Il cammino di riconciliazione della Pastorale della diversità sessuale nella chiesa cilena
Intervista di Romina Aquino González a padre Pedro Labrín SJ, pubblicata sul sito di informazione Última Hora (Paraguay) il 7 novembre 2019, liberamente tradotta da Laura R., parte prima
Un gruppo di giovani entusiasti si è incontrata nel grande salone del Grand Hotel del Paraguay, preparando il benvenuto per il III Incontro Ecumenico della Diversità Sessuale. Sono i membri del gruppo Cristianos Inclusivos del Paraguay, una comunità che offre appoggio spirituale alle persone LGBTQI e accoglie a braccia aperte varie individualità che non trovano spazio per la loro fede, con lo slogan “Dio ama incondizionatamente”.
L’oratore principale di questo terzo incontro è stato il sacerdote gesuita Pedro Labrín, membro della Compagnia dei Gesuiti dal 1997, in arrivo dal Cile per condividere la sua esperienza come responsabile della Pastoral de la Diversidad Sexual (Padis+).
Dal 2009 la Padis+ è riuscito a risolvere l’equazione di religione e diversità sessuale, che in alcuni luoghi sembra essere ancora incompatibile, come a Hernandarias, dove diverse persone, autonominatesi “provita” e “profamiglia”, irruppero gettando pietre ai manifestanti della prima manifestazione LGBTQ della città.
Tuttavia, padre Labrín festeggia questo lavoro, che ha avuto bisogno di un processo di apprendimento personale verso l’apertura e il riconoscimento della diversità; non solo nella teoria, ma conoscendo a fondo queste persone, ascoltando le loro storie e abbracciando le differenze, chiamat* tutt* dal Vangelo:
“Mi rende davvero felice essere stato invitato qui, non soltanto per il desiderio di costruire, ma anche per permettere che Gesù ci parli chiaramente e ci dica come dobbiamo comportarci gli uni con gli altri”, afferma padre Labrín, 49 anni.
Durante una piacevole intervista abbiamo parlato con questo sacerdote dalle idee moderne, che non ha paura di affermare che la Chiesa è il primo ostacolo verso l’integrazione, perché si basa su antichi pregiudizi e dottrine, ma essendo la trasparenza il valore principe, oggi si sono potute riconciliare convinzioni e intere famiglie.
Perché crede che storicamente le persone LGBTQI siano state emarginate dalla Chiesa?
Storicamente credo che vi sia stata una sorta di alleanza molto profonda tra credenze, pregiudizi ed elaborazioni dottrinali; concezioni antropologiche cristiane che, alla luce dei fatti, di cui oggi disponiamo per comprendere i fenomeni di diversità sessuale, si dimostrano obsolete. C’è una nuova riflessione, una nuova cura, un altro approccio. Oggi sappiamo che i diversi orientamenti sessuali non sono una malattia, e non corrispondono a una perversione, ma sono una variante naturale della sessualità umana, corrispondente a una certa percentuale della popolazione.
Tutti questi elementi che abbiamo oggi prima non esistevano, il che non ha favorito l’integrazione e la visibilità di questa variante della sessualità: al contrario, molte persone sono state costrette a vivere in segreto, escluse, senza accesso a spazi pubblici, fortemente censurate, punite e penalizzate.
Negli ultimi tempi abbiamo fatto però enormi passi avanti, passando dalla penalizzazione dell’omosessualità al riconoscimento, in alcuni Paesi, del matrimonio egualitario. Non so dove arriveremo noi come Chiesa Cattolica, ma credo che dovremmo fare la stessa strada del resto della società. La nostra fede ci impone di rendere ragione di ciò in cui crediamo, e oggi abbiamo abbastanza elementi, apportati dalle scienze umane, per comprendere il fenomeno della sessualità, con criteri che prima non utilizzavamo.
Come è stata la sua esperienza per accogliere questo punto di vista?
Quando ero assistente nazionale della Comunità di Vita Cristiana CVX, bussarono alla porta per dirmi: “Vedi, Pedro, noi siamo membri di questa comunità, siamo gay e vogliamo rendere visibile la nostra realtà”. Vorremmo accompagnare altri giovani che non hanno avuto le stesse opportunità, e se possiamo evitare dolori e errori, ancor meglio, perché al momento di dover riconoscere se stessi senza alcun sostegno, si possono commettere molti errori, e si è anche esposti ad abusi.
Allora si apprestavano a rendere ragione della loro condizione di comunità di persone gay, e con ciò offrendosi anche come cammino di riferimento. E così abbiamo iniziato a chiamare le persone. Mi hanno chiesto se volevo partecipare, mi sembrò ovvio farlo, ma è stato un processo che le persone della mia generazione devono fare, ovvero di educarci seriamente in questa materia.
