Il cammino di una parrocchia inclusiva con le persone LGBT
Articolo di Jessica Fromm pubblicato sul sito del settimanale Metroactive (Stati Uniti) nel novembre 2009, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
La parrocchia cattolica di santa Giulia Billiart è una parrocchia periferica di modeste dimensioni, ma conta un buon numero di parrocchiani gay e parrocchiane lesbiche sin dalla sua istituzione, a metà degli anni ‘70. Il fondatore della parrocchia, padre Matthew Sullivan, e il suo successore, padre Richard Fry, erano ambedue forti sostenitori delle riforme liberali del Concilio Vaticano II. Padre Pedigo arrivò in parrocchia nel luglio 2001, dopo il ritiro di padre Fry; a quel tempo era già una comunità piuttosto liberale e per padre Pedigo è stato molto importante coinvolgere sempre più i laici nella pastorale e nella guida della parrocchia.
Con il suo aiuto si formò un consiglio pastorale, che fin dall’inizio fu d’accordo nel riconoscere e accogliere ogni categoria di persone tra quelle che consideravano la parrocchia di santa Giulia la loro casa: “In tutte le parrocchie cattoliche ci sono gay e lesbiche, anche in quelle più conservatrici; inoltre, tra i banchi delle chiese ci sono anche i loro genitori e i loro amici. Noi riconosciamo semplicemente il fatto che ci sono. Non siamo una famiglia problematica, in cui c’è un elefante rosa nella stanza, ma nessuno ne parla”.
Padre Pedigo a un certo punto cominciò a notare che sempre più persone LGBT frequentavano la sua parrocchia e decise di chiedere consiglio alla comunità cattolica omosessuale della parrocchia del Santissimo Redentore a San Francisco: “Dissi: ‘Guardate, sono un parroco di San Jose e vedo molti gay e molte lesbiche che vengono per il battesimo, che vogliono battezzare i loro figli e allevarli nel cattolicesimo. E abbiamo alcuni ragazzi del gruppo giovani che sono omosessuali. Voi, cosa fate in queste situazioni? Come ve la cavate?’ Mi hanno detto che la prima cosa è essere aperti, ascoltare le loro storie, essere il loro pastore, come si farebbe con chiunque altro, e non considerarlo come un ministero di un tipo particolare, ma come parte integrante e normale della vita della parrocchia”.
Da quel momento padre Pedigo ha sempre liberamente riconosciuto e sostenuto le persone gay e lesbiche cattoliche che accorrevano nella sua parrocchia. In seguito si è fatto sostenitore del matrimonio omosessuale in California, fino a postare sul suo blog interviste video con famiglie omosessuali cattoliche. Quando ha a che fare con i suoi parrocchiani omosessuali, soprattutto con il gruppo degli adolescenti, cerca sempre di sottolineare che il processo del coming out è più facile di quanto sembri: “Per quanto riguarda i ragazzi, se togliamo la paura e la vergogna, sono poi psicologicamente in grado di prendere decisioni migliori, di annodare relazioni sane, in cui nessuno dei due partner sfrutta l’altro, relazioni profonde e significative, non di solo sesso. Così, quei parrocchiani diventano persone molto più sane, che saranno in grado di fare scelte intelligenti”.
Per padre Pedigo la priorità è il suo gregge: non è compito suo, né della parrocchia, mettere in discussione la dottrina ufficiale cattolica: “Quello che facciamo è coerente con la storia della diocesi di San Jose. In curia sanno molto bene cosa facciamo, sanno che siamo aperti e accogliamo. Siamo consapevoli che la Chiesa di cui facciamo parte non riconosce alcuni aspetti dell’esperienza LGBT, come l’ordinazione e il matrimonio, ma i nostri parrocchiani LGBT e le loro famiglie continuano a riconoscersi nella Chiesa Cattolica”.
Bob Rucker, membro fondatore del consiglio pastorale della parrocchia, che cura i rapporti con la comunità LGBT, ci spiega perché padre Pedigo è un ottimo leader: “È una di quelle rare persone che, oltre ad avere una personalità fantastica, entusiasmante e carismatica, hanno anche un’intelligenza incredibile. Non ho mai conosciuto un prete cattolico così capace di ispirare e di tirare fuori buone cose dagli studenti universitari, dai liceali e dai bambini. Riesce davvero a connettersi con loro, e poi ha anche la capacità di fare efficacemente il sacerdote con chi ha superato i 30, i 40, i 50, e pensa di sapere tutto. Sa metterti a tuo agio, perché è intelligente e rispetta la gente. È chiaro che è molto fedele alla Chiesa, ma è anche un uomo pragmatico. Perché non aiutare la gente ad affrontare la sua situazione, invece di dire ‘Devi rinnegare quella parte di te, non fare quelle cose, vivi in questo modo e sarai salvo’”?.
Negli corso degli anni, l’aspetto più duro del ministero sacerdotale per padre Pedigo è stato operare entro i limiti fissati dalla Chiesa istituzionale: “Ti trovi davanti questa istituzione bimillenaria, con la sua gerarchia e le sue tradizioni, ma poi ci sono le necessità della vita reale. A volte i tempi dell’istituzione non riescono a tenere il ritmo delle realtà che devi affrontare. Io tendo a identificarmi a ciò che mi sta di fronte, perché questo è il mio mestiere: stare sul campo, sporcarsi le mani. Quando ascolti il dolore delle persone, non sempre questo dolore è in linea con quanto dicono i capi con la mitra. Io non curo le pubbliche relazioni della Chiesa, io guido il mio gregge. In realtà, è come resuscitare i morti. Se lo spirito di una persona è stato massacrato, non importa il suo stile di vita, le sue scelte, cosa le è successo nella vita: se ascolti davvero, devi gestire il dolore di quella persona. Devi lavorare per tentare di guarirlo e non dire ’Ah, ho una risposta già pronta che viene dall’istituzione e che farà perfettamente al caso tuo’. Non è così che funziona”.
Testo originale: Gay Catholics Come Out