“Ladà/conoscere intimamente”. Il rifiuto dell’in-differenza: una nuova ermeneutica della sodomia
Riflessioni sull’Ebraico e il pensiero biblico di Giuseppe Messina*, settima parte
E’ risaputo che la Bibbia definisce il rapporto sessuale col termine conoscenza, attribuendogli una forma d’elevata percezione del divino. Quando ne parla, c’è nella Bibbia una deliberata tendenza a voler togliere ogni ombra di mito all’argomento. “Adamo aveva conosciuto Eva sua moglie che rimase incinta” (Gn, 4,1). Il verbo iadà, “conoscere intimamente” è quello usato per l’atto sessuale. Non ci sono elementi mitologici, figure animali che attenuino il senso della cosa, come cicogne e aquile. Ci sono espressioni linguistiche dirette, delicate, pudiche. Adamo aveva conosciuto Eva: la lingua ebraica è riuscita a trovare una parola per l’atto sessuale che non è né approssimativa, né oscena, né romantica, né prosaica, espressione che verrà tra l’altro perfezionata. Anche la Torà al suo interno contiene dei perfezionamenti: Adamo ed Eva sono, in ordine di apparizione, la prima coppia. Abramo e Sara hanno un rapporto improntato a devozione e rispetto più che alla passione, ma soltanto per Isacco e Rebecca non verrà più usato il termine iadà, ma aav, “amò” (Gn24,67). Come a dire che la conoscenza è un inizio, l’amore è un coronamento, un perfezionamento.
Perché allora il testo non ha usato iadà per rapporto sessuale anche nel Levitico? E’ abbastanza evidente che le certezze delle istituzioni religiose possano essere sovvertite dall’innumerevoli ermeneutiche della Parola.
E poi in ogni caso se davvero dovessimo considerare ciascuno dei singoli precetti enunciati nella Bibbia considerata immutabile nel tempo e nello spazio – enunciati nel quadro di una società rurale che risale a più di tremila anni fa, tutta rivolta al lavoro dei campi -, dovremmo tornare ad ammettere la schiavitù, non dovremmo raccogliere i grappoli d’uva non maturi, non raderci i capelli ai lati del capo taglio che è tanto in voga tra i giovani d’oggi oppure dovremmo considerare ancora attuale il precetto di Paolo di Tarso per cui “la moglie deve essere sottomessa al marito” (ma non viceversa), dovremmo praticare la poligamia e altre amenità.
Pertanto, chiunque, anche coloro che preferiscono dare una lettura più letterale del testo, deve ammettere che molte pratiche e consuetudini sono per l’uomo di oggi davvero abominevoli.
* Giuseppe Messina è docente ordinario di filosofia e storia presso il Liceo Scientifico N. Copernico di Bologna e dal 12 marzo 2010 è presidente-fondatore dell’Associazione Amicizia Ebraico Cristiana (AEC) di Bologna, già membro dell’AEC della Romagna della Romagna. Scrive articoli sul Bollettino dell’associazione AEC di Firenze. Dal 2006 studia Ebraico biblico presso la Fraternità di Charles Foucauld di Ravenna con la maestra Maria Angela Baroncelli Molducci. Ha insegnato Ebraico biblico e Pensiero ebraico presso il Collegio San Luigi dei Padri Barnabiti di Bologna e presso il Centro Poggeschi dei Padri Gesuiti di Bologna.