Il canto del cigno sulla legge contro l’omofobia in scena su Avvenire
Riflessioni di Massimo Battaglio
Gli articoli con cui Avvenire si sta lagnando dell’approvazione della legge Zan alla Camera, sanno proprio di canto del cigno. Con una differenza: il canto di un animale morente stringe il cuore. Quelle del giornale dei vescovi fanno solo montare la scimmia.
“Ci siamo sbagliati” esordisce l’editorialista Francesco Ognibene. “La ‘legge Zan’ approvata ieri in prima lettura alla Camera non è solo superflua, anche se in parte originariamente benintenzionata: è soprattutto una legge presuntuosa e rischiosa”.
Chissà cosa dirà quando l’approvazione, nonostante le ridicole guerricciole inscenate dai dipendenti della CEI, sarà definitiva. Io suggerirei loro di cercare due paroline per fare pace col mondo, che sta scoprendo, alla faccia dei profeti di sventura cattolicanti, che odiare non va tanto bene.
Il problema è che, per loro, la legge Zan non va riconosciuta come un provvedimento contro l’odio. Il capo dei capi, cardinal Bassetti (che Dio gli doni pronta guarigione), ha deciso diversamente. Vuole che la si dipinga come qualcosa di simile alla bestia dell’Apocalisse in veste drag. E allora, mute e subenti, le brave penne di Avvenire si inventano i motivi per cui un ottimo testo giuridico va sbeffeggiato. Ognibene ne trova otto.
1. L’introduzione in tutte le scuole di iniziative contro l’omofobia (…) nella Giornata nazionale fissata ogni anno il 17 maggio. Ciò significa far entrare nei percorsi scolastici anche delle classi elementari e medie contenuti in linea con l’impianto della legge (…) di più che dubbia comprensibilità da parte dei bambini. (…) Si finirebbe per cercare di far credere che l’esperienza che vanno facendo della realtà è una finzione essendo l’umanità non declinata al maschile e femminile ma oggetto di infinite identità.
Ognibene dà per scontato che educatori e insegnanti siano degli incompetenti. Parliamo di quegli stessi insegnanti che sanno far comprendere Dante ed Euclide anche ai loro scolari di pochi anni; professionisti in grado di rieditarsi in un batter d’occhio alla nuova didattica online. Se io fossi in loro, mi sentirei offeso.
Così come mi sentirei offeso se fossi un bambino, ritenuto in grado di ricevere la Prima Comunione, la Cresima e l’ora settimanale di Religione Cattolica elargita da personale pagato dallo Stato e nominato dalle curie, ma non di essere preso sul serio quando pone domande sull’affettività e la sessualità.
“2. Lascia senza parole” (prosegue l’articolista) “la pretesa di ‘riscrivere’ la natura umana per legge. Cos’è infatti, se non questo, il vero e proprio dizionario premesso all’articolato per definire cosa si deve intendere d’ora in poi per sesso, genere, identità di genere e orientamento sessuale?”
Caro Ognibene: questo “vero e proprio dizionario” è un vero e proprio dizionario. E’ un elenco di termini desunti da una letteratura scientifica e giuridica internazionale, sulla quale solo Lei e i suoi amici avete da ridire. O forse nemmeno: neanche Lei se la sente di contestare i termini, visto che si limita a battute scarsamente spiritose. Ma deve.
“E una scuola, un centro culturale, un’associazione, una parrocchia che non si adegua? E se è lecita la difformità di definizioni, perché metterne una ‘normativamente’ nero su bianco?”
Sa che c’è dottor Ognibene? C’è che un centro culturale o un’associazione simili si porranno da soli fuori dal dibattito. Resteranno inascoltati (finalmente!) anche se continueranno a urlare forte il loro canto stonato. E non perché non si vogliano sentire le loro ragioni ma perché la prima condizione per intendersi è quella di usare un linguaggio comune. In realtà, dottore, i suoi datori di lavoro potranno continuare a parlare di “gender” anziché di studi sull’omosessualità, magari usando termini come “sodomita” e “pervertito”. Nessuno li punirà per questo. Semplicemente, verrà alla luce che sono ridicoli.
Il canto prosegue: “3. (…) Il problema sta proprio in questa intenzione di perseguire come discriminatorie quelle che di fatto sono concezioni differenti della natura umana, oggetto di legittimo confronto e di convinzioni profondamente radicate nella coscienza di tanti cittadini”.
