Il cammino dei “Viandanti “nel cambiamento d’epoca” dopo l’incontro di Parma
Articolo di Alberto Simoni pubblicato su “koinonia-forum” n. 583 del 25 settembre 2018
Cari amici, ci sarà modo di fare in seguito il punto sull’Assemblea dell’Associazione Viandanti (Parma, 22 settembre), che aveva come tema “I Viandanti nel cambiamento d’epoca“, e alla quale ho partecipato volentieri e con frutto. Per il momento vorrei solo dire con quali parole ne sono uscito, ripetendo dentro di me quanto leggiamo in At 6,4: “Così noi apostoli potremo impiegare il nostro tempo a pregare, a predicare e ad insegnare” (At 6,2-4).
Potremo essere dediti completamente all’impegno di pregare e predicare lasciando ad altri incombenze di altro genere!
Sono le parole che mi risuonavano nel cuore mentre ascoltavo appassionati e lucidi interventi, che però mi hanno fatto pensare ai problemi che via via nascono per l’amministrazione delle mense, per l’organizzazione della vita comunitaria, per la gestione di organismi ecclesiali, e anche per scelte pastorali intese come “attività” religiose o sociali. Si diceva infatti di “parrocchie come assetti organizzativi” e di una chiesa ancorata ad una organizzazione societaria e clericale di matrice tridentina, che è il versante rispetto al quale dovrebbe avvenire un reale cambiamento d’epoca, e per il quale siamo in grande ritardo.
Ma quando nel dibattito si cercava di recuperare sui ritardi storici di un sistema da superare, era quasi inevitabile il ricorso ad espedienti ed iniziative interni allo stesso sistema, che pertanto riaffermava se stesso. Come forma di superamento è stata avanzata la proposta di una evangelizzazione come fonte di senso per una esistenza umana e di fede, arrivando addirittura a volersi sbarazzare del “Credo” come confessione di fede: affermazioni certamente significative e radicali, ma è chiaro che il punto critico rimane la loro praticabilità su vasta scala.
A parte queste opportune “provocazioni”, la sensazione era che le logica di sistema sia dentro di noi più di quanto ci si renda conto, e quando pensiamo di averla neutralizzata essa ci si ritorce contro per catturarci e imbrigliarci. Se poi per superarla tentiamo di rompere il blocco mentale e istituzionale che la incarna, è la volta che si fa valere di più e ci consente solo variazioni sul tema, lasciandoci illudere di essere già altrove. E’ insomma qualcosa di più papista del Papa, ce ne rendiamo conto? Come sottrarsi a questa logica veramente pervasiva?
Quando Fulvio De Giorgi conclude la sua ottima relazione, proponendo appunto l’evangelizzazione che dia senso alla esistenza concreta, dice effettivamente quello che ci vorrebbe; ma non dice chi se ne deve fare carico, se la chiesa così com’è riproducendo se stessa, o se pionieri o cani sciolti facile presa della potenza gravitazionale del sistema. Ma forse l’indicazione più preziosa egli l’ha offerta quando en passant ha fatto una battuta riguardo alle omelie nei funerali, dicendo che sarebbe molto meglio non ci fossero!
E se questo auspicio dovesse essere esteso trasversalmente a tutta una prassi di trasmissione della Parola e di servizio del vangelo? E allora, vogliamo finalmente fare l’ultimo passo e mettere in discussione la “predicazione” stessa, che dovrebbe essere la via maestra per la comunicazione della fede e nella fede? Sì, è la “stoltezza della predicazione” il compito ricevuto e la scelta da fare, come ci dice il collegio apostolico di Gerusalemme. Di tutto questo però non solo non se ne parla, ma manca la necessaria consapevolezza del problema, che mi ostino a considerare il punto cruciale e il possibile punto di appoggio per far saltare tutti i sistemi e riportarli alle loro dimensioni di mezzi e non di fini.
