Il calvario e la “resurrezione” delle persone trans per essere “chiamate col loro nome”
Fabio Trimigno* del Gruppo Zaccheo di Puglia
Quando ho letto la storia di Gabriele, sono tornato indietro a rileggere più volte come cominciava: “Mi chiamo Gabriele, …”.
Gabriele – dall’ebraico “uomo forte di Dio” – è l’angelo che rivela a Zaccaria che Giovanni Battista nascerà da Elisabetta, è l’angelo che visita Maria rivelandole che sarà lei la madre di Gesù (Luca 1, 26-38) ed è anche commemorato nel primo Mistero Gaudioso ogni volta che si prega il rosario.
Non potevo che stupirmi davanti ad un nome così forte per un uomo transgender (FtM), per un “uomo forte di Dio”, perché in fondo chi meglio di Gabriele poteva incarnare quell’angelo messaggero che avrebbe portato una notizia così sconvolgente a due donne, l’una ormai in avanti con l’età incapace di concepire e l’altra che era vergine pertanto non conosceva uomo?
Chi meglio di Gabriele poteva incarnare quell’angelo della buona novella, la notizia vivente di una nascita “altra”, di una “ri-nascita” che custodisce in sè un mistero della gioia, un mistero così gaudioso? Una lettura blasfema e azzardata di una “annunciazione” meno divina e poco ortodossa? O semplicemente il disegno di Dio che passa attraverso la sofferenza di un figlio, perché quella stessa sofferenza sia segno di un desiderio ancora più grande?
Pensavo tra me e me, se Gabriele è il frutto di un desiderio solo e soltanto personale, allora dovremmo credere che non è Dio a mettere nel nostro cuore i desideri più intimi. E un salmo mi viene in aiuto: “Hai messo più gioia nel mio cuore di quanta ne diano a loro grano e vino in abbondanza” (Salmo 4,8). Non è forse Dio che vuole che la nostra vera gioia abiti il nostro cuore più abbondantemente del vino e del grano che possono abitare su una tavola?
Questo salmo mi fa tremare, perché paradossalmente la “gioia” viene messa in contrapposizione alla gioia che può dare “grano e vino”, e il pane e il vino ci ricordano inevitabilmente il corpo e il sangue di Cristo, l’unica vera gioia di un cristiano. Allora penso e medito che proprio quella gioia così desiderata da una persona transgender diventa quello stesso pane e quello stesso vino desiderato più abbondantemente di quanto lo sia sulla tavola imbandita dagli altri.
Rileggo ancora una volta tutta la storia di Gabriele e sembra davvero un calvario, ma arrivo alla fine del racconto e trovo tre aggettivi che Gabriele attribuisce ai suoi amici transgender: “unici, forti e determinati”. Quanta forza e determinazione ci vuole per vivere ed essere sé stessi?
Quanto siamo “unici” se non proprio nel trovare la forza e determinazione per essere davvero quel che siamo? Non si tratta di essere uomini o donne, etero o gay, transessuali o altro…qui è in gioco la vita di creature, di esseri umani, figli e figlie di Dio: “Non c’è qui né Giudeo né Greco; non c’è né schiavo né libero; non c’è né maschio né femmina; perché voi tutti siete uno in Cristo Gesù” (Galati 3,28).
E non posso che pensare alle bende dopo i vari interventi a cui una persona transgender è sottoposta. Penso al racconto di Lazzaro (Giovanni 11, 1-44), e penso che la forza e la determinazione non deve essere solo di chi fa un passo e una scelta così difficile e incomprensibile, di chi esce dal proprio “sepolcro”, ma credo che la forza e la determinazione siano le qualità di un vero cristiano che è chiamato ad aiutare il proprio fratello e la propria sorella ad uscire dal sepolcro.
Dopo che Lazzaro viene chiamato per nome e viene invitato da Gesù a fare il suo “coming out” dal suo sepolcro, Marta e Maria sono chiamate a togliere le bende del loro fratello resuscitato: ogni coming out è come muovere un masso davanti al proprio sepolcro, è una rinascita, è una resurrezione.
Ma è anche un grande invito a tutti ad aiutare chi torna a nuova vita, un invito a togliere quelle bende, a sostenere le ferite di una vita passata, ad accogliere, ad amare senza “nessun ma”, ad essere caritatevoli senza “nessun forse”…
Cos’è in fondo la resurrezione se non una nuova creazione ed essere nuovamente chiamati per nome?
* Un grazie di cuore a Fabio per aver voluto donare una sua riflessione al progetto TRANSizioni de La tenda di Gionata, composto da persone transessuali e non e dai loro genitori, che vuole contribuire a combattere i pregiudizi che le persone transessuali e i loro genitori vivono ogni giorno, nella società e nelle chiese, attraverso la conoscenza e la testimonianza consci che “si teme ciò che non si conosce, e non si conosce ciò che si teme“. Se vuoi contattarci scrivi a tendadigionata@gmail.com
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