I “tormenti” dei genitori cristiani con figli LGBT+
Articolo di Gloria De Vincenzi pubblicato sul quotidiano LA GAZZETTA DI MANTOVA dell’11 giugno 2023
In un libro l’esperienza dei padri e delle madri davanti all’omosessualità dei figli. Dal compatimento all’isolamento dopo il coming-out, “ma poi ci siamo ribellati”.
“Poverino“. Se lo sente dire chi confessa di avere un figlio gay. La seconda reazione: il silenzio. E poi, l’isolamento. Capitava ieri e capita oggi; provocando fratture lacerazione dolorose, ancor più se i genitori e figli sono fortemente legati alla fede cattolica. E di questo che si è parlato l’altra sera nell’incontro al centro per le famiglie di Valletta Valsecchi. “Genitori fortunati. Vivere da credenti il coming out e dei figli” è il titolo della serata e del libro (a cura de La Tenda di Gionata) che accoglie testimonianze dirette. A promuovere l’associazione AGEDO e La tenda di Gionata a ridosso della giornata, il 17 giugno, del Mantova Pride, con Valeria Niccoli di Arcigay La Samarcanda.
“Di certo non lo eravamo, genitori felici, quando il nostro primogenito ci ha detto di essere gay. Mi sentivo sfortunata, ero convinta che dovesse guarire“: Mara Grassi, da Sant’Ilario d’Enza (Reggio Emilia), da quella prima reazione ha fatto passi da gigante, la sua testimonianza riportata l’altra sera (9 giugno 2023), è anche nelle pagine del libro (“Genitori fortunati. Vivere da credenti il coming out e dei figli“, Effatà editrice, 2022, 144 pagine), che lei stessa ha consegnato in udienza Papa Francesco. “Sono madre die un figlio gay“. Ricorda di avergli detto per presentarsi, ma il Pontefice l’ha fermata, ricordando che “sono tutti figli (di Dio)“.
Parte da qui la nuova battaglia di Mara e del marito Agostino: dalla contrapposizione vissuta sulla loro pelle tra quella che definiscono “omofobia interiorizzata” di un certo mondo (cattolico) integralista, che era il loro, e la speranza che una “nuova chiesa“, possa cambiare e cancellare i pregiudizi.
Loro sono rimasti cattolici: “ci sentiamo figli di Dio ma liberi, parte di questa chiesa che cambia ci siamo anche noi“. Il coming out del figlio, nel 2005, lo spartiacque che ha mostrato loro un mondo diverso: “Eravamo parte di una comunità di famiglie con una vita di fede incentrata sui Sacramenti, ci conoscevamo dal 1970, abbiamo visto crescere insieme i nostri figli eppure il loro (sull’omosessualità di nostro figlio) è stato un silenzio assordante” spiega Agostino.
A un pranzo di Pasqua inizia la ribellione: “Queste sono parole che non sento vere” e Mara, ascoltando le preghiere sulla fratellanza, lascia il gruppo (delle famiglie cattoliche). “Ci stavamo alleggerendo di tante sovrastrutture, ma il cammino è durato 12 anni e abbiamo fatto tutto da soli. La nostra mente è cambiata, anche la chiesa deve essere la casa di tutti”.
La serata, promossa da Alessandra Galafassi, referente provinciale di AGEDO, associazione di genitori, amici, parenti di lesbiche, gay, bisessuali e transgender, queer e tutti coloro che non si sentono rappresentati con l’etichetta di uomo e donna eterosessuale, vuole informare: “siamo convinti che l’ostilità che ancora si registra sia dovuta a mancanza di conoscenza e rivelarsi può essere complicato: come associazione abbiamo personale formato per non far sentire solo chi ha bisogno di aiuto“.
Le testimonianze continuano. Francesca parla di “scontro tra due mondi” e dice: “ci impegniamo per abbattere la cortina di silenzio presente nelle comunità cristiane” spiega “quando ho raccontato in parrocchia del figlio omosessuale ho assistito a un silenzio imbarazzato, ma approfondendo l’approccio teologico si possono sfatare miti delle scritture il cui significato è travisato“.
Genitori che restano cristiani, figli e figlie che abbandonano la chiesa per essersi sentiti rifiutati, altri che si mettono in prima fila per cambiare le cose. Luca Bocchi, 32 anni, da un piccolo centro della bassa modenese, e uno di loro: “Ero in azione cattolica – ha raccontato – quando ho sdoganato la mia omosessualità hanno detto che non c’era più bisogno di me“; il contesto sociale ha segnato anche i rapporti con la famiglia: “non se l’aspettavano, erano scombussolati. Io ci ho impiegato anni a capirmi, loro iniziavano in quel momento. Poi ci sono stati anni di guerra fredda ma ora gli inviti a pranzo per me e il mio fidanzato sono costanti“.
Luca crede nell’attivismo con Arcigay e Carola, che ha vissuto in Spagna per anni e ora è tornata a Piacenza e presto si sposerà in unione civile, è un’altra figlia ormai adulta, che racconta: “avevo un’omofobia interiorizzata e genitori immersi nella dottrina, io stessa sono cresciuta in un movimento religioso radicale che ho abbandonato perché non mi sentivo più a casa, ma di omosessuali credenti ce ne sono in tutto il mondo, dal Cile all’Australia“. E qualcosa cambierà.