I vescovi devono essere consapevoli della realtà dei migrati e dei rifugiati LGBT
Articolo di Robert Shine pubblicato su Bondings 2.0, blog dell’associazione cattolica New Ways Ministry (Stati Uniti), il 9 gennaio 2017, libera traduzione di Silvia Lanzi
La Settimana Nazionale del Migrante, un evento annuale indetto dalla Conferenza Episcopale Cattolica Statunitense (USCCB) per porre l’attenzione sulla situazione critica dei migranti e delle vittime del traffico di esseri umani. Il tema della Settimana di quest’anno, mutuato da papa Francesco, è “Creare una cultura dell’incontro”. E in quest’opera di giustizia per i migranti, è arrivata l’ora, per la Chiesa cattolica, di affrontare anche le realtà dei migranti LGBT.
Mentre la solidarierà dei vescovi nei confronti dei migranti è ben consolidata, essi hanno praticamente abbandonato i migranti LGBT, rendendo così meno efficace la testimonianza istituzionale della Chiesa cattolica. Nel 2013 la Conferenza Episcopale Cattolica Statunitense (USCCB) ha minacciato di far venir meno il proprio appoggio di fronte alla necessità di predisporre degli aiuti per le coppie omosessuali. Alcuni vescovi, come l’arcivescovo Salvatore Cordileone di San Francisco e il vescovo Leonard Blair di Toledo, nell’Ohio, hanno reiterato, per conto proprio, la minaccia di lottare contro una legislazione globale che tenga conto anche dei diritti delle persone LGBT. Nello stesso anno sono stati tolti fondi ad un’organizzazione per i diritti umani dei migranti (raccolti tramite la Catholic Campaign for Human Development) perché questa, insieme ad altre realtà, appoggiava il matrimonio omosessuale.
Più recentemente, i vescovi statunitensi sono rimasti fin troppo silenziosi a proposito dei commenti razzisti e xenofobi che hanno caratterizzato la campagna del presidente Trump, un silenzio che un teologo ha definito come un'”incredibile mancanza di leadership”. Dove papa Francesco sembra capace di distinguere tra essere gay ed essere xenofobi, i vescovi statunitensi, parafrasando il teologo Massimo Faggioli, non sembrano capaci di fare lo stesso.
Ma il tema dell'”incontro”, insieme ad un’iminente amministrazione presidenziale statunitense ostile sia ai migranti che alle persone LGBT ed ai rifugiati delle diverse crisi mondiali, da ai vescovi l’opportunità di imparare e di iniziare esplicitamente a sostenere i migranti e i rifugliati LGBT.
Un cambiamento del genere è abbastanza fattibile. Il modo di parlare dei vescovi a proposito dei migranti dovrebbe essere lo stesso a proposito delle persone LGBT. Ad esempio, una dichiarazione della Conferenza Episcopale Cattolica Statunitense suona così:
“Con rispetto per i migranti, troppo spesso, nella nostra cultura contemporanea, manchiamo di incontrarli come persone, e li guardiamo come estranei o li rendiamo invisibili. Non dobbiamo trattare i migranti in modo significativo, come figli di Dio nostri pari, per poi ignorare la loro presenza o essere sospettosi nei loro confronti“.
Queste parole descrivono bene il modo in cui i leader ecclesiastici si avvicinano alle persone LGBT, che non si incontrano veramente, ma sono tratteggiate come oggetti distanti e spesso invisibili. Proprio come i vescovi ci esortano a trattare i migranti come soggetti con cui siamo in stretta relazione, essi stessi potrebbero interiorizzare le proprie parole e andare incontro alle persone LGBT nello stesso modo. Il potere dell’incontro è profondo, e alcuni leader ecclesiastici lo hanno provato, come il cardinal Christoph Schönborn di Vienna che ha detto che la sua amicizia con un uomo gay ha “spazzato via i pregiudizi”.
Si può applicare la stessa analisi all’appello dei vescovi per la risposta ai bisogni dei migranti con l’ospitalità e l’accompagnamento spirituale. Il vescovo Joe Vásquez di Austin, presidente del Comitato per i Migranti dell’USCCB, ha commentato che la Settimana del Migrante è “un’eccellente opportunità di sottolineare la tradizione biblica e la nostra missione di accoglienza dei nuovi arrivati” e “un periodo vitale per dimostrare benvenuto e solidarietà con i nostri fratelli e sorelle migranti e rifugiati”. Di nuovo, è facile capire come i vescovi potrebbero applicare questi argomenti per praticare un’ospitalità e accompagnamento maggiori nei confronti dlle persone LGBT e dei loro cari.
Un cambiamento del genere non è solo fattibile, ma anche doveroso perché spesso la situazione dei migranti LGBT è terribile.
Dato che più di settanta paesi criminalizzano l’omosessualità, e altri pongono un limite ai diritti delle persone LGBT, alcuni rifugiati chiedono asilo a causa del proprio orientamento sessuale e della propria identità di genere. Non si conosce l’esatto numero di questo tipo di migranti che chiedono rifugio negli Stati Uniti, perché secondo un report del LGBT Freedom and Asylum Network, il governo federale non ne tiene traccia. Ma, a prescindere dal loro numero, questi rifugiati nei loro paesi d’origine subiscono delle incredibili persecuzioni che includono discriminazione, reclusione, violenza psicologica e sessuale e tortura.
Le vittime LGBT del traffico di esseri umani hanno delle esigenze particolari, e lo stigma che si portano addosso rendono la loro liberazione e la loro guarigione interiore ancor più difficile. Le persone LGBT, specialmente quelle giovani, possono essere più sensibili e deboli rispetto ai trafficanti a causa dello svantaggio economico e/o possono essere ostracizzati dalla famiglia e dalla comunità. Il traffico umano planetario è qualcosa a cui la Chiesa cattolica ha risposto bene, ma tale risposta potrebbe essere migliorata portando un aiuto competente ed informato alle vittime LGBT.
Infine, troppo spesso i migranti, i rifugiati e le vittime dei trafficanti di uomini LGBT, negli Stati Uniti sono soggetti ai vari processi di immigrazione e di detenzione in strutture carcerarie che, non riuscendo a soddisfare i bisogni particolari delle minoranze sessuali e di genere, rendono di fatto queste comunità più vulnerabili. Ad esempio, i detenuti transessuali possono essere identificati nella maniera sbagliata e portati in una strutture che non hanno nulla a che fare con la loro identità di genere.
Se i vescovi statunitensi avessero il tempo e la voglia di incontrare veramente i migranti LGBT, ascoltando quelle che sono le loro realtà e impararando davvero ciò che li riguarda, allora capirebbero che bisognerebbe includere i loro bisogni, e magari dare loro un’opzione preferenziale, nella più ampia testimonianza della Chiesa nei confronti della migrazione.
Possa questa Settimana Nazionale del Migrante far incontrare tutti i cattolici – i vescovi, le persone LGBT e le loro famiglie e i migranti – con modalità nuove. L’anno che viene sarà difficoltoso per le comunità emarginate, per questo bisogna che tutti mostrino una solidarietà maggiore per affrontare ulteriori discriminazioni e oppressioni.
Testo originale: For National Migration Week, Bishops Must Learn Realities of LGBT Immigrants and Refugees