Quanti sarebbero i “tanti cittadini” la cui coscienza porta a voler discriminare in nome di qualche principio astruso? Stiamo parlando di violenze, omicidi, induzione al suicidio, insulti, ragazzi cacciati di casa, adulti licenziati per capriccio. Vogliamo smetterla di ascrivere questi crimini a “concezioni differenti della natura umana”? Vogliamo finirla di proteggere gli assassini e, peggio che mai, di farlo tirando in ballo Dio?
“4. E qui, come in un precipizio di fissazioni ideologiche connesse le une alle altre, entriamo fatalmente nel campo della libertà di opinione, sulla quale si è tentato di apporre lo scudo protettivo di una sorta di ‘salvacondotto’ che però non basta. Troppo largo è infatti lo spazio per l’interpretazione discrezionale di cosa possa istigare ad atti discriminatori o persino alla violenza”.
Detto in stampatello: anche i giudici sono degli idioti. Non solo gli insegnanti.
I successivi punti 5 e 6 del canto di Ognibene si riducono all’elencazione di casi grotteschi in cui non sarebbe chiaro se si sta facendo “espressione di idee” o vera e propria omofobia. E, come al solito, si parla del prete che fa prediche simili a comizi, dell’insegnante di religione e della nuova categoria di negazionisti: le femministe radicali. Che sono quattro e precisamente: la presidente di Arcilesbica, la vicepresidente di Arcilesbica, la segretaria e la tesoriera della medesima associazione, che non conta altri iscritti. Il canto del cigno è più intonato. Quello dell’Avvenire sa di disco rotto.
Disco rotto che continua a gracchiare sugli stessi temi al punto successivo:
7. La legge prende origine da un’asserita emergenza nazionale, con episodi di deprecabile violenza largamente reclamizzati (assai meno quando alcuni di essi vengono in seguito derubricati a banali risse di strada, come accaduto un mese fa a Padova). Ma i dati dell’Osservatorio contro gli atti discriminatori del Ministero dell’Interno offrono per fortuna dimensioni assai meno allarmanti del fenomeno smentendo che si tratti di una piaga per arginare la quale bisognerebbe rimettere mano al Codice penale.
Le vittime di omofobia accertate dall’ottobre 2012 a oggi sono 1178. Punto. E’ un calcolo effettuato, sicuramente per difetto, da una rete nazionale di osservatori piuttosto puntuali, il cui metodo di lavoro è stato avvallato dal Ministero degli Affari Sociali sin dal 2013. Se si preferisce fidarsi solo dei dati della Polizia, si faccia pure. Ma si sappia che verrà fuori una cifra del tutto campata per aria, per il semplice motivo che un commissario non sa come codificare una denuncia per un reato che non esiste.
Di più: se si fosse seguita davvero la vicenda di Padova, si scoprirebbe che non si è affatto accertato che fosse una semplice rissa ma piuttosto che non si è riusciti a trovare il modo certificarla per quel che era, e cioè una rissa omofoba. Non si è potuto descriverne le cause usando termini giuridicamente corretti, proprio perché non esiste ancora una legge contro l’omofobia. Travisare i fatti non è un bel mestiere. E se non lo è per un carabiniere, non lo è nemmeno per chi scrive su un giornale cattolico, che dovrebbe proclamare la Verità.
Ma c’è la stoccata finale:
8. Infine, c’è una questione non secondaria di opportunità e di metodo. Un Paese alle corde per la pandemia ha bisogno che il Parlamento si prenda a cuore notte e giorno le sue ferite, rimandando ciò che non è davvero impellente.
Disgustoso. Ripetendo pari pari le parole di Giorgia Meloni alla Camera (madre non sposata, cristiana nei giorni pari e “laica” in quelli dispari), l’editorialista dell’Avvenire sta praticamente asserendo che la comunità LGBT distragga il Paese, il Governo, le Regioni, i protagonisti spesso eroici del Sistema Sanitario Nazionale, dalla lotta contro il Covid19. Praticamente, sta strumentalizzando una pandemia, le sue vittime, i suoi morti, per poter continuare a spandere le ultime note del suo canto omofobo. Mi domando se crede davvero in ciò che scrive.
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