I nostri natali perduti e ritrovati
Riflessioni bibliche di Fabio Trimigno del gruppo Zaccheo Puglia Cristiani Lgbt+
Ogni lunedì alle ore 20 il gruppo Zaccheo,Cristiani Lgbt+ della Puglia, apre una stanza online per poter meditare sul Vangelo e “spezzare” assieme la parola. Lo scorso lunedì eravamo collegati in undici: sei donne e cinque uomini. Vedere come la presenza di donne si fa sempre più marcata mi fa sperare in una Chiesa più sinodale, una Chiesa con voci alla pari. Uno sguardo al femminile sul vangelo di Luca, una catechesi tenuta da una giovane valdese, restituzioni di donne, la meravigliosa esperienza di una madre e il suo parto, un Natale al femminile…
Le donne, spesso le ultime e – nella tradizione cattolica – mai coloro che spezzeranno la parola e il pane sull’altare. Le donne, le ultime, eppure le prime a dare la vita.
Proprio come i pastori nomadi di cui ci parla l’evangelista (LC 2,15): i pastori non erano ben visti perché durante la transumanza rovinavano i campi e i terreni coltivati con il loro gregge, eppure sono i primi messaggeri del “veniente”.
Le categorie più svalutate e le più emarginate, paralitici e lebbrosi, ciechi e zoppi, pastori e i mendicanti, pubblicani e prostitute, sempre loro ad essere i primi testimoni di un messaggio di salvezza, di un miracolo, di un cambiamento.
Il nostro, che lo vogliamo o no, è un Dio che rafforza lo stravolgimento dell’ordine e del controllo costituiti dall’uomo e dalla stupidità delle Istituzioni e del potere.
I pastori vanno senza indugio (LC 2,16) e trovano il bambino adagiato lì dove si nutrono le bestie, tra la paglia, in una mangiatoia, e probabilmente in mezzo allo sterco e tanta altra roba nauseabonda.
L’Altissimo si fa bassissimo, l’Onnipotente si fa fragile, l’Infinito si fa finito nella carne e nelle ossa, il grande dentro al piccolo, la luce del giorno nel buio della notte, il profumo dell’incenso diventa odore di sterco, la divinità nell’umanità, un bambino che piange proprio come tutti i bambini del mondo, indifeso, mortale, come noi. La nostra religione, la nostra fede, il nostro credo: il Dio degli “ossimori”, il Creatore che si azzera per incarnare la sua stessa creatura, il “veniente” che entra nella nostra quotidianità per trasfigurarla.
E senza alcuna autorizzazione, senza nessun mandato apostolico, i pastori diventano annunciatori e “angeli” essi stessi, comunicando addirittura con i genitori del bambino (LC 2, 17-18), prefigurando già l’opera futura degli apostoli, vegliando di notte più di quanto veglieranno i futuri discepoli nell’orto dei Getsemani.
La bellezza di questo Dio si manifesta nell’adorazione da parte della “diversità”: i pastori erano ritenuti pagani dagli ebrei. Eppure la paganità – nel suo culto alla madre terra- riconosce la potenza di un Dio che viene ad abitare in mezzo al popolo. La manifestazione del messaggio di Dio arriva ad analfabeti, ad emarginati, agli ultimi, ai pagani, ma con estrema profondità interiore, pur non essendo quest’ultimi parte del popolo ebraico.
Gesù è inclusivo sin dalla sua nascita.
Gesù è come una crepa nel terreno: puoi far finta che non ci sia, ma resterà pur sempre un terreno con una crepa. E in quella crepa, in quella grotta, in quella stalla, in quella capanna qualcosa è cambiata.
C’è una storia aldiquà di quella crepa, e c’è un’altra storia aldilà di quella stessa crepa che ci porta nell’”ulteriore”.
Ho visto chiese addobbate peggio dei centri commerciali: luci, alberi, palle, fiocchi, stelle, paillettes, …
E poi questa moda degli alberi da lanciare come simbolo cristiano forzato sia nelle chiese che nelle omelie: ci manca solo che ci mettono lo zucchero a velo sull’Eucarestia!
Ma dov’è il vero senso del Natale se già nelle nostre chiese l’abbiamo perduto?
E’ vero che non può esserci una Pasqua senza un Natale, ma è anche vero che ci sono innumerevoli Natali senza Pasque. Ci sono infiniti Natali perduti: persone sole, come zombie, che non riescono a vivere a pieno e non risorgono mai nella loro quotidianità; sacerdoti che dividono anziché unire, fedeli che si allontanano anziché avvicinarsi, mamme che lasciano i loro figli, figli che non si prendono cura dei loro genitori, ormai anziani…
Occorre trovare la capanna del “veniente” e raccontare con meraviglia e stupore di questa venuta (LC 2, 18). E’ necessario abbandonare le nostre sicurezze, per andare incontro ad un bambino, all’essenziale, andare incontro all’altro diverso da me, e mettere assieme i pezzi della storia e dell’umanità come Maria (LC 2, 19)
Il nostro Dio non è la cima di un monte, ma il mare che lo circonda. E Maria si mette in silenzio in questo mare di sentimenti ed emozioni, si mette ad aspettare che si compia ciò per cui suo figlio è venuto.
Non mi immagino una Maria in ginocchio, neanche in preghiera davanti ad una mangiatoia (sfido qualsiasi donna a raccontarmi se sono riuscite ad inginocchiarsi dopo un parto e a mettersi in preghiera con le mani giunte): l’immagine dei presepi è molto lontana dalla realtà che Maria ha vissuto quella notte.
Ma sicuramente la meraviglia, lo stupore, l’agitazione e l’eccitazione di una mamma che non riesce a dormire e controlla ogni minuto se il bambino respira, se occorre cambiarlo e lavarlo, tutto questo ci racconta di una donna che è al servizio accanto a quella mangiatoia, che cerca tra un dolore e l’altro di prendersi cura della sua creatura, del suo Creatore.
Non c’è cosa più bella che riscoprire la Pasqua nel Natale: le doglie del parto sono come le sofferenze della Passione, sono necessarie entrambe, e il parto ci aiuta a comprendere meglio il mistero della Resurrezione.
Il mio augurio per questo Natale è che possiamo recuperare tutti quei Natali perduti, per trasfigurarli e farli risorgere.
Buon Natale 2021