I regali di un povero Papa, bagagli leggeri per tempi difficili
Articolo di Gianni Valente pubblicato sul sito Vatican Insider l’8 maggio 2018
Un paradosso accompagna in maniera sempre più marcata gli anni del pontificato di Papa Francesco: la strasbordante copertura mediatica alimentata intorno all’attuale Successore di Pietro finisce (e spesso serve) per occultare il succo di quello che lui va suggerendo ogni giorno a tutti.
Riflettori che oscurano
I radar taroccati dei denigratori antipapali a tempo pieno e quelli dei professionisti dell’entusiasmo “bergoglista” non intercettano le espressioni quotidiane delle sue parole e dei suoi gesti di pastore. I loro sensori sintonizzati giorno e notte sulle gesta del “personaggio” Bergoglio, salvo rare eccezioni, non raccontano, attestano o riportano quello che lui dice, scrive e fa. Preferiscono interpretarlo secondo le proprie precomprensioni. Setacciano con accanimento maniacale i gesti e le parole del Papa solo per cercare conferme alle caricature di Bergoglio disegnate e propalate da loro stessi – quella del presunto tardo-modernista fuori tempo massimo e quella del «grande rivoluzionario» – che si spartiscono lo spazio mediatico. Collezionano e rilanciano solo i dettagli estrapolati che servono a darsi ragione, a confermare le proprie arrugginite chiavi di lettura.
Vie di fuga e zaini leggeri
Nel frattempo, quelli che vogliono soltanto camminare nella fede degli Apostoli trovano – hanno già trovato – altre strade per attraversare questa singolare stagione ecclesiale. Mentre i circoli clerico-mediatici si spartiscono i ruoli nelle campagne orchestrate intorno al personaggio papale, tanti battezzati non appesantiscono il proprio zaino con la zavorra delle zuffe pseudo-dottrinali da tastiera con cui si trastullano tanti circoletti mediatico-clericali.
La via di fuga imboccata dal sensus fidei del popolo di Dio è semplice, efficace e alla portata di tutti: seguire il magistero ordinario del Successore di Pietro. Proprio quello oscurato e rimosso
dai clerical blogger, quello che non conquista titoli dei giornali. Che non ha il problema di acquisire “visibilità”, di sfondare tra le highlights di Google, che non pretende di influenzare o addirittura orientare i «flussi» della comunicazione globale. Il magistero “elementare” del Papa, quello che continua a esprimersi copiosamente nelle omelie di Santa Marta, nelle catechesi del mercoledì, negli Angelus della domenica, nelle Encicliche e nelle Esortazioni apostoliche, nelle visite alle parrocchie, negli incontri quasi quotidiani con il popolo di Dio. Quello dove anche Papa Francesco appare per quello che è: un povero peccatore abbracciato da Gesù. Talmente grato per questo abbraccio da non occultare e non scandalizzarsi dei propri limiti e dei propri errori.
La Chiesa di ogni giorno
Se si sceglie anche a caso qualche giornata degli ultimi mesi, tra gennaio e aprile, si può verificare facilmente l’ordito del magistero ordinario che il Vescovo di Roma propone in ogni circostanza che gli capita a tiro. Basta provare. Nei primi giorni dell’anno, ai ragazzi rumeni ospitati in un orfanotrofio tenuto dall’Avsi, il Papa ha detto che andare in chiesa «Serve se all’inizio, quando io entro, posso dire: “Eccomi Signore. Tu mi ami e io sono peccatore. Abbi pietà di noi. Gesù ci dice che se facciamo così, torniamo a casa perdonati… Così piano piano Dio trasforma il nostro cuore con la sua misericordia, e trasforma anche la nostra vita» (4 gennaio). Ai genitori dei neonati che stava per battezzare nella Cappella Sistina, ha ricordato che «noi abbiamo bisogno dello Spirito Santo per trasmettere la fede, da soli non possiamo. Poter trasmettere la fede è una grazia dello Spirito Santo, la possibilità di trasmetterla; ed è per questo che voi portate qui i vostri figli, perché ricevano lo Spirito Santo» (7 gennaio).
Quando ha partecipato alla festa per la traslazione dell’icona restaurata della Salus Populi Romani, nella basilica di Santa Maria Maggiore, il Papa ha ricordato che «Dove la Madonna è di casa il
diavolo non entra. Dove c’è la Madre il turbamento non prevale, la paura non vince. Chi di noi non ha bisogno di questo, chi di noi non è talvolta turbato o inquieto? (…). E noi abbiamo bisogno di lei come un viandante del ristoro, come un bimbo di essere portato in braccio. È un grande pericolo per la fede vivere senza Madre, senza protezione, lasciandoci trasportare dalla vita come le foglie dal vento» (28 gennaio).