Non è possibile che l’annuncio del vangelo rimanga circoscritto in ambito rituale (in senso moralistico, esegetico, spirituale, devozionista e opportunista…) e confinato in ambienti religiosi (per far valere la propria visione di mondo), quando la sua destinazione è il mondo e sono le genti tutte: è la salvezza della umanità. Certamente non sembra che sia questo il criterio di discernimento e di orientamento adottato per quella “conversione pastorale” di cui ci riempiamo la bocca, mentre appunto si preferiscono metodi di gestione, di organizzazione, di visibilità pubblica: si direbbe l’opera delle nostre mani!
Guardando a noi, inutile ripetere che questa “sollecitudine per tutte le chiese” è stata sempre il filo conduttore del nostro impegno, sempre in maniera contestuale e aperta alle esigenze istituzionali e in attitudine di dialogo: ma tutto si è rivelato inutile, a rischio di rimanere riassorbiti nel perbenismo, nel legittimismo, nella logica appunto di sistema vincente per definizione. Sia lecito perciò dire almeno di che cosa bisogna prendere atto: decisioni dall’alto e circostanze varie potrebbero portare infatti a tacita acquiescenza, ad appiattirsi su situazioni che si danno per risolte sul piano amministrativo e burocratico, quando premono responsabilità di predicazione aperta. Perché, come sappiamo, “la Parola di Dio non è incatenata” (2Tim 2,9), neanche quando c’è da soffrire per il vangelo fino ad essere incatenati o neutralizzati come malfattori!
Nasce proprio di qui la spinta ad uscire pienamente allo scoperto: non che ci siamo nascosti o mimetizzati, ma rispetto al sistema siamo stati sempre un passo indietro, sempre nella speranza di una convergenza e intesa. Al momento in cui i segnali sono del tutto di segno contrario – tra apparenze e margini di tolleranza – viene spontaneo fare proprie le parole degli apostoli: “Allora i dodici convocarono tutti i credenti e dissero: “Noi dovremmo impiegare il nostro tempo a predicare, non ad amministrare la mensa, perciò cari fratelli, scegliete fra voi sette uomini, che siano saggi, pieni di Spirito Santo e ben visti da tutti, e noi affideremo a loro questo incarico. Così noi apostoli potremo impiegare il nostro tempo a pregare, a predicare e ad insegnare” (At 6,2-4). Quando non succeda invece che il compito di predicare venga delegato alla “amministrazione della mensa” o quant’altro del genere!
Diciamocelo francamente: è sì o no un momento decisivo per il modo di essere della chiesa nel tempo? E quanta tara ci sarebbe da fare oggi se si adottasse questo criterio? La dichiarazione degli apostoli è in realtà la chiave di soluzione per superare una logica di sistema con le sue esigenze – la Legge che viene da Mosé – e per cercare di riportare in primo piano nella sua specificità il servizio del vangelo fino a farsene schiavi – la Grazia e la Verità date per mezzo di Gesù (cfr Gv 1,17). Se c’è un cambiamento così radicale già all’interno della tradizione biblica, quale non sarà lo iato tra vangelo e mondo?
Se in un momento come questo c’è da stare attenti a non spegnere il lucignolo fumigante e ad evitare che si spenga lo Spirito (cfr Mt 12,20;1Tess 5,19), cerchiamo di fare quanto possibile per verificare motivazioni, prospettive e disponibilità ad un servizio del vangelo che non è deciso da noi, ma per il quale siamo presi a giornata. Ce la sentiamo di aiutarci a vivere la nostra fede lasciando da parte tutte le ricchezze religiose e spirituali di cui siamo portatori, per ritrovare invece la gioia del vangelo come kairos unico per la storia del mondo e per l’umanità? Non dobbiamo reimparare a viverlo come tale per esserne poi risonanza per il Paese prima che per la sola Chiesa? E’ lo spirito che ci anima e con il quale vogliamo ritrovarci con chi può domenica prossima come “Centro Koinonia P.Paolo Andreotti”, mentre ringraziamo le Consorelle domenicane della loro fraterna ospitalità.
Alberto