Il benaltrismo e le persone LGBT+. L’ultima arma di chi non sa più perché combatte
Riflessioni di Mario, volontario di Gionata
“Ci sono problemi più importanti!”. Questo è uno degli slogan più recenti utilizzato chi si oppone all’estensione delle tutele e dei diritti alle persone che fanno parte delle “minoranze sessuali”. Insieme, ovviamente, a “gli omosessuali vogliono distruggere la famiglia!”, come se le persone LGBT+ orchestrassero un complotto mondiale contro l’umanità, e non cercassero semplicemente di avere una vita normale.
La questione dei “diritti arcobaleno”, quando non è ignorata, è declassata. Sì, dicono, questi problemi ci sono, ma sono secondari: “i problemi della gente sono altri”, e gli Stati non possono occuparsi di ciò che, a loro avviso, è fondamentale per la persona. Questo è il cosiddetto “benaltrismo”, neologismo che indica, nell’attività politica, il tentativo di spostare l’attenzione pubblica verso alcuni problemi a discapito di altri, per non doversene occupare (nota bene: questo non necessariamente è sempre un “male”, dipende dalla materia su cui ci si vuole focalizzare, o che si vuole ignorare).
I diritti delle persone LGBT+ sono di secondo piano? No, non è vero. La presenza di problemi gravi, come le numerose guerre e la divaricazione tra i pochi ricchi e i tanti poveri, non è in conflitto con la tutela che meritano le minoranze sessuali. La pace è un concetto multidimensionale, e i diritti umani sono considerati dalla Comunità internazionale come universali, indivisibili, interdipendenti e interconnessi[1]. Non ci sono diritti umani secondari, e i governi sono chiamati a farsene carico, specialmente se il loro Stato è parte di organizzazioni che ne vincolano la protezione e la promozione (come, ad esempio, il Consiglio d’Europa).
Rovesciando l’accusa, vorrei domandare loro perché non ci spiegano come mai siamo oggetto della loro battaglia. Perché, se non siamo al vertice dell’agenda politica, si sono organizzati in gruppi, spendendo denaro ed energie, per occuparsi di noi e non dei “veri problemi”? Sono state organizzate veglie di preghiera contro la legge Cirinnà, ma non per la conferenza sul clima di Parigi, o per gli accordi sulla tregua in Siria. Il futuro del pianeta, o di migliaia di persone, per loro meritano meno attenzione? Sono disposti a lasciare ai governi che considerano corrotti il destino dell’ambiente o la vita dei bambini, ma non a promuovere la protezione di altri esseri umani?
No, no di certo. O forse, per qualcuno sì, ma non per tutti loro. Semplicemente, questi problemi sono enormi, impossibili da risolvere alla radice; è meglio, quindi, ripiegarsi su un nuovo nemico, costruito ad arte, su cui concentrare le proprie energie e su cui scaricare i problemi dell’umanità. Poco importa che, razionalmente, si sappia che quello è un fantoccio. L’importante è avere un bersaglio, contro il quale poi angeliche forze salvatrici, grazie all’ausilio di ingenti (e poco trasparenti) fiumi di denaro, si scaglieranno. Dio sarà contento, dicono, e non importa se i problemi rimarranno: loro crederanno di aver fatto la loro parte. Il benaltrismo di questi gruppi non è che l’indicatore dell’ipocrisia, dello smarrimento e del senso d’impotenza di tante persone, sui quali poi si innestano gruppi guidati da cacciatori di visibilità, o da chi annaspa per entrare a far parte della scena politica, o per tentare di rimanerci.
L’odio dei gruppi come ProVita, le Sentinelle in Piedi, i sostenitori della bugia del “gender”, è la cartina di tornasole di un clima di stanchezza, frustrazione e accidia: invece di cercare la soluzione ai problemi, si cerca di fuggirli, creando uno spaventapasseri. Tutto, a discapito di altri esseri umani, che continueranno a essere feriti, umiliati, rifiutati.
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[1] Dichiarazione di Vienna del 1993, punto 5