I moralisti cattolici si confrontano su identità di genere e disforia di genere
Articolo di Emilie Ng pubblicato sul sito del Catholic Leader, periodico dell’arcidiocesi cattolica di Brisbane (Australia), il 13 febbraio 2017, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Tutti, nella parrocchia di Blackall, potevano contare su Trish Elliott. Era una frequentatrice regolare della Messa ed era sempre presente, che si trattasse di sistemare i fiori sull’altare oppure di dire parole gentili a un estraneo. Durante il suo funerale, nell’aprile 2002, un ragazzo arrivò a definirla “zia onoraria”.
Non ha mai avuto figli suoi, perché la riassegnazione chirurgica del sesso l’aveva resa sterile. Trish era nata nel 1947 sotto il nome di Kevin Elliott, in una famiglia che contava altri sei figli. Due anni prima dell’operazione di riassegnazione in Australia, era andata in Egitto per sottoporsi a un’altra fondamentale operazione. Tornata a Blackall come Trish dopo l’operazione (il nuovo nome era la versione abbreviata del secondo nome di sua madre Yvonne), ha affrontato la transizione accompagnata da tutto il suo paesino.
Padre Kevin McGovern è arrivato a Blackall proprio nel 2002 ed è riuscito a conoscere Trish poco prima dell’attacco cardiaco che l’ha portata via. Padre McGovern è un sacerdote del Queensland che fino all’anno scorso ha diretto un centro di etica sanitaria a Melbourne, e solo alla morte di Trish è venuto a sapere della sua transizione: “Era un membro molto attivo della parrocchia, era spesso e volentieri in disaccordo con la Chiesa, ma questo non le impediva di partecipare a tutto”. Padre McGovern è uno dei molti esperti di etica e bioetica che cercando di comprendere il fenomeno delle persone transgender e della disforia di genere.
L’identità transgender ha un senso?
Secondo il Royal Children’s Hospital Melbourne (Ospedale Pediatrico Reale di Melbourne), uno dei centri più attrezzati per la disforia di genere in Australia, la condizione transgender, conosciuta appunto come disforia di genere, è “il disagio che una persona avverte per via dell’incongruenza tra il proprio sesso biologico e il modo in cui si esprime normalmente”. Una persona transgender può non ricorrere alla chirurgia per diventare maschio o femmina, ma tutte le persone transgender vivono la disforia di genere.
Nel 2014, a partire da un sondaggio svolto tra i giovani in Nuova Zelanda secondo cui l’1.2% degli studenti si ritiene transgender, [l’emittente australiana] ABC ha stimato il numero [di studenti transgender] nel Paese a circa 18.000, ma altri stimano il numero più vicino a 44.000. Questo indica che il numero di studenti affetti da disforia di genere sta aumentando, a giudicare anche dai dati che arrivano dai referti provenienti dai centri specializzati di tutto il Paese.
Le persone transgender, a prescindere dall’età, corrono gravi rischi per la salute: la National LGBTI Health Alliance (Alleanza Nazionale per la Salute delle Persone LGBTI) stima che le persone transgender al di sopra dei diciotto anni hanno una probabilità undici volte maggiore di tentare il suicidio, e una probabilità sei volte maggiore di compiere atti autolesionistici [rispetto al resto della popolazione].
La chirurgia e il trattamento ormonale sono le terapie più comuni per chi riceve la diagnosi di disforia di genere. Nel 2015 il Centro Genere del Royal Children’s Hospital Melbourne ha ricevuto 104 referti su giovani sotto i diciassette anni che soffrivano di disforia di genere. I minori che ricevono questa diagnosi possono sottoporsi al trattamento con ormoni e con i “bloccanti della pubertà” nei centri autorizzati.
È vera o no? Cosa dice la scienza sulla disforia di genere
Il sempre crescente numero di studenti transgender pone molti interrogativi alla Chiesa Cattolica. Al presente non è stata emessa alcuna dichiarazione ufficiale che possa essere da guida alle scuole cattoliche, agli studenti, ai genitori e alla società.
“La Chiesa tende a considerare l’identità transgender un disturbo psicologico. Questo insegnamento non ha una particolare autorità, ma la Chiesa vuole che gli prestiamo ascolto rispettosamente e che lo meditiamo in preghiera” dice padre McGovern.
L’esperto di bioetica australiano padre Joseph Parkinson si rivolge invece alla scienza per capire meglio. La sua ricerca si basa su tre consultazioni di genitori con figli che soffrono di disforia di genere, e si chiede quale sia il modo migliore per gestire gli studenti transgender nel passaggio tra elementari e medie. La ricerca è intitolata Pastoral Care of Transgender Students in Catholic Schools (La cura pastorale degli studenti transgender nelle scuole cattoliche) e non è ancora stata pubblicata.
