out di un figlio omosessuale
Articolo di Benedetta Verrini pubblicato su NOI famiglia & vita di Avvenire del 28 aprile 2018, pp. 22-23
Di quel momento della sua vita, Paola dice: «È stato come un terremoto che scuote le fondamenta di una città, e rade al suolo tutto quello che vi era stato costruito sopra». Per Lucia, invece, è cominciato con la rivelazione di sua figlia: «Soffrivo e speravo di sbagliarmi, finché un anno fa, lei mi rispose: “Sì mamma, io sono così”». Il coming out, l’ammissione sincera di un figlio o di una figlia di essere omosessuale, è uno di quei momenti che mettono alla prova una famiglia. E difficile per i figli, che molto spesso vivono anni di silenzio e difficoltà prima di parlare, e per i genitori, chiamati a elaborare emozioni e sentimenti contrastanti, di straordinaria complessità, spesso in solitudine. (…)
«Oggi questi genitori godono di una riconquistata serenità, avendo recuperato la relazione con i figli e il proprio ruolo di genitori, consci di avere ancora una responsabilità educativa e un ruolo di testimonianza sociale da esprimere». Una testimonianza sentita più che mai necessaria, visto che i genitori di ragazzi omosessuali oggi avvertono principalmente un’esperienza di disorientamento e solitudine. (…)
C’è poi la dimensione dell’accoglienza nell’ambito delle Chiese locali, non sempre facile ovunque, a volte ancora pervasa di diffidenza. Sulla scia del “rispettoso accompagnamento” indicato da Amoris Laetitia, molte comunità stanno proponendo varie iniziative, sia attraverso gruppi di famiglie che attraverso i centri di consulenza familiare.
«È molto importante che la Chiesa si attrezzi per aiutare questi genitori, che sono chiamati a un cammino sicuramente faticoso: non devono lasciare soli i figli, in particolare quando sono ancora giovani e in una fase di costruzione dell’identità; nello stesso tempo non devono conculcarne i sentimenti, ma nemmeno rinunciare a offrire elementi per fare scelte costruttive, continuando a testimoniare la ricchezza della differenza tra uomo e donna», commenta don Edoardo Algeri, psicologo, presidente della Confederazione dei consultori di ispirazione cristiana. «Penso che la Chiesa oggi più che mai debba fornire il conforto della relazione con altre famiglie che vivono la stessa condizione, non in funzione difensiva, ma sempre propositiva».
Osserva dal canto suo Innocenzo Pontillo, co-fondatore e portavoce del progetto Gionata su fede e omosessualità (www.gionata.org): «C’è un grande cammino ancora da fare, per aiutare le famiglie ad andare oltre il momento di sofferenza scatenato dal coming out e cominciare a guardare a questi figli come alla “pietra d’inciampo” che genera un cambiamento anche in loro, nel modo di vivere la fede e di osservare il prossimo».
«Non siamo comunità di perfetti e — commenta —per accogliere la diversità bisogna conoscerla: stanno aumentando in tutta Italia i percorsi di famiglie che all’interno delle parrocchie e delle diocesi sono disposte a testimoniare la loro esperienza di genitori con figli omosessuali. L’ascolto della Chiesa è fondamentale per aiutare questi ragazzi a fare scelte di vita comunque generative, in termini di solidarietà e di altruismo, e di continuare serenamente a coltivare un cammino personale di fede».
Ne sanno qualcosa Michela e Corrado, sposati da 43 anni, con tre figli e 5 nipoti. Quindici anni fa, ormai consapevoli che il loro figlio più giovane era omosessuale, hanno deciso di parlarne direttamente con lui, e ne hanno ricevuto conferma. Corrado e Michela hanno raccontato questa esperienza in occasione dell’Incontro nazionale Cei di Assisi (11-13 novembre 2016).
«Abbiamo prima di tutto voluto esprimere quanto sia importante, da genitori, mostrare gratitudine al proprio figlio (o figlia), per la fiducia con cui ci ha consegnato la parte più intima di se stesso, pur sapendo che avremmo potuto soffrirne. Siamo consapevoli che nostro figlio ha sofferto da solo per la ricerca di sé. In un’ottica di fede, ha sofferto anche per unificare l’identità di se stesso omosessuale con l’identità di se stesso credente».
Vivere questa difficoltà insieme, di fronte a un progetto misterioso e difficile da decifrare, ben diverso da quello che avevano pensato; soffrire per il timore che la società o la Chiesa non avessero accolto il figlio, è stato per Michela e Corrado un’occasione di crescita nel loro rapporto.
«Tuttavia, passati attraverso la sofferenza e con la convinzione che comunque è un progetto d’amore per il bene nostro e di nostro figlio, abbiamo scoperto la gioia che viene dall’accogliere tutto questo, chiedendoci: “cosa vuoi Signore da noi?”. E rispondendo a questa domanda, siamo diventati sposi migliori nonché genitori due volte; e aprendoci ad altri genitori per vive-re insieme queste sfide, siamo diventati tre volte genitori. Per questo osiamo definirci “famiglie fortunate”. Ora ci sentiamo in questo percorso di fede come in un cammino di esodo: attraversiamo una terra sconosciuta, non sappiamo dove ci porterà», spiega Corrado.
«Questo esodo ci ha dato frutti inattesi come lo scoprire che, una volta conosciuta e amata la diversità di nostro figlio, siamo diventati capaci di amare altre diversità, altre esclusioni. Inoltre abbiamo incontrato anche delle oasi di frescura, come quella del “consolarci” con altri genitori, ovvero stare insieme con loro sotto lo stesso Sole del Risorto che ci dice che la sofferenza e la paura non hanno l’ultima parola».