Marciamo contro i pregiudizi. Ieri con Martin Luther King, oggi al Pride
Sermone del reverendo Dan Stern tratto dal sito della United Church of Christ di Broadview (Stati Uniti), del 23 giugno 2006, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Voglio aggiungere alle letture di oggi quattro brevi citazioni sul pregiudizio. La prima è di Samuel Johnson: “In ogni epoca ci sono nuovi errori da rettificare e nuovi pregiudizi a cui opporsi.” La seconda di William James: “Un gran numero di persone pensa di stare pensando, mentre sta semplicemente riordinando i propri pregiudizi.” Ecco Henry David Thoreau: “Non è mai troppo tardi per rinunciare ai nostri pregiudizi.” E infine quel simpaticone dei vecchi film di Hollywood, W. C. Fields: “Io sono libero da qualsiasi pregiudizio. Odio tutti alla stessa maniera.”
Quell’altro simpaticone, quello che compare nella Bibbia sotto il nome di Giona, anche lui odiava tutti alla stessa maniera nella città straniera di Ninive. Attenzione, non conosceva nessuno di essi personalmente; li odiava in generale, e basta. Giona aveva proiettato tutti i suoi gretti pregiudizi sui Niniviti, che erano gente malvagia. Erano sporchi e facevano cose che non poteva riferire a sua madre. Era sicuro che i Niniviti fossero tutti dei comunisti, dei terroristi subumani, degli eretici pagani, degli stranieri di cacca.
Era “sicuro” che Dio li avrebbe castigati tutti dal primo all’ultimo. “Sapeva” tutto questo su di loro proprio perché li aveva tenuti a distanza. Cioè, fino a che Dio non lo inviò dritto in mezzo a loro a offrire la possibilità della misericordia di Dio. E nonostante il messaggero fosse privo di misericordia, il messaggio consisteva nella misericordia, un messaggio prontamente ascoltato. Dio li avrebbe trattati con misericordia e offerto perdono, amore e pura grazia. Ma questo era completamente contrario agli inveterati preconcetti di Giona! La misericordia di Dio lo faceva infuriare!
Il suo odio e la sua frustrazione erano tali che disse che avrebbe preferito morire piuttosto che vedere in vita un tale popolo. Ma in realtà erano i pregiudizi di Giona che dovevano morire, proprio come i nostri.
Qualcuno di voi si ricorda il giorno in cui George Wallace, l’ex governatore dell’Alabama che una volta si candidò per la presidenza con un programma segregazionista, abiurò pubblicamente le sue vecchie vedute razziste? Thoreau aveva ragione: “Non è mai troppo tardi per rinunciare ai nostri pregiudizi”. Ci sono persone dal terribile curriculum razzista che sono diventate forti difensori dell’eguaglianza e dei diritti civili. Il nostro gruppo di discussione per adulti della domenica mattina sta leggendo l’autobiografia di Philip Yancy. Yancy è nato e cresciuto nel morente ma ancora forte razzismo bianco del Sud. Faceva parte in pieno di quel mondo. Per lui, il Ku Klux Klan era “l’ultima linea di difesa per la preservazione della purezza cristiana del Sud”.
Tutte le persone di sua conoscenza chiamavano Martin Luther King “Martin Lucifero Negraccio”. Ci tenevano a far sapere a tutti che non erano né aperti né favorevoli all’eguaglianza, per grazia di Dio.
I capi della chiesa fondamentalista bianca di Yancy una volta prepararono dei volantini da dare ai neri o ai simpatizzanti bianchi dei diritti civili che si fossero presentati nella loro chiesa. Ecco cosa diceva quel volantino: “Crediamo che i moventi del vostro gruppo siano estranei agli insegnamenti della parola di Dio, perciò non possiamo darvi il benvenuto e vi chiediamo di lasciare il locale senza chiasso.
Le Scritture non insegnano “la fratellanza dell’uomo”… Egli (Dio) è il Creatore di tutti ma il Padre solo di coloro che sono stati rigenerati.” La loro dichiarazione si concludeva così: “Se qualcuno di voi è qui per un sincero desiderio di conoscere Gesù Cristo come vostro personale Salvatore e Signore, saremo lieti di occuparci di voi individualmente.”
