Il cammino dei cristiani LGBT di Kairos e le ferite che insegnano la speranza
Articolo di Gianni Geraci* pubblicato sul settimanale Adista Segni Nuovi n° 43 del 14 dicembre 2019, pag.10-11
La storia degli omosessuali credenti italiani è senz’altro segnata da molte ferite. Lo dimostra il fatto che il gruppo Kairos di Firenze sia nato in seguito al gesto disperato con cui Alfredo Ormando, il 13 gennaio del 2001, si è dato fuoco in piazza San Pietro, spiegando così il suo gesto disperato: «È una forma di protesta con la Chiesa che demonizza l’omosessualità».
Lo dimostra ancora di più il fatto che l’occasione che ha portato questo gruppo ad assumere un ruolo di primo piano all’interno del variegato mondo degli omosessuali credenti italiani, sia stata la decisione di organizzare una veglia di preghiera per le vittime dell’omofobia, mossi dall’urgenza di fare qualcosa dopo che Matteo, un adolescente di Torino, si era suicidato a causa del bullismo dei compagni.
Sì, noi omosessuali credenti siamo un popolo dalle molte ferite: il suicidio di Ferruccio Castellano, animatore e fondatore dei primi tentativi di aggregazione degli omosessuali credenti italiani; la morte di Augusto degli Esposti in seguito alle infezioni derivanti dalla scelta di accompagnare, in un viaggio in Africa, il cardinal Biffi, di cui era portavoce, per la vergogna di dirgli la verità sulla sua condizione di omosessuale e di sieropostivo; la morte tragica di Paolo Seganti, un giovane romano che frequentava il gruppo La Sorgente di Roma e che è stato torturato e trucidato da alcuni criminali di cui non si è mai saputo il nome.
Siamo un popolo dalle molte ferite, ma siamo anche un popolo che ha saputo sempre conservare la speranza e che, di quella stessa speranza, vuole essere testimone in un panorama che rischia di spingere tanti verso lo scoramento e la disperazione. Questo è stato il pensiero che mi ha accompagnato mentre, a Firenze, il 28 novembre scorso, ascoltavo le relazioni che si susseguivano durante il convegno “Quali segni e prodigi. L’esperienza dei cristiani LGBT a Firenze” che il gruppo fiorentino Kairos ha organizzato presso la parrocchia della Beata Vergine delle Grazie dell’Isolotto, per celebrare il suo diciottesimo compleanno.
Anche il titolo del libro che in quell’occasione si è deciso di presentare è un invito alla speranza: Quali segni e prodigi Dio aveva fatti per mezzo di loro. Si tratta degli Atti del V Forum italiano dei cristiani LGBT che, con cadenza biennale, si tiene ad Albano Laziale per capire attraverso quali strade lesbiche e gay possono vivere la fedeltà al Vangelo senza rinnegare un aspetto così radicato della propria personalità come l’orientamento sessuale.
Continuare a sperare nonostante le tante ferite che si patiscono è davvero un segno! Continuare a sperare nonostante il clima di sospetto che, nella chiesa, circonda le persone LGBT è davvero un prodigio che l’azione dello Spirito Santo rinnova giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno.
L’ha ricordato suor Fabrizia Giacobbe, la domenicana che si è ritrovata, quasi per caso, a seguire il gruppo di omosessuali credenti di Firenze: prima di incontrare questi ragazzi l’unico omosessuale che aveva conosciuto era un suo professore universitario. Mai avrebbe pensato che, una volta abbracciata la vita religiosa, ne avrebbe conosciuti tanti altri, diventando per loro un punto di riferimento. Il modo in cui l’ha fatto è stato sorprendente, perché nessuno aspetterebbe mai di sentirsi leggere, durante una tavola rotonda dedicata all’omosessualità, un brano della lettera «Camminare insieme» che il cardinal Michele Pellegrino, aveva indirizzato alla sua diocesi, nel 1971.
Allora la questione cruciale era il rapporto tra la Chiesa e il mondo del lavoro. L’allarme che adesso è posto sulla questione del gender veniva allora lanciato per mettere in guardia la Chiesa e la società contro il “pericolo” del marxismo. Allora, come adesso, in molti cristiani c’era tanta paura. Ed è a chi vive questa paura che il cardinal Pellegrino si rivolgeva scrivendo: «Dobbiamo riconoscere che sono troppo scarsi da parte della comunità ecclesiale quei contatti che sarebbero necessari per conoscere a fondo il lavoratore e per aiutarlo a sentirsi Chiesa e vivere nella Chiesa. C’è difficoltà da parte di molti, sacerdoti e anche laici, e per tante cause, a investirsi dei problemi reali dei lavoratori. C’è una certa paura di compromettersi di fronte a rivendicazioni espresse talvolta in forma discutibile, ma spesso pienamente giustificate». Proviamo a sostituire al termine “lavoratori” il termine “omosessuali” e, non solo, ci ritroviamo catapultati in mezzo a uno dei più aspri dibattiti che dividono la Chiesa contemporanea, ma abbiamo anche una chiave per affrontarlo nel modo giusto.