Dopo aver letto montagne di “autorevolissimi” lavori accademici sul tema, padre Parkinson ha raggiunto la sua conclusione sulla definizione da dare dell’esperienza transgender, una conclusione che riflette l’opinione della Chiesa: “Le ricerche affidabili sul tema indicano che il fenomeno transgender è quasi interamente psicologico. La scienza seria non coincide con la retorica popolare. Le ricerche indicano che, nonostante i buoni risultati e la soddisfazione dei pazienti che hanno effettuato la transizione negli anni ‘70, ‘80 e ‘90, nemmeno la chirurgia e il trattamento ormonale migliorano la disforia. Le ricerche affidabili sugli adolescenti trans (cioè i giovani fino ai vent’anni) mostrano non solo che i trattamenti associati alla disforia di genere non la migliorano, ma che [questi giovani] avvertivano disagio già prima di sollevare la questione della disforia”.
Infatti padre Parkinson, che è stato ospite l’anno scorso della conferenza nazionale sull’educazione cattolica a Perth, non raccomanda assolutamente l’opzione chirurgica a chi ha la disforia di genere, soprattutto se minore: “La mia posizione è che per le persone che si sentono trans, a prescindere dall’età, l’unica terapia adatta è la psicoterapia. Non credo che la chirurgia serva a qualcosa. I dati mostrano che la psicoterapia è la cosa migliore”.
Padre Parkinson ha anche analizzato i referti sulle persone in cura per la disforia, e se alcuni casi sono genuini, nella maggior parte delle statistiche i numeri vengono gonfiati: “Una stima abbondante è una [persona transgender] su 10.000, forse anche meno”, vale a dire lo 0,01% degli adulti. Parlando della probabile cifra di studenti veramente trans nelle scuole cattoliche australiane, secondo padre Parkinson su 700.000 studenti non più di 60 o 70 potrebbero essere classificati come tali.
Per padre Parkinson la retorica popolare gonfia le statistiche e si basa su “relazioni assolutamente soggettive”. Piuttosto che ammettere che il fenomeno sia in crescendo, invoca una maggiore attenzione e una costante messa in discussione di ciò che propongono i media, e invita a leggere le ricerche scientifiche sul tema: “La ragione per cui sempre più [persone trans] stanno uscendo allo scoperto è la visibilità. Ogni settimana i media ne parlano. È una risposta facile. L’identità transgender è lì che galleggia come una facile scappatoia, e in effetti ciò che questi giovani vivono è piuttosto complesso, non è semplice transgenderismo. Se lasciati in pace, la maggior parte dei minori crescono in modo corretto”.
Il modello più diffuso, adottato da molti gruppi di sostegno e counseling, si basa invece sull’accettazione e la scelta. Secondo padre Parkinson, mettere i giovani in grado di scegliere il proprio genere può essere pericoloso: “Per me questo non ha senso, è come lasciare i bambini capire da soli come attraversare la strada”. Secondo il ricercatore, i medici spingono con troppa leggerezza i giovanissimi a gestire il loro disagio con la transizione invece di prendere in considerazione “le ricerche concrete e affidabili”.
Questo è un ambito in cui la Chiesa Cattolica può crescere: “È importante che noi, come Chiesa, non ci limitiamo alla teologia, che non metto in discussione, ma abbiamo bisogno di persone che si occupino di scienza e interpretino per noi cosa dicono le ricerche concrete e affidabili”. La Conferenza Episcopale Australiana ha confermato che le tematiche transgender nelle scuole cattoliche saranno oggetto di due commissioni di studio nel 2017.
Sentirsi del sesso opposto: cos’è l’esperienza transgender
Per i casi autentici di transgenderismo rimane la domanda esistenziale: come fa un uomo che crede di essere una donna intrappolata in un corpo maschile sapere cosa vuol dire essere una donna e poi vivere coerentemente come una donna? Secondo l’ex direttore del Queensland Bioethics Centre (Centro di Bioetica del Queensland), dottor Ray Campbell, tali esperienze sono impossibili da misurare: “Sapere cosa significa essere una donna è una esperienza corporale, di cui l’uomo non ha nessuna idea. Non ha vissuto la pubertà femminile, non ha vissuto i momenti fondamentali della vita di una donna, come le mestruazioni… La sua esperienza del sentirsi donna è una congettura, un sentimento che viene dall’intimo ma che non è vero, perché non vive il corpo della donna. Una donna che dice di essere un uomo non ha mai attraversato la pubertà maschile, non conosce l’imbarazzo di un ragazzino di fronte a un’erezione e cose del genere. È una fantasia, una proiezione di cosa potrebbe voler dire essere un maschio”.