Le nuove generazioni nascono con il “chip dell’inclusione” già installato, e sono culturalmente abilitate a vivere in un mondo sessualmente variegato, senza sperimentarlo come minaccia, come tabù, come un qualcosa di contagioso, senza tutti i pregiudizi che noi anziani invece abbiamo.
Parallelamente con l’inizio delle riunioni, è iniziata anche la mia educazione personale per accompagnare efficacemente un processo di discernimento consapevole per valutare la dottrina della Chiesa, e anche la chiamata rivolta alla coscienza, perché qui si dà una scelta. Il codice della Chiesa non basta a dare spazio alle persone omosessuali, la proposta fatta nella formulazione che abbiamo oggi è di una crudeltà distruttiva. È curioso che impongano come penitenza il celibato, quando la Chiesa lo comprende come una vocazione e una realizzazione piena.
E quali insegnamenti ha assorbito durante questo processo?
Per quanto riguarda la mia formazione cattolica, per la cultura omofoba da cui provengo, come la maggior parte delle famiglie, il mio rapporto con la diversità sessuale prima era attraverso le idee, non attraverso il contatto personale. Quello che questo gruppo mi ha offerto, ed è il dono che più apprezzo, è stata la possibilità di poter toccare le loro vite, conoscere le loro aspirazioni, distruggere i falsi miti e rendermi parte delle loro aspirazioni.
Purtroppo, per quanto riguarda l’omosessualità, l’omofobia della nostra cultura ci ha dotato di una lente: se una persona dice a un’altra persona che è gay, lesbica o bisessuale, quella persona immediatamente si immaginerà scene di organi genitali, trasmesse direttamente dalla cultura, ma, se mi si presenta una coppia etero, io non mi immagino questo tipo di scenario.
Questo è davvero brutto, perché trasforma in oggetto la relazione affettiva, l’associa esclusivamente ai genitali e scompare la parte emotiva e creativa, come se nelle relazioni affettive omosessuali non ci si stringesse mai la mano per godersi un bellissimo tramonto, o non ci si impegnasse mai in un progetto generoso di vita. Si mette in atto una riduzione della relazione omosessuale alla genitalità, ed è una ingiustizia che dobbiamo abbattere.
È molto raro, ma potrebbe accadere, che i genitori immaginino i loro figli nel periodo del fidanzamento eterosessuale che intrattengono rapporti sessuali. Potrebbero essere preoccupati, dare consigli sulla prevenzione, dire cosa vogliono o non vogliono, ma non se li immaginano a letto. Invece, il figlio o la figlia che rivela un diverso orientamento sessuale riceve immediatamente un rifiuto, perché lo/la immaginano in scenari perversi e promiscui, ma la realtà è diversa.
Come ha integrato queste prospettive nel suo ministero?
Questo gruppo è stato creato con perseveranza e con l’aiuto di due sacerdoti e una suora. Abbiamo creato un team di accompagnatori, formato anche da laici. La Padis+ in Cile è stata creata maturando e riconciliando molte storie personali. Manteniamo il principio secondo cui ogni persona possiede la propria privacy, quindi non abbiamo l’autorità per far fare coming out a qualcuno: le persone possono partecipare alla Padis+ sia che abbiano fatto coming out sia che non l’abbiano fatto, e noi le rispetteremo.
Molt* però sono stat* incoraggiat* a farlo, per il contenimento e la solidità di uno spazio sicuro. Non hanno perso il lavoro né la famiglia, e hanno sviluppato relazione affettive preziose. Poco dopo, i genitori hanno iniziato a vedere nei loro figli cambiamenti meravigliosi. Quelli che avevano litigato con la Chiesa, adesso hanno fatto pace; quelli che non andavano mai a Messa, adesso ci vanno; quelli che avevano deciso di abbandonare qualsiasi espressione di religiosità, ora sono contenti.
I genitori si domandavano: “Perché loro hanno avuto questa opportunità, e noi no?”, come se i figli fossero stati un passo avanti, e genitori fossero rimasti indietro. Ciò ha portato alla formazione del gruppo dei genitori della Padis+, che sono padri e madri di figli con diversità sessuale, che hanno fatto anche un lavoro educativo.
In alcuni casi c’è stata una dura riconciliazione, in altri più gioiosa, abbracci, riconoscimento della diversità del/la figlio/a e a volte anche perdono, perché certi atteggiamenti hanno causato molte ferite ai loro figli.
Sono stati davvero buoni i frutti di questa esperienza, che nasce dalla Chiesa dei laici e che a me, come sacerdote, spetta accompagnare. È stata una buona notizia per il nostro Paese. Adesso che sono qui tra di voi, spero ci siate anche voi.
Maggiori informazioni su Facebook: “Cristianos Inclusivos del Paraguay” @cidelparaguay.
Testo originale: “Una reconciliación de amor y fe”