Il cammino che ha portato all’approvazione del matrimonio gay negli Stati Uniti
Riflessioni di Andrew Sullivan* pubblicate sul settimanale Internazionale n.1109 del 3 luglio 2015, p.38
Questa frase è stata attribuita a Gandhi, anche se non l’ha mai detta: “Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono. Poi vinci”. Ricordo uno dei primi dibattiti televisivi a cui ho partecipato sulla questione dei matrimoni gay. Il programma era Crossfire, e la risposta dell’esponente repubblicano Gary Bauer alla tesi che avevo espresso nel mio articolo di copertina sul settimanale The New Republic fu una sonora risata. “Questa è l’idea più stramba che abbia mai sentito. Pensate davvero che valga la pena di parlarne?”, disse. Quelli erano i giorni dell’emarginazione.
Poi fui contattato da Evan Wolfson, un ragazzo che aveva scritto una tesi sull’argomento nel 1983, e improvvisamente mi sentii meno solo. Quindi ci fu la svolta delle Hawaii, dove la corte suprema stabilì che, sulla base della parità di genere, sposarsi era un diritto di tutti. Nessun gruppo gay aveva sostenuto la causa, ritenuta senza speranza e possibile scintilla di un disastroso contraccolpo per il movimento. Il procedimento fu guidato da un avvocato etero dell’Amenican civil liberties union, Dan Foley, uno dei molti uomini e donne etero che hanno contribuito alla causa.
Dopo quella vittoria sensazionale subimmo il contraccolpo temuto, e tutti i principali gruppi per la difesa dei diritti dei gay si rifiutarono di sostenere quella svolta. E così perdemmo. Perdemmo un’infinità di volte. La sinistra gay guardava con sospetto a questa riforma dal sapore conservatore, e due terzi del paese erano contrari. La destra religiosa pensò che fosse un’opportunità irripetibile per un nuovo attacco e propose un emendamento costituzionale contro il matrimonio gay in molti stati, vincendo ogni volta. I nostri alleati ci abbandonarono. I Clinton appoggiarono una legge del 1996 che definiva il matrimonio come l’unione tra un uomo e una donna. Nel 2004 George W. Bush propose addirittura di introdurre nella costituzione la definizione di matrimonio come unione tra un uomo e una donna. Quelli furono i giorni bui. Oggi ricordo tutto questo per smentire la tesi secondo cui siamo “dalla parte giusta della storia”.
La storia non è una linea retta. I movimenti non avanzano in modo costante. Il progresso va e viene. Per molti anni è sembrato che a un passo avanti ne seguissero due indietro. La storia è un misto di circostanze, coraggio, convinzione e casualità. Ma alcune cose le sai nel profondo dell’animo: per esempio che tutte le persone sono create a immagine di Dio, che i loro amori e le loro vite hanno lo stesso valore, che la ricerca della felicità promessa dalla dichiarazione d’indipendenza statunitense non ha significato se non comprende il diritto a sposare chi ami e non ha forza se nega questa libertà fondamentale a un gruppo di persone. Questa verità innegabile è la stessa che il giudice Anthony Kennedy, della corte suprema degli Stati Uniti, ha ribadito oggi con la sentenza che stabilisce la legittimità dei matrimoni omosessuali: i gay sono esseri umani. Nel 1996 scrissi: “L’omosessualità riguarda il legame emotivo tra due adulti. Quale istituzione definisce meglio del matrimonio questo concetto? Il rifiuto del matrimonio gay è una questione fondamentale. Sostenere che l’amore tra omosessuali non vale quello tra eterosessuali e sottintendere che le vite e le speranze dei gay valgono meno di quelle degli altri è una dichiarazione che ha conseguenze enormi. Perché taglia fuori i gay non solo dal rispetto della società civile, ma anche dalla storia delle loro famiglie e dei loro amici. Li cancella come cittadini e come esseri umani”.
Non siamo deviati, malati o cattivi, o almeno non lo siamo più degli altri esseri umani con cui condividiamo questa valle di lacrime. Siamo nati in una famiglia, amiamo, sposiamo, ci prendiamo cura dei nostri figli, moriamo. Nessuna istituzione civile è legata a queste profonde esperienze umane più del matrimonio. L’esclusione dei gay da questa istituzione implica la nostra inferiorità non solo come cittadini ma come esseri umani. Ci voleva coraggio per accettare questa realtà, come ha fatto oggi la corte suprema.
Penso ai bambini gay del futuro, che scopriranno di essere diversi ma non sapranno niente delle ferite psicologiche che la mia generazione e tutte quelle che l’hanno preceduta hanno subìto. Non conosceranno il dolore di non poter mai far parte pienamente della loro famiglia, di non poter mai essere pienamente cittadini del loro paese. Penso ai decenni e ai secoli di vergogna, oscurità e terrore che hanno scandito la vita dei gay.
Penso a tutti quelli che hanno sostenuto il movimento e non hanno vissuto abbastanza per vedere questo giorno. Penso a quelli che sono morti nelle ceneri da cui è emersa la fenice di questo movimento. Questa è anche la loro vitto-ria. Perché il matrimonio, come ha spiegato il giudice Kennedy, oltrepassa anche la morte. Scrivendo saggi, libri e articoli, non pensavo che tutto questo sarebbe successo mentre ero ancora vivo.
Non ho mai pensato che avrei avuto la possibilità di sposarmi o che sposarsi sarebbe stato possibile per chiunque negli Stati Uniti. E invece è successo. In un solo, decisivo colpo.
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* ANDREW SULLIVAN è un giornalista britannico che vive negli Stati Uniti. Dirige il giornale online The Dish, su cui è uscito originariamente questo articolo.