Ai consacrati e alle consacrate, nella Giornata mondiale a loro dedicata, ha ricordato che «Avere il Signore tra le mani è l’antidoto al misticismo isolato e all’attivismo sfrenato, perché l’incontro reale con Gesù raddrizza sia i sentimentalisti devoti che i faccendieri frenetici» (2 febbraio).
Ai bambini di Ponte Mammolo, nella sua visita alla parrocchia romana di San Gelasio I, ha detto che anche quando si vivono «tempi brutti» dobbiamo «prendere la mano di Gesù, perché Gesù ci porti per mano avanti» (25 febbraio). E poi, durante la messa, commentando il passo evangelico della Trasfigurazione, ha ricordato che «Gesù ci prepara sempre alla prova. In un modo o in un altro, ci prepara sempre. Ci dà la forza per andare avanti nei momenti di prova e vincerli con la sua forza. Gesù non ci lascia soli nelle prove della vita: sempre ci prepara, ci aiuta, come ha preparato questi discepoli, con la visione della Sua gloria» (25 febbraio).
In Quaresima, durante la Celebrazione della penitenza svoltasi nella Basilica di San Pietro, prima di accostarsi anche lui al confessionale, il Papa ha ricordato a tutti che «la condizione di debolezza e di confusione in cui ci pone il peccato è un motivo in più perché Dio ci rimanga vicino» (9 marzo).
A San Giovanni Rotondo, parlando di Padre Pio, ha ricordato che il Santo di Pietrelcina «ha offerto la vita e innumerevoli sofferenze per far incontrare il Signore ai fratelli», e che «il mezzo decisivo per incontrarlo era la Confessione, il sacramento della Riconciliazione. Lì comincia e ricomincia una vita sapiente, amata e perdonata, lì inizia la guarigione del cuore» (17 marzo).
Nella festa di San Giuseppe, quando ha celebrato alcune ordinazioni episcopali, ha ricordato che «attraverso l’ininterrotta successione dei vescovi nella tradizione vivente della Chiesa l’opera del Salvatore continua e si sviluppa fino ai nostri tempi», perché «È Cristo che nel ministero del vescovo continua a predicare il Vangelo di salvezza e a santificare i credenti, mediante i sacramenti della fede» (19 marzo).
Nell’omelia della domenica della Misericordia, ha ringraziato l’apostolo Tommaso, «perché non si è accontentato di sentir dire dagli altri che Gesù era vivo, e nemmeno di vederlo in carne e ossa, ma ha voluto vedere dentro, toccare con mano le sue piaghe, i segni del suo amore… Anche a noi non basta sapere che Dio c’è: non ci riempie la vita un Dio risorto ma lontano; non ci attrae un Dio distante, per quanto giusto e santo. Abbiamo anche noi bisogno di “vedere Dio”, di toccare con mano che è risorto, e risorto per noi. Come i discepoli: attraverso le sue piaghe». Poi, riferendosi al sacramento della confessione, ha ricordato che nonostante le ricadute nel peccato «non è vero che tutto rimane come prima», perché «ad ogni perdono siamo rinfrancati, incoraggiati, perché ci sentiamo ogni volta più amati, più abbracciati dal Padre. E quando, da amati, ricadiamo, proviamo più dolore rispetto a prima. È un dolore benefico, che lentamente ci stacca dal peccato. Scopriamo allora che la forza della vita è ricevere il perdono di Dio, e andare avanti, di perdono in perdono. Così va la vita: di vergogna in vergogna, di perdono in perdono. Questa è la vita cristiana» (8 aprile).
Qualche giorno fa, all’omelia della messa celebrata a Santa Marta, ha ricordato che «noi camminiamo verso un incontro: l’incontro definitivo con Gesù». Ha aggiunto che «il cielo è l’incontro con Gesù, e noi prepariamo questo incontro con gli incontri che noi facciamo nel cammino della vita con il Signore». E mentre noi camminiamo, «Gesù, nel frattempo», non sta «seduto lì ad aspettarci, ad aspettarmi…. Gesù ci prepara un posto, Gesù lavora, in questo momento, per noi», e «il lavoro di Gesù» è «l’intercessione, la preghiera di intercessione». Gesù «prega per me, per ognuno di noi». Lui «è fedele e prega per me, in questo momento» (27 aprile).
Alcuni giorni prima, all’udienza generale del mercoledì, parlando del Battesimo, ha detto che chi mette in dubbio la prassi di battezzare i bambini appena nati mostra di «non avere fiducia nello
Spirito Santo, perché quando noi battezziamo un bambino, in quel bambino entra lo Spirito Santo, e lo Spirito Santo fa crescere in quel bambino, da bambino, delle virtù cristiane che poi fioriranno» (11 aprile). Una settimana dopo, sempre durante l’udienza del mercoledì, ha chiesto a tutti gli adulti di «insegnare ai bambini a fare bene il segno della croce. Se lo imparano da bambini lo faranno bene dopo, da grandi» (18 aprile).
