Il 17 aprile 1965 i gay e le lesbiche protestarono per la prima volta pubblicamente davanti alla Casa Bianca
Articolo Will Kohler* pubblicato sul sito Back2stonewall (Stati Uniti) il 17 aprile 2011, libera traduzione di Chiara Spasari
Il 17 aprile 1965, il dott. Frank Kameny assieme al pioniere dei diritti degli omosessuali Jack Nichols, co-fondatore della Mattachine Society di Washington (Stati Uniti), guidò coraggiosamente la prima marcia di protesta per i diritti degli omosessuali alla Casa Bianca in un momento storico in cui essere gay o lesbica era considerato un’aberrazione in questo paese.
La Mattachine Society si batteva per la parità di trattamento degli impiegati omosessuali del governo federale, l’abrogazione delle leggi sulla sodomia e la cancellazione della voce omosessualità quale disturbo mentale nel manuale delle patologie psichiatriche dell’American Psychiatric Association.
Dieci membri della Mattachine Society di Washington, insieme a rappresentanti delle Daughters of Bilitis, picchettarono davanti alla Casa Bianca contro l’oppressione degli omosessuali da parte dei governi di Cuba e degli Stati Uniti. Tra loro vi erano anche: Gail Johnson, Gene Kleeberg, Judith Kuch, Paul Kuntzler, Perrin Shaffer, Jon Swanson, Otto Ulrich, Lilli Vincenz (redattore del trimestrale della MSW).
Della protesta, Jack Nichols scrisse: “Mai prima d’ora gli omosessuali hanno sfilato apertamente in un gruppo organizzato per i nostri diritti”.
Nichols ricorda: Il picchetto si radunò a metà pomeriggio. Era il sabato prima di Pasqua, e i turisti camminavano per le strade del centro.
Lige [Clarke], alla guida della decappottabile, mi accompagnò fino ai cancelli della Casa Bianca e mi aiutò a scaricare i cartelloni. Poi si avviò al Pentagono per il suo turno di lavoro pomeridiano. Gail giunse sul posto sul sedile posteriore della moto di Ray. Fu stabilito che sarei stato io a guidare il picchetto di protesta, perché ero alto e con la tipica fisionomia americana.
E poi, credo, perché ero io l’ideatore dell’evento. Dietro di me marciava Frank Kameny e dietro di lui Lilli Vincenz.
Durante la marcia, diedi uno sguardo al nostro corteo vestito di tutto punto: Kameny aveva insistito che noi sette uomini dovessimo indossare vestito e cravatta e le donne abito e scarpe col tacco.
Più tardi, i newyorkesi polemizzarono che noi di Washington sembravamo un convegno di becchini, ma considerato lo spirito dei tempi, la fermezza di Kameny era motivata. “Se chiedete pari diritti al lavoro,” declamava, “dovete sembrare persone da assumere!” Nella compassata capitale, vestirsi bene per l’occasione risultò, malgrado le critiche dei newyorkesi, appropriato.
Sfilammo in un piccolo circolo. Appostati dietro ai lampioni, degli estranei ci scattavano foto. Erano agenti governativi? Perrin e Otto indossavano occhiali scuri, così che se fossero dovuti cadere vittima di indagini di sicurezza, un’identificazione certa sarebbe stata più difficile. Marciammo per un’ora che trascorse, come avevo previsto, senza incidenti. Alcuni turisti ci fissavano inebetiti, e si sentirono una o due risatine, più di confusione che di pregiudizio.
Speravamo in una maggiore pubblicità: solo l’Afro-American riportò un breve articolo sulla nostra iniziativa. Ma ce l’avevamo fatta, e questo era l’importante. Avevamo preso posizione contro l’organo governativo, mettendo a rischio la nostra incolumità. Non era successo nulla, eccetto che eravamo stati galvanizzati, e in una certa misura, resi immuni alla paura.
