I ragionieri della fede e lo scandalo della sospensione di don Mignani
Riflessioni di Massimo Battaglio
Di don Giulio Mignani, il sacerdote sospeso a divinis nella diocesi di La Spezia per aver sostenuto posizioni favorevoli alla causa lgbt+, si sta parlando tantissimo. E si parlerà ancora. Sicuramente, continueremo a parlarne noi de La Tenda di Gionata perché la cosa ci sta a cuore.
Sicuramente continueranno a crescere le occorrenze in rete sull’argomento, che, a oggi, sabato 8 ottobre, rimandano a 98 articoli e a 61 video.
Se il vescovo di La Spezia avesse immaginato lo scandalo che stava suscitando nel punire pedestremente uno dei suoi migliori preti accusando lui di aver detto cose scandalose, probabilmente avrebbe usato maggior prudenza e più acuta discrezione.
Ma si sa: i nostri vescovi, sempre così cauti, così timidi, talvolta talmente timorosi nel denunciare i crimini veri, da scivolare nella connivenza pur di non scandalizzare, quando sentono la parola “omosessualità”, perdono il controllo.
C’è da capirli. Loro sanno. Hanno ben presente quanto sia diffusa la pratica disordinata degli atti omosessuali (uso le loro parole) nei loro presbiterii.
Sono perfettamente al corrente dell’esistenza di quella famosa “lobby gay vaticana” di cui aveva parlato anche il Papa. E sanno che è così potente da aver determinato, per anni, l’avanzamento o l’arretramento di non pochi porporati in carriera. Dunque: inflessibilità totale, almeno nell’apparenza. Di certi argomenti, non si parla.
Se si legge con pazienza il testo del decreto di sospensione a divinis che ha colpito don Giulio, si capisce che la chiave di lettura è proprio questa: non importa fare, pensare, agire, amare. L’importante è non farlo in pubblico. Il documento comincia così:
“Il sacerdote Giulio Mignani, nato a La Spezia il 18-06-1970, residente a Bonassola (SP), piazza della Chiesa 1, ordinato il 27-06-1999, incardinato in questa diocesi, nel corso degli ultimi anni, più volte ha rilasciato esternazioni pubbliche, apparse anche su vari quotidiani e interviste televisive, nelle quali ha ripetutamente sostenuto posizioni non conformi all’insegnamento della Chiesa Cattolica”.
La parola “omosessualità” non compare nemmeno. E non comparirà mai in tutto il corpo del provvedimento, nel quale ci si limiterà ad argomentare la correttezza dell’iter processuale. Il problema è solo l’aver parlato in pubblico.
Se non avessimo ascoltato le dichiarazioni di don Giulio stesso a riguardo, potremmo addirittura immaginare che il suo vescovo Luigi Ernesto Palletti fosse perfettamente d’accordo con lui, in linea di principio. Potremmo persino credere che condividesse le sue idee e la sua azione pastorale.
D’altra parte, bisognerebbe essere ben duri di cuore a non commuoversi nell’ascoltare le numerose storie di accoglienza, consolazione, liberazione, di cui don Giulio è stato protagonista. Ma il problema non è quello. La questione è che, su certi argomenti, vige il principio “si fa ma no si dice“. Se no, qualcuno potrebbe scandalizzarsi.
E così, si finisce per scandalizzare ancora di più. Si finisce per suscitare l’indignazione di tutti i cattolici che non amano tanto le norme quanto piuttosto le persone o che non sono tanto versati nel diritto canonico ma conoscono il Vangelo. E’ spettacolare la reazione che decine di giornali e migliaia di cristiani hanno avuto, richiamando alla coerenza, alla sincerità, all’apertura, al rinnovamento. Un giorno dovremo andare da monsignor Palletti a ringraziarlo.
Ricordo quando papa Francesco stigmatizzò i cardinali chiamandoli “ragionieri della fede“. Questo è proprio un caso di ragionieria. E’ uno di quei casi in cui non esiste una persona; non esistono altre persone a cui questa persona ha fatto magari del bene. Esiste solo la norma. E, visto che questa norma aiuta a dormire sonni tranquilli, la si applica con tutta l’acriticità possibile.
Ma è uno dei primi casi in cui il popolo di Dio sta dicendo di no. Non ci sta più. Non è il primo caso in assoluto. Recentemente avevamo assistito all’odiosa vicenda del professore di religione di Verona, prima sospeso dal suo vescovo e immediatamente reintegrato a seguito di una sollevazione popolare.
Ma quello di don Giulio è il primo episodio in cui l’argomento del contendere è la questione lgbt+. Il che non può che farci piacere. Siamo addolorati per la pena che lui sta sopportando (e che, immaginiamo, non durerà per molto) ma il nostro cuore è colmo di gratitudine per la sua preziosissima testimonianza. Sappia che, per qualunque cosa, noi ci siamo.
Detto ciò, c’è un tarlo che, in questi giorni, mi sta tormentando un po’: la strana coincidenza temporale tra i fatti di La Spezia e quelli di due settimane fa, ovvero l’udienza dai rappresentanti de La Tenda di Gionata in piazza San Pietro, e il documento dei vescovi fiamminghi sulle coppie lgbt+. E’ una coincidenza singolare perché le date creano sospetto.
Le prime indagini del vescovo risalgono al maggio 2021. Il primo richiamo scritto era arrivato a don Giulio l’8 dicembre (e già questo…). Negli ultimi mesi, la vicenda era proseguita fino alla formulazione del decreto si sospensione, datato 5 settembre 2022 ma attuato solo ora.
Perché questo ritardo? Siamo sicuri che monsignor Palletti stia agendo solo a nome proprio?