E ci credo che lo erano! Quella di Yancy era il tipo di chiesa che sapeva bene come cercare nelle Scritture per giustificare ciò che i loro preconcetti volevano che dicessero: che Dio voleva che loro vivessero in una società strettamente separata, basata sull’ineguaglianza e il segregazionismo.
Eppure, a suo tempo, per Yancy venne l’ora del pentimento; il genuino Evangelo di Gesù, come messo in pratica da King e altri, lo conquistò. È bellissimo leggere e sentire come la sua anima è sopravvissuta e come la sua vita è stata trasformata.
Alcuni di noi sono cresciuti in chiese che insegnavano l’opposto di quanto poteva pensare la chiesa di Yancy. Siamo molto, molto lontani dai luoghi, dalle epoche e dai modi di pensare che producono tale detestabile razzismo. Ma sono arrivato a vedere e toccare il pregiudizio molto più vicino a casa mia di quanto mi aspettassi.
Una domenica, quando avevo sui dodici anni, vidi un uomo che dava il benvenuto a quanti entravano in chiesa, niente di meno, voltare la schiena a Ted e Lucile. Non l’avevo mai visto comportarsi così.
Era furioso e aveva la faccia rossa. La sua bocca si arricciò in un ghigno di rabbia e cominciò a mormorare apprezzamenti apertamente razzisti in presenza di tutti, me compreso. Lo sentii piuttosto chiaramente, voleva essere udito, e la cosa mi scioccò. Mi chiedevo, ma come può un uomo che si considera cristiano dire tali cattiverie su altri esseri umani?
Eppure… Lucile era cresciuta in quella chiesa, era partita per andare all’Università dello Stato di Washington e lì aveva incontrato Ted. Si innamorarono. Lucile è bianca, e Ted nero. Erano tornati a casa a Tonasket durante il primo anno e decisero di assistere al culto domenicale insieme.
Be’, niente da allora è stato lo stesso. La loro semplice presenza scatenò atteggiamenti segregazionisti che non sapevo esistessero nel paese dove vivevo. Si mostrò la bruttura del razzismo. Martin Luther King e i suoi collaboratori facevano la stessa cosa: mostravano il pregiudizio per la cosa brutale che era.
La violenza del bigottismo venne messa allo scoperto e provocò una rabbia morale in quella parte della nazione che credeva in qualcosa di meglio. Ammirerò sempre Ted e Lucile per aver fatto quel primo, difficile passo nella mia comunità. Ora sono sposati e frequentano una congregazione della United Church of Christ servita da un pastore afroamericano.
Volevo trovare una maniera di rispondere. E nonostante fossi troppo giovane per andare a marciare per i diritti civili nel Sud, il mio fratello maggiore Richard fu direttamente coinvolto. Ora vive in Italia, io e Sam siamo andati a trovarlo durante il mio anno sabbatico. Richard si è laureato all’Università Howard a Washington D.C., composta quasi esclusivamente da neri.
Una volta un poliziotto gli diede un forte colpo sulle spalle con uno sfollagente. Ma questo incidente non è avvenuto a Washington o a Selma, Alabama. È avvenuto proprio qui a Seattle. Ma volevo una risposta.
Volevo combattere il buon combattimento con lui. La lotta per i diritti civili sembrava una cosa eccitante, genuina e buona: ecco un qualcosa dalle proporzioni bibliche che coinvolgeva la mia generazione: desideravo poter essere lì dov’era l’azione. Per me non era molto diverso dai molti giovani che pensano di voler andare in guerra. Volevo anch’io prender parte alla battaglia, nel mio caso quella per i diritti civili, essere un volontario per conquistare ciò che William James chiamava l’equivalente morale della guerra.
Divoravo tutto ciò che trovavo sul movimento per i diritti civili, che vivevo per interposta persona attraverso mio fratello.
