Il cambiamento del nome nella Bibbia
Testo di Austen Hartke tratto da “Transforming: The Bible and the Lives of Transgender Christians” (Trasformazioni. La Bibbia e le vite dei cristiani transgender), editore Westminster John Knox Press, 2018, 225 pagine), capitolo 6.3, liberamente tradotto da Diana di Torino, revisione di Giovanna di Parma
Uno dei modi più comuni, sia nella Bibbia che oggi, di cambiare nome per le persone transgender è quello di cambiare leggermente l’ortografia del nome di nascita in modo che abbia un suono simile ma un significato e una connotazione leggermente diversi. Per esempio si potrebbe cambiare da Bobbi a Bobby, o da Mason a Madison, da Emily a Emile. Si trova un esempio nella Bibbia di questo tipo di lieve modifica in Genesi 17 quando Dio dà un nuovo nome ad Abramo e Sara:
Allora Abramo si prostrò con la faccia in terra, e Dio gli parlò dicendo: Quanto a me, ecco il patto che faccio con te; tu diverrai padre di una moltitudine di nazioni; e non sarai più chiamato Abramo, ma il tuo nome sarà Abrahamo, poiché io ti costituisco padre di una moltitudine di nazioni.
E Dio disse ad Abrahamo: Quanto a Sarai tua moglie, non la chiamar più Sarai; il suo nome sarà invece Sara. E io la benedirò, ed anche ti darò di lei un figliolo; io la benedirò, ed essa diverrà nazioni; re di popoli usciranno da lei.(Genesi 17:3-5, 15-16)
Anche se Abramo non aveva avuto figli con sua moglie Sarai prima di questo momento, il suo nome di nascita significava “padre esaltato”, il che doveva sembragli una dolorosa ironia. Quando Dio gli cambia nome e diventa Abrahamo, che significa “padre di molti”, gli offre non solo un nuovo nome, ma anche una nuova identità e una nuova promessa.
Il cambio di ortografia da Sarai a Sara non muta il significato essenziale del suo nome – Sara significa “principessa” – ma il fatto di darle un nuovo nome vuol dire che Dio le dà una nuova identità e li benedice entrambi. Come scopriremo più avanti nella loro storia, il patto che Dio fa con Abrahamo è nullo e non è valido se Sara non è inclusa.
Quando guardiamo alle storie delle ridenominazioni nella Bibbia, spesso scopriamo che a molte persone viene assegnato un nuovo nome che loro non hanno mai richiesto. Mentre sono sicuro che Abramo faceva tesoro del nuovo nome e della promessa fattagli da Dio, così come Pietro probabilmente si sentì onorato quando Gesù lo proclamò il fondamento della chiesa, non tutti accettano così facilmente il nuovo nome. Alcune persone devono lottare.
Giacobbe ed Esaù erano i nipoti gemelli di Abramo e Sara. Ancor prima che nascesse, Giacobbe, il gemello più giovane, si dimostrò un noto piantagrane. Genesi 25 ci racconta che quando nacque il primo gemello, era ricoperto di peluria, così i genitori lo chiamarono Esaù, che significa “peloso”. Il secondo gemello, nato subito dopo, aggrappandosi al tallone del fratello, venne chiamato Giacobbe, che si potrebbe tradurre come “colui che si aggrappa al tallone”, ma suggerisce anche un altro significato “usurpatore”.
Fin da giovane Giacobbe cercava di superare il fratello maggiore. Mentre Esaù era forte, Giacobbe era intelligente e furbo come una volpe. Alla fine convinse il fratello a vendergli l’eredità che gli sarebbe spettata come primogenito e ingannò il padre facendosi dare la benedizione di famiglia. Giacobbe venne cacciato di casa per paura che Esaù potesse tentare di ucciderlo per riavere l’eredità e la benedizione.
Anni dopo Dio disse a un Giacobbe più vecchio e più maturo di tornare a casa. Giacobbe aveva paura, però prese le sue cose – bestiame, servi, due mogli e numerosi figli – e si avviò verso casa. L’ultima notte, prima che il convoglio fosse pronto ad incontrare Esaù, Giacobbe decise di dividere la carovana inviando dei doni in anticipo per addolcire Esaù e mandando le donne e i bambini in un altro gruppo per proteggerli. Giacobbe pensò di trascorrere la notte da solo – o così pensava.
Giacobbe rimase solo, e un uomo lottò con lui fino all’apparir dell’alba. E quando quest’uomo vide che non lo poteva vincere, gli toccò la connessura dell’anca, e la connessura dell’anca di Giacobbe fu slogata, mentre quello lottava con lui. E l’uomo disse: Lasciami andare, ché spunta l’alba. E Giacobbe: Non ti lascerò andare prima che tu m’abbia benedetto! E l’altro gli disse: Qual è il tuo nome? Ed egli rispose: Giacobbe.
E quello disse: Il tuo nome non sarà più Giacobbe, ma Israele, poiché tu hai lottato con Dio e con gli uomini, ed hai vinto. E Giacobbe gli chiese: Deh, palesami il tuo nome. E quello rispose: Perché mi chiedi il mio nome? E lo benedisse quivi. E Giacobbe chiamò quel luogo Peniel, perché, disse, ho veduto Iddio a faccia a faccia, e la mia vita è stata risparmiata. Il sole si levava com’egli ebbe passato Peniel; e Giacobbe zoppicava dall’anca.(Genesi 32:24-31)
Il nuovo nome di Giacobbe – Israele – è difficile da rendere per i traduttori, ma viene spesso interpretato come “colui che ha lottato con Dio” oppure “colui che ha lottato con Dio e ha perseverato”.
Questa immagine – questa lotta con Dio e con gli uomini – è incredibilmente familiare ai cristiani transgender che hanno passato parte della loro vita alle prese con la loro fede e il loro genere.
A volte dobbiamo lottare per veder riconosciuto il nostro genere, a volte lottiamo per esser riconosciuti come cristiani, a volte sembra che ci stiamo aggrappando a Dio con entrambe le mani e ci rifiutiamo di lasciarlo andare, finché non ci lascia qualcosa in cambio. Quella fame e sete di giustizia, di benedizione, di grazia può lasciarci estasiati quando finalmente la riceviamo, ma può anche lasciarci zoppicanti.
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