I nuovi cardinali nominati da Papa Francesco sapranno ascoltare le persone LGBT?
Articolo di Robert Shine* pubblicato sul sito dell’associazione LGBT cattolica New Ways Ministry (Stati Uniti) il 16 settembre 2019, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Come verranno affrontate le questioni LGBTQ [nella Chiesa Cattolica] ora che papa Francesco ha nominato diversi cardinali provenienti dal Sud del mondo? Michael Sean Winters, del [bisettimanale cattolico] National Catholic Reporter, tenta di fare un’analisi in questo senso, in vista del Concistoro del 5 ottobre prossimo, ma la sua è una visione molto ristretta del mondo LGBTQ cattolico e delle sue problematiche.
Winters sostiene che “uno dei più significativi cambiamenti nel Collegio Cardinalizio effettuati da Francesco non è tanto ideologico, quanto geografico”. Ed è vero: la nomina di numerosi cardinali provenienti da Paesi non occidentali porterà a “una modifica delle priorità della Chiesa”, il che, secondo Winters, significa che i cardinali non occidentali avranno una maggiore attenzione per i poveri, in quanto i vescovi occidentali hanno altre priorità: “Negli Stati Uniti la guerra culturale della destra si concentra sulla fedeltà alla morale sessuale tradizionale; la guerra culturale della sinistra si concentra invece sul medesimo obiettivo, ma per lo scopo esattamente opposto. Ma se sei un cardinale indonesiano, o guatemalteco, o congolese, restringere o allargare i diritti LGBT non è certo la priorità: assicurarti che il tuo gregge non soffra la fame conta molto di più di sapere con chi va a letto”.
Winters ha ragione quando scrive che papa Francesco vuole che la Chiesa diventi “più povera a beneficio dei poveri”, una Chiesa guidata maggiormente da leader provenienti dalle periferie; è un obiettivo ottimo, ed è la ragione per cui rimango un forte sostenitore di Francesco e del suo programma riformatore.
Ma quando Winters dice che non soffrire la fame è più importante di sapere con chi qualcuno va a letto, sta dicendo che è d’accordo con i vescovi non occidentali, i quali intendono sminuire le problematiche LGBTQ relegandole nell’ambito della morale sessuale, senza prendere in considerazione le implicazioni sociali della discriminazione. I diritti LGBTQ sono prima di tutto una questione di giustizia sociale, una causa in assoluta armonia con una Chiesa giusta che lotta per la giustizia nel mondo, come vuole Francesco. Aiutare le persone LGBTQ, sia in Occidente che nei Paesi in via di sviluppo, significa proteggere la loro dignità, la loro sicurezza e la loro libertà.
Winters e i vescovi non occidentali non capiscono una cosa: le persone LGBTQ nei Paesi in via di sviluppo costituiscono una particolare categoria di “poveri”, con cui la Chiesa deve essere solidale. In 72 nazioni, essere LGBTQ è perseguito penalmente, a volte persino con la pena di morte. In queste nazioni, ma in realtà ovunque persistano i comportamenti omo-transfobici, le persone LGBTQ devono affrontare quotidianamente minacce e violenze. Le persone transgender, e quelle che non si conformano alle aspettative di genere, sono una delle categorie di emarginati più soggette a violenze; negli ultimi dieci anni ne sono state uccise quasi 3.000, e i numeri stanno aumentando di molto, come riporta il Trans Murder Monitoring Project (Progetto di Monitoraggio degli Omicidi delle Persone Trans). In tutto il mondo le persone LGBTQ devono affrontare molte discriminazioni che tarpano loro le ali, e costituiscono comunità economicamente più povere degli emarginati eterosessuali e cisgender. Distinguere le comunità LGBTQ sofferenti dai “poveri” significa ancora una volta ignorare quegli emarginati che la Chiesa, secondo papa Francesco, dovrebbe accompagnare.
La strategia di Winters di mettere in opposizione le questioni sociali con quelle sessuali, e i vescovi occidentali con quelli del Sud del mondo, trascura la complessità del rapporto di questi ultimi con le problematiche LGBTQ. Molti prelati del Sud del mondo, lungi dal non interessarsi alle persone con cui si va a letto nei loro Paesi, sono invece ossessionati dalle persone LGBTQ, molto più dei loro colleghi occidentali.
Alcune delle dichiarazioni di prelati cattolici più violentemente anti-LGBTQ degli ultimi tempi ci sono arrivate proprio da quelle parti del mondo, ma c’è anche chi si impegna in senso contrario: nel Sud del mondo le reazioni dei cattolici di fronte alle questioni LGBTQ sono variegate, come in ogni altro luogo. Ma Winters sbaglia se crede che non ce ne si occupi: abbiamo visto anche troppi vescovi da posti come l’Indonesia, il Guatemala o il Congo che si interessano moltissimo di questioni LGBTQ.
Winters, poi, non dice una cosa importante: i diritti LGBTQ saranno sempre nel programma della Chiesa, perché così vogliono i fedeli. Storicamente questo è certo vero per i fedeli occidentali, ma anche in altre parti del mondo le cose stanno rapidamente cambiando. Quest’estate ho partecipato all’incontro del Global Network of Rainbow Catholics (Rete Globale dei Cattolici Arcobaleno) e sono stato felice di poter testimoniare che i diritti LGBTQ non sono più, se mai lo sono stati, un problema solo occidentale; persone LGBTQ cattoliche in Paesi del Sud del mondo come le Filippine, l’Uganda, il Messico e molti altri chiedono di avere il loro posto non solo nella società, ma anche nella Chiesa. Papa Francesco ha voluto nominare vescovi attenti alla pastorale, tendenti più ad accompagnare che a escludere, e nel fare questo ha fatto sì che, in tutto il mondo, il grido delle persone LGBTQ non resti inascoltato.
* Robert Shine è direttore associato di New Ways Ministry, per cui lavora dal 2012, e di Bondings 2.0, un blog, aggiornato quotidianamente, che riporta notizie e opinioni dal mondo LGBT cattolico. È laureato in teologia alla Catholic University of America e alla Boston College School of Theology and Ministry.
Testo originale: Will New Cardinals Lead to LGBTQ Issues Being Downplayed in Church?