Padre Pino Piva, il coordinatore del gruppo che la Compagnia di Gesù ha attivato perchè si occupi di pastorale delle frontiere, ha saputo descrivere il senso di questo dibattito citando gli atti del Sinodo sui giovani che, poco più di un anno fa, ha impegnato la Chiesa universale. In particolare si è soffermato sul documento finale che, al punto 150, osserva come: «Esistono questioni relative al corpo, all’affettività e alla sessualità che hanno bisogno di una più approfondita elaborazione antropologica, teologica e pastorale» e ricorda e approva i «cammini di accompagnamento nella fede di persone omosessuali».
Si tratta di un’attenzione importante, anche perché non è accompagnata, come in passato, dalla consueta condanna esplicita di qualunque forma di intimità tra persone dello stesso sesso.
D’altra parte il libro che è stato presentato durante l’incontro, tra gli altri testi, propone un documento che i giovani cristiani LGBT italiani hanno mandato alla segreteria del Sinodo. Un documento che, come ha ricordato lo stesso padre Piva, è stato citato espressamente nell’Instrumentum laboris del Sinodo stesso, quando, al punto 197, si ricorda che: «Alcuni giovani Lgbt, attraverso vari contributi giunti alla Segreteria del Sinodo, desiderano “beneficiare di una maggiore vicinanza” e sperimentare una maggiore cura da parte della Chiesa». Anche in questo caso siamo di fronte a un segno di attenzione importante che non va assolutamente sottovalutato.
La stessa attenzione che c’è stata da parte del vescovo di Albano Laziale, Marcello Semeraro, il quale non solo ha accettato di portare il suo saluto al V Forum italiano dei cristiani LGBT, ma ha anche aderito alla proposta di partecipare alla tavola rotonda finale, autorizzando la pubblicazione della relazione che aveva tenuto. Questo mi ha portato a ripensare a quando, nel 1998, in occasione della preparazione di un convegno che si teneva a Milano sul tema: “Le persone omosessuali nelle chiese. Problemi, problemi, percorsi e prospettive”, avevo chiesto a più di un vescovo di intervenire e ricevuto tanti cortesissimi rifiuti. Sono passati vent’anni e, forse, le ferite che ci hanno segnato, stanno iniziando a dare i loro frutti, perché «la Chiesa è sempre in cammino» come ha ricordato Cristiana Simonelli, la presidente del Coordinamento teologhe italiane che aveva tenuto una seguitissima relazione alla tavola rotonda a cui aveva partecipato monsignor Semeraro.
Lo ha fatto ripercorrendo le vicende che, nel corso del III secolo, hanno portato alla nascita del sacramento della riconciliazione. «Nella scrittura c’era già tutto!», ha ricordato Simonelli. «Solo che nessuno ci aveva pensato, perchè il problema della riammissione all’interno della comunità ecclesiale di quanti avevano rinnegato la fede non si era ancora posto». É stato proprio l’inizio di una riflessione su questa nuova evidenza che ha portato a comprendere meglio quello che adesso ci sembra così evidente nel messaggio evangelico, ovvero il fatto che Dio ci perdona. Se non ci fossero state le ferite di quanti si erano ritrovati emarginati nelle prime comunità cristiane, questa comprensione non sarebbe emersa.
Ecco perché le ferite che hanno segnato la nostra storia di omosessuali credenti non vanno mai dimenticate: da queste può nascere una compresione più autentica del mistero della Redenzione. Da queste ferite può partire quel lavoro incessante che siamo chiamati a fare, per far diventare davvero la Chiesa il luogo in cui, per dirla con una felicissima frase di don Tonino Bello, «si vive la convivialità delle differenze».
* Gianni Geraci, nato nel 1959, dopo aver partecipato attivamente alla vita di alcune associazioni cattoliche, è entrato in contatto con il Gruppo del Guado di Milano e, nel 1996 è stato nominato portavoce del Coordinamento Gruppi di Omosessuali Cristiani in Italia. Ha curato il saggio sull’accoglienza pastorale delle persone LGBT “Quali segni e prodigi Dio ha compiuto per mezzo di loro” (ed. Viator, 2019).