Diventai inoltre sempre più consapevole dei pregiudizi, molti vicini a me, che colpivano crudelmente i Nativi Americani. Divenni conscio dei pregiudizi che colpivano le donne e anche quelli diretti verso chi veniva percepito come gay: quest’ultimo tipo di pregiudizio lo sperimentai presto sulla mia pelle. Imparai da solo che non sempre il pregiudizio ha a che fare con la razza. Lo vidi diretto anche contro i poveri rifugiati bianchi della Grande Depressione, che vivevano emarginati nelle fattorie della regione montuosa della contea di Okanogan. Tra l’altro, “Orgoglio e pregiudizio”, il titolo di questo sermone, preso da un classico della letteratura che ora è anche un bellissimo film, parla di questo tipo di pregiudizio, quello basato sulla classe sociale. I preconcetti di classe sono forse i più diffusi e distruttivi.
Nessuno di noi rimane lo stesso una volta che ha affrontato direttamente il razzismo, o la guerra, o il bigottismo, l’ingiustizia, l’ineguaglianza. Almeno lo spero! Noi, che abbiamo fondato la nostra fede nell’eguaglianza, nella pace e nella giustizia su solide basi bibliche, noi che abbiamo preso la nostra ispirazione dal trasformare in fatti ciò che ha detto Gesù, non possiamo fare a meno di rispondere con rabbia e speranza.
Teniamo in equilibrio rabbia e speranza facendo ciò che sempre consigliava ai cristiani il teologo antifascista Karl Barth: tenere un giornale in una mano e una Bibbia nell’altra. Fare questo mi ha aiutato a mantenermi relativamente aggiornato e sano di mente al tempo stesso.
Ma è stata la Bibbia, non il giornale, che mi ha ispirato a marciare per la liberazione e ha tenuto a distanza la disperazione; è la Bibbia che ancora mantiene la mia mente attiva, i miei piedi ben saldi, le mie gambe robuste e forti, perché ci sono grandi cose lì dentro, cose che alleggeriscono il mio fardello e mi mantengono fedele al mio compito, cose che offrono una prospettiva di fronte a notizie così spesso avvilenti.
Ecco una piccola gemma, un passo dell’Epistola ai Colossesi: “Parole come Giudeo e non Giudeo, religioso e irreligioso, inserito ed emarginato, grossolano e rozzo, schiavo e libero, non significano nulla. Tutti sono inclusi… in Cristo.” La Parola. La verità dell’Evangelo. Tenetela in una mano. E, nell’altra, sempre nuovi errori da rettificare e nuovi pregiudizi a cui opporsi.
Ecco perché oggi pomeriggio marceremo in centro a favore della via inclusiva di Gesù e in opposizione a quel tipo di pregiudizio che chiamiamo omofobia. Qualcuno vuole che sia solamente una parata divertente, una festa; ha luogo a Capitol Hill e la folla potrebbe sostenere i negozi in crisi; più siamo numerosi, più siamo felici. Però è interessante: le prime marce per i diritti gay a Seattle ebbero luogo in centro, e lo scopo non era tanto festeggiare, quanto dire qualcosa di importante al mondo intero.
Noi di questa chiesa speriamo di passare una bella giornata in centro oggi. Ma andiamo anche per mostrare e dire alla gente che ci sono delle chiese là fuori che davvero credono nell’eguaglianza dei diritti per tutti, inclusi gay e lesbiche, e sono disposte a opporsi a quel tipo di bigottismo che chiamiamo omofobia con un vigore ispirato dall’Evangelo.
La mia collega Diane della United Church of Christ di Alki ha deciso di tenere il culto un’ora prima stamattina perché l’intera congregazione possa recarsi in centro e marciare. Questa mi sembra una cosa molto bella.
“Non è mai troppo tardi per rinunciare ai nostri pregiudizi.” Dio continua a parlare a ogni Joe, Jane e Giona e dice “Lasciate perdere i vostri pregiudizi pieni di risentimento”. Che possiamo farlo tutti. Proclamiamo con decisione, fierezza e chiarezza la visione alternativa di Dio, anche oggi pomeriggio mentre facciamo seguire i fatti alle parole di liberazione ed eguaglianza che la nostra fede in Cristo ci ha ispirato. Buona giornata del Pride! Amen!
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Testo originale (PDF): Prejudice and Pride – A Broadview UCC Sermon on Gay Pride