La protesta della Mattachine Society non fu ben accolta dal movimento gay mainstream dell’epoca. I più conservativi leaders del movimento gay credevano che il picchetto avrebbe attirato pubblicità negativa e un’ancora maggiore ostilità (il che sembra molto simile a quel che oggi sentiamo da alcuni gruppi di attivisti LGBT).
La manifestazione della Mattachine Society alla Casa Bianca, insieme alle rivolte di Stonewall (Stonewall Riots) sono tra i due eventi più significativi della storia LGBT. Ma purtroppo guardando le foto e leggendo gli slogan sui cartelloni dei nostri predecessori attivisti LGBT mi rendo conto che molti di questi slogan potrebbero essere usati in segno di protesta ancora oggi.
Nel 2009 scrissi un articolo per il Cincinnati Citybeat, il giornale alternativo di Queen City, intitolato Reason To Rally (perché unirsi in protesta) dove spiegai perché credo che la nostra lotta per l’uguaglianza stia procedendo ancora a passo di lumaca. Da quel momento (dai moti di Stonewall) la battaglia per la parità di diritti ha assunto forme diverse .
Un gay infuriato in maglietta e jeans ha rappresentato l’attivismo gay degli anni ’70, ma l’epidemia di AIDS degli anni ’80 ha provocato un significativo cambiamento di approccio.
Verso la fine degli anni ’90, il sostegno alla causa degli omosessuali cominciò ad essere rappresentato da bianchi ben curati e strapagati che prendevano parte a commissioni, rilasciavano dichiarazioni alla stampa, chiedevano contributi e indicevano favolose serate di gala invece che riunire folle per le strade per reclamare i nostri diritti.
Adesso, invece di protestare, doniamo. Firmiamo innumerevoli petizioni e poi ci sediamo davanti ai nostri computer imprecando e lamentando le vessazioni che subiamo invece di mobilitarci in prima persona.
La nostra causa è stata frantumata, frammentata e dirottata su problematiche specifiche come il matrimonio gay, l’abrogazione di Don’t Ask Don’t Tell e il Defense of Marriage Act invece di quello che si dovrebbe fare: sollevarci e lottare uniti, chiedendo il riconoscimento federale e tutela in toto.
Ora, sotto la spinta delle leggi sulla libertà religiosa da parte dei nostri detrattori per ridimensionare quei diritti per cui abbiamo strenuamente combattuto, dobbiamo unirci per combattere l’odio e il fanatismo che ogni giorno dobbiamo affrontare, e far loro sapere che non accetteremo più di essere trattati come cittadini di seconda categoria e di lasciar loro diffondere menzogne e pregiudizi su di noi e le nostre vite.
Troppi anni sono trascorsi e troppi amici ci hanno lasciato senza sapere cosa sia la vera giustizia. Dobbiamo tutti alzarci e ricominciare a lottare.
Dobbiamo lottare non solo per noi stessi e per i componenti della nostra comunità ma anche in memoria di coloro che coraggiosamente diedero inizio a questa battaglia ma lasciarono questa terra senza ottenere giustizia.
Dobbiamo raggiungere questo traguardo per loro, per noi e per quelli che verranno dopo. Questo è il nostro tempo. Questa è la nostra battaglia.
* Will Kohler è uno degli storici LGBT più noti d’America, è anche un giornalista accreditato e proprietario del sito Back2Stonewall.com. come attivista gay di lunga data Will ha combattuto in prima linea durante l’epidemia di AIDS con ACT-UP e continua a lottare ancora oggi per l’accettazione delle persone LGBT e la loro piena uguaglianza. Il lavoro di Will è stato citato in importanti media come: BBC News, CNN, MSNBC, The Washington Post, The Daily Wall Street Journal, Hollywood Reporter e Raw Story.
Testo originale: Gay History – April 17, 1965: Frank Kameny Leads The First Gay & Lesbian Protest At The White House