Il cammino delle suore domenicane dell’Unione S. Tommaso di Firenze con i cristiani LGBT e i loro genitori
Intervento tenuto dalla Comunità di Firenze delle suore domenicane dell’Unione S. Tommaso d’Aquino alla plenaria del Forum dei cristiani LGBT (6-7 ottobre 2018, Albano Laziale)
Fino a dieci anni fa l’unica persona dichiaratamente omosessuale che avessi conosciuto era il professore d’università con il quale mi laureai. Durante i miei studi lessi in un suo libro come, dopo anni di Azione Cattolica, egli avesse finito per allontanarsi dalla Chiesa perché, diceva, “non posso restare là dove mi si considera un mostro”. Quella frase mi ferì e mi rimase dentro. Amavo la Chiesa e non mi pareva ch’essa considerasse “mostri” gli omosessuali, ma incominciai a percepire allora quanta sofferenza potessero provocare certe affermazioni, quale peso sulla vita di persone già ferite potessero avere certi pronunciamenti, anche se detti o scritti a fin di bene. Soprattutto pensavo: che peccato che questi siano talvolta in grado di allontanare dal potere straordinariamente liberante del Vangelo, di neutralizzare la buona notizia di un Dio “amante della vita” (Sap 11,26) in tutte le sue forme e in tutti i suoi volti: un Dio di fronte al quale poter essere se stessi nella verità, senza maschere né paure, sapendosi profondamente amati per ciò che si è.
Quando circa dieci anni fa il Gruppo Kairòs (cristiani omosessuali di Firenze) chiese alla nostra comunità ospitalità per un percorso biblico di lectio divina, ne fummo felici e ci parve di leggere in questa proposta una chiamata di Dio. Fu per noi l’invito ad “allargare la tenda” (Is 54) per fare sempre più l’esperienza di quello che la Chiesa, secondo una bella espressione di don Primo Mazzolari, dovrebbe essere: “focolare che non conosce assenze”, perché in essa ogni figlio/figlia di Dio, qualunque situazione viva, può sentirsi a casa. Il nostro desiderio di “sorelle”, fin dall’inizio, è stato proprio questo: far sentire a casa chi a tutti gli effetti “è di casa”. A volte sentiamo parlare della necessità di “accogliere” le persone LGBT (Lesbiche, gay, bisex e trans) nella chiesa, quasi si trattasse di lasciar entrare chi è estraneo, lontano. A noi pare si tratti piuttosto di vivere e consolidare la comunione perché chi è “di casa” non sia tentato di allontanarsi, non si senta “respinto” a causa del proprio orientamento sessuale, non si giudichi né escluso dallo sguardo d’amore di Dio, né esonerato da un percorso di crescita nella relazione con lui.
Di questi dieci anni di cammino la nostra comunità non può oggi che ringraziare. Essi sono stati innanzitutto per noi motivo di conversione, perché ci hanno allontanate dalla tentazione, sempre in agguato, di ragionare per categorie astratte senza incontrare le persone: all’etichetta “LGBT” abbiamo potuto sostituire volti e storie concrete che nel tempo abbiamo imparato a conoscere e ad amare. Da parte nostra non abbiamo fatto altro se non accompagnare e incoraggiare, con discrezione e rispetto, quasi “in punta di piedi” ma non senza coinvolgimento e passione, cammini di fede che ci hanno testimoniato una ricerca sincera della volontà di Dio e una straordinaria sete della sua Parola d’amore. Insieme abbiamo pregato, con un’abbondanza di iniziative e una fedeltà che tante volte ci ha commosse (c’è chi viene regolarmente da Verona a Firenze anche solo per la lectio divina del dopocena).
Insieme abbiamo condiviso sofferenze (spesso acute) e gioie. Insieme abbiamo varcato i confini rassicuranti del gruppo per accogliere l’invito di quelle realtà ecclesiali che, sempre più numerose negli ultimi anni, ci chiedevano un incontro e una testimonianza. Insieme abbiamo camminato, senza la pretesa di sentirci “a posto” di fronte a Dio (e chi potrebbe esserlo?), ma chiedendo il suo aiuto per crescere in quella capacità di amare che sola può regalare pienezza alle nostre vite.