Un problema ancora più grosso sorge quando queste fantasie e stereotipi diventano la base per la transizione, che non include solamente un’operazione chirurgica per rimuovere o impiantare organi genitali, ma anche i trattamenti ormonali, la logoterapia, la psicoterapia, la chirurgia estetica, la rimozione della barba e altro ancora: “Ora, se seguiamo fino in fondo la strada di queste terapie, il che oggi è molto comune, torniamo all’esperienza del dottor Paul McHugh, uno dei fondatori della chirurgia transessuale all’ospedale John Hopkins [a Baltimora, negli USA]. Quell’esperienza a un certo punto venne interrotta. Perché? Perché capirono che non serviva: il tasso di suicidio dopo l’operazione rimane altissimo”.
Il problema dei metodi popolari di counseling è che si affidano “alle sensazioni e agli affetti. In generale sono metodi che non hanno nulla a che fare con la biologia, non sono radicati in nessuna scienza, sono pura ideologia”. Se le sensazioni di una persona corrispondono ai sintomi della disforia di genere, si incoraggia in genere ad accettare tali sensazioni e a iniziare “un lungo ciclo” di terapie: “Ora il problema, soprattutto quando parliamo di giovanissimi, è che le ricerche dimostrano che più di due terzi di chi si considera transgender da giovane, da adulto non ha più questo problema. Nel giro di dieci o quindici anni, non sono più transgender”.
Continuare a propinare queste terapie senza tenere in alcun conto i fattori biologici vuol dire produrre tutta una massa di adulti che si pentiranno di aver cambiato sesso. Ma allora, qual è il trattamento appropriato per chi davvero soffre di disforia di genere? “Credo ci voglia molta psicoterapia, ma il problema più grave è l’accettazione semplicistica di questi giovani che in sempre maggior numero pensano di essere transgender” dice il dottor Campbell.
Padre Parkinson aggiunge la raccomandazione che questi casi siano esaminati in un ambiente controllato, in cui una persona, possibilmente il preside, tenga i contatti con gli studenti e i genitori: “La prima cosa che la scuola dovrebbe fare è nominare un medico (uno psichiatra o un endocrinologo) per controllare l’anamnesi del giovane, per poi dare il suo responso alla scuola, se è un caso genuino, se è serio, e la scuola deve collaborare, non prendere per oro colato quanto dice la famiglia”.
Per quanto riguarda l’educazione dei giovani alla sessualità e alla persona umana, gli insegnamenti della Chiesa Cattolica sono la scelta migliore per una scuola, dice il dottor Campbell: “Penso che dobbiamo occuparci di trasmettere ciò che è buono e positivo, noi [Chiesa Cattolica] dobbiamo dire cosa va bene e cosa no. Abbiamo una buona novella sulla persona umana, sulla sessualità, sull’amore. È questo che dobbiamo promuovere, e meglio lo faremo, meglio potremo controbilanciare altri punti di vista, sbagliati, sulla sessualità umana”.
Accompagnare, non abbandonare
Allora, la Chiesa Cattolica chiede a chi si sente transgender, cioè a chi ritiene che il suo sesso biologico sia in opposizione con una immaginaria identità di genere, di abbandonare la Chiesa per poter vivere una vita soddisfacente e santa? L’esperto di etica padre McGovern spera che la Chiesa non giunga mai a questo punto. Secondo lui i veri casi di identità transgender sono “piuttosto rari”, ma questo non vuol dire svalutare chi davvero la vive.
Ripensando alla sua esperienza con Trish Elliot, per padre McGovern l’atteggiamento esemplificato dal Padre Nostro consiste nell’accompagnare il prossimo nel suo cammino. Ispirato da papa Francesco, che ha incontrato personalmente l’uomo transgender Diego Neria Lajarraga, il sacerdote sta imparando che la forza dell’accompagnamento per chi vive una vera disforia di genere consiste nell’attirare le mosche con il miele, non con l’aceto: “Diego ha scritto al Papa, e il Papa gli ha telefonato [e poi incontrato]. Gli ha detto ‘Soy el papa Francisco’”.
Per padre McGovern non è una coincidenza che la telefonata del Santo Padre si sia svolta l’8 dicembre 2014, festività dell’Immacolata Concezione: “Nel 2015 c’è stato l’Anno della Misericordia, e dodici mesi prima… la parabola della misericordia. La mia speranza principale è che la Chiesa possa essere ciò che Diego ha visto in papa Francesco, un luogo di incontro per la gente. Mi piace pensare che la nostra Chiesa possa essere un luogo simile a papa Francesco, che accompagni e non abbandoni”.
Testo originale: The transgender phenomenon: Three Catholic ethicists widen the debate