Nel frattempo, con la Esortazione apostolica Gaudete et Exsultate, diffusa lo scorso 9 aprile, ha ricordato a tutti i battezzati che: «Tutti siamo chiamati ad essere santi vivendo con amore e offrendo ciascuno la propria testimonianza nelle occupazioni di ogni giorno, lì dove si trova». E ha confessato che il suo cuore di sacerdote gode nel vedere «la santità nel popolo di Dio paziente: nei genitori che crescono con tanto amore i loro figli, negli uomini e nelle donne che lavorano per portare il pane a casa, nei malati, nelle religiose anziane che continuano a sorridere. In questa costanza per andare avanti giorno dopo giorno vedo la santità della Chiesa militante».
Il dito e la luna
Lo slancio apostolico “feriale” di Papa Francesco attesta ogni giorno che il dinamismo proprio dell’avvenimento cristiano ha la sua unica sorgente nella grazia di Cristo, nel mistero del suo operare. Descrivendo l’efficacia dei sacramenti, i gesti del Signore, l’attuale Successore di Pietro attesta in ogni occasione la natura sacramentale della Chiesa, la sua dipendenza dall’opera dello Spirito Santo. Papa Bergoglio mette continuamente in guardia da ogni pretesa “autosufficienza” umana, comprese quelle che alimentano i trionfalismi e le ansie di “rilevanza” nella compagine ecclesiale. Nella sua predicazione ordinaria, non parla di sè. Come un dito che indica la luna, suggerisce con insistenza che soltanto Cristo guarisce, redime e salva. E tale dato di realtà non viene da lui ridotto a una affermazione scontata, o richiamato come un postulato a priori, ma viene riportato e proposto come riconoscimento e attestazione di un’esperienza.
Papa Francesco ricorda a ogni istante che Cristo si incontra nella preghiera, nei sacramenti e nei suoi prediletti, che sono i poveri. Non ha inventato lui la misericordia, il perdono, la carità. Ma ci ripete ad ogni passo che quelli sono i tratti distintivi della novità entrata nel mondo con Cristo. Sono cose che la Chiesa ha sempre detto. Ma questo dato, indiscusso e indiscutibile, non può essere preso a pretesto per nascondere o a far dimenticare altre evidenze. Ad esempio, l’accanimento con cui nelle stagioni recenti molti apparati ecclesiali sembravano intenti piuttosto a costruire la propria “rilevanza”, e realizzare da sè il proprio protagonismo nella storia. O la diligenza con cui in tempi non lontani si purgavano anche i pronunciamenti papali da tutte le espressioni sulla predilezione per i poveri, perchè considerate politicamente sospette e inopportune.
Veleni e anticorpi
Le razioni quotidiane di magistero “elementare” dell’attuale Vescovo di Roma rinforzano anche gli unici anticorpi efficaci per sopportare le patologie e le infezioni di varia origine che assediano l’attuale stagione ecclesiale: le montature che alimentano il mito del «Papa-giustiziere», eroe solitario che libererà la Chiesa da tutti i cattivi e da tutte le sue arretratezze; e quelle fomentate dai censori delle cricche mediatico-clericali che lo sottopongono ogni giorno a processi pseudo-dottrinali.
Dell’attuale tempo ecclesiale, proprio l’accanita e coordinata denigrazione mediatico-clericale del Papa punta a seminare divisioni e “dubia” in mezzo a quel che resta del popolo di Dio, per poi dire che il popolo di Dio è diviso e incerto. Tale fenomeno, inedito per dimensioni e ferocia, diventa un fattore oggettivo di de-cristianizzazione. Più devastante di quelli legati ai condizionamenti culturali di matrice mondana (relativismo e nichilismo compresi). Sotto l’ostentazione di rigorismo dottrinale, la rete dei fustigatori professionali del Papa aggredisce quel che resta della memoria cristiana, sempre connotata da un affetto intimo e istintivo nei confronti del Successore di Pietro e del suo ministero. Davanti alle campagne orchestrate da alcuni sedicenti «ortodossi della vera dottrina», i vescovi, insieme al Papa, sono chiamati a esercitare in forma paradossale quella che il cardinale-teologo Joseph Ratzinger definiva come «la funzione davvero democratica» del magistero ecclesiale: la sollecitudine a custodire tutti i fratelli e l’intero popolo di Dio dalle fazioni e dai «cani» (San Paolo) che li disorientano e non hanno remore a tirare in ballo perfino il nome di Cristo per «invidia e spirito di contesa». Nella fiducia che il Popolo di Dio, guidato dal suo sensus fidei, già precede i pastori sul giusto cammino: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perchè hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti, e le hai rivelate ai piccoli» (Mt 11,25).