Proprio in relazione a questa chiamata all’amore che connota la dignità di ogni essere umano e facendo tesoro di quanto abbiamo vissuto in questi anni, ci preme ora sottolineare due cose:
1. L’urgenza di una conversione pastorale. Il Signore ci chiede di amare il prossimo come noi stessi; bisogna amarsi per poter amare. L’ascolto di tante storie di persone omosessuali ci ha insegnato che la loro prima grande sofferenza è spesso legata a un percorso lungo e travagliato di accettazione di sé. Se la fede cristiana, che è fondata sulla consapevolezza dell’amore di Dio per ciascuno, non riesce in questo ad essere d’aiuto o addirittura diventa ostacolo all’autoaccettazione, vuol dire che le nostre comunità hanno bisogno di conversione. L’esperienza dell’amore di Dio passa infatti necessariamente attraverso gli altri; abbiamo tutti bisogno di parole e sguardi che ci aiutino a scoprire la nostra bellezza, che ci confermino nel nostro valore, che ci aprano gli occhi su quella preziosità che deve condurre ciascuno, nessuno escluso, a cantare con il salmista: “ti lodo, Signore, perché mi hai fatto come un prodigio” (cf. sal 139,14).
Le nostre comunità cristiane, che hanno condannato per lo più al nascondimento le persone lgbt presenti al loro interno, lasciando sussistere il sospetto di un sottile legame tra condizione omosessuale e perversione morale, debbono riconoscere di aver tradito lo sguardo benedicente di Dio e intraprendere, a incominciare dai propri pastori, un cammino di conversione. Passi incoraggianti in questa direzione, grazie a Dio, oggi ci sono. Noi sogniamo che venga il giorno nel quale non sarà più necessaria una “pastorale per le persone omosessuali”, perché queste potranno trovarsi a proprio agio in ogni ambiente ecclesiale, mostrandosi per quello che sono senza vergogna, senza timore di emarginazioni o di perentorie condanne.
2. Per quanto sia fondamentale la conversione pastorale, siamo convinte che questa non basti. Crediamo che la teologia sia chiamata oggi a ripensare con coraggio, secondo la sua specifica vocazione alla ricerca, le questioni relative al mondo LGBT. Non siamo ingenue; siamo ben coscienti della complessità di tali questioni e sappiamo bene come indebite semplificazioni non giovino a nessuno. Crediamo anche di avere chiare le esigenze radicali che la santità, vocazione di tutti, omosessuali ed eterosessuali, richiede: non siamo certo per quella banalizzazione dell’amore e della sessualità alla quale la morale cattolica si è sempre giustamente opposta. Dal momento però che tale morale non ha a fondamento la paura dell’amore, ma il desiderio di aiutare le persone ad amare di più e ad amare meglio, ci pare doveroso chiederci se, allo stato attuale, essa consenta realmente questo alle persone omosessuali; è legittimo dubitare che sia così. Per questo insieme ad altri stiamo pensando a qualche iniziativa che possa sollecitare nei contesti accademici la ricerca teologica alla luce, come sempre, del Vangelo e dell’esperienza umana, e dunque nel fondamentale ascolto e dialogo con tanti, a incominciare dalle persone omosessuali e dalle loro famiglie.
A questo proposito, tramite il Gruppo Kairòs abbiamo avuto la grazia di incontrare numerosi genitori credenti di persone omosessuali e crediamo che da loro possa venire oggi un contributo fondamentale. Diversi ci hanno raccontato come per amore dei figli abbiano accettato di rimettersi in cammino, si siano trovati a interrogarsi in profondità, a rimettere in discussione convinzioni e certezze fino ad arrivare, dopo percorsi carichi di fatiche ma anche di luce, a dirsi oggi rinati a vita nuova: genitori rigenerati dai propri figli a una paternità e maternità che diventano dono per tutti, aiuto prezioso per altre famiglie nella stessa situazione ma anche per tutta la chiesa, che non può illudersi di essere maestra se non facendo sempre più largo spazio al proprio cuore di madre.
Concludo
Quando entriamo in convento, il Signore ci promette, tra il resto, che, lasciate case, fratelli, sorelle, padre e madre.., ne riceveremo il centuplo. Oggi siamo felici che in questa famiglia estremamente variegata e assai poco “normale” quale è la nostra famiglia religiosa, fatta di vincoli forti di comunione con tanti, ci siate anche voi, fratelli e sorelle LGBT. Continueremo a camminarvi a fianco, non con l’intento, come ebbe a dire Paolo ai Corinzi, di far da padroni sulla vostra fede, quanto di essere collaboratrici della vostra gioia, perché nella fede voi siete già saldi. (cf. 2 Cor 1,24).