Il cardinale Danneels: “La Chiesa rispetta le coppie gay, sì alle leggi sui diritti”
Intervista al cardinale Godfried Danneels a cura di Paolo Rodari pubblicata su “La Repubblica” del 16 ottobre 2014
«Gli omosessuali sono persone come le altre e vanno rispettate. Sono uomini come tutti noi.
La Chiesa cattolica non accetta il matrimonio fra omosessuali, lo sappiamo, ma se ci sono dei contratti che gli Stati intendono riconoscere senza però che si arrivi a parlare di vero matrimonio, contratti insomma per far sì che gli omosessuali vivano insieme e abbiano certi diritti, è giusto rispettarli. Si tratta di leggi che permettono agli omosessuali di essere nella società ciò che desiderano. Ogni omosessuale, infatti, ha il diritto ad avere un suo proprio status nella società».
Il cardinale Godfried Danneels, 81 anni, grande elettore di Jorge Mario Bergoglio allo scorso conclave, viene sovente incasellato con superficialità dai media fra i porporati cosiddetti progressisti.
Ma, in realtà, l’arcivescovo emerito di Mechelen-Bruxelles ed ex primate del Belgio, altro non è che un sacerdote in costante ricerca di Dio, del Suo perpetuo manifestarsi nella povertà dell’uomo: «Apparuit humanitas Dei nostri (È apparsa l’umanità del nostro Dio)» è, non a caso, il suo motto episcopale.
A pochi passi dal Vaticano, nel Pontificio Collegio Belga, Danneels ci accoglie col sorriso per parlare apertamente di un Sinodo che sta facendo propria l’idea di una Chiesa che non ha paura di avere misericordia verso tutti, non ha paura di accogliere e di assumere su di sé le molteplici ferite degli uomini.
Eminenza, c’è nella “Relatio post disceptationem” proclamata dal cardinale Péter Erdõ la volontà concreta di andare incontro alle ferite dell’uomo?
«Ci sono passaggi che davvero sono espressione di una grande misericordia per le difficoltà di tante coppie. Non si dice in nessuna parte del testo che il matrimonio non sia indissolubile, piuttosto si ricorda la necessità di avere uno sguardo di amore e bontà per tante coppie che sono nella difficoltà e nella necessità».
Cosa pensa circa la possibilità di dare, almeno in certi casi, l’eucaristia ai divorziati e risposati?
«Il punto è come conciliare la dottrina della Chiesa, perché Gesù dice chiaramente che il matrimonio è indissolubile, con la misericordia che occorre necessariamente avere con tutti i separati. Non so dove arriverà il Sinodo, dove la Chiesa in comunione con tutti vorrà arrivare.
Le posizioni sono diverse. Io ritengo che la strada della concessione dei sacramenti in certi casi e dopo un percorso penitenziale sia quello più giusto. Vorrei che ci sia una seconda possibilità per queste persone, senza ovviamente ledere l’indissolubilità del matrimonio».
Lei più volte ha parlato della di una Chiesa che sappia ascoltare tutti senza imporsi a nessuno, di una Chiesa che sappia ascoltare l’uomo senza lederne la libertà.
«La Chiesa può dire ciò che pensa nella società, può esprimere il proprio pensiero, ma non deve imporsi. Possiamo e dobbiamo dire la nostra su molte decisioni che lo Stato prende e sulle quali come Chiesa non siamo d’accordo, ma poi dobbiamo accettare ogni decisione. Siamo un piccolo gregge. Non dobbiamo mai imporci.
Come dissi una volta a 30Giorni, è un dato di fatto che non c’è più una Civitas cristiana, che il modello medievale di Civitas cristiana non vale per il momento attuale. Forse qualcuno non se n’è ancora accorto, ma i cristiani vivono nel mondo “tamquam scintillae in arundineto”, come scintille sparse in un campo. Viviamo nella diaspora.
Ma la diaspora è la condizione normale del cristianesimo nel mondo. L’eccezione è l’altra, la società completamente cristianizzata. Il modo ordinario di essere nel mondo dei cristiani è quello descritto già nella Lettera a Diogneto, del secondo secolo.
I cristiani “non abitano città proprie, né usano un gergo che si differenzia”. Vivono “nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni terra straniera è patria loro, e ogni patria è straniera”. È così che siamo cittadini della nuova società secolarizzata ».
Qual è la caratteristica di novità più importante di papa Francesco?
«Francesco ha portato una grande umanità nella Chiesa. Egli si mostra come è. Non fa teatro. È un uomo profondamente umano. Lo conobbi al conclave del 2005. Sapevo com’era quindi prima dell’elezione, anche se tutti i giorni mi sorprende. Ogni mattina mi sveglio e mi chiedo: che cosa farà oggi? E fa sempre bene».
Si aspettava l’elezione?
«Tutti lo volevamo. Nel 2005 era chiaro che la maggioranza era per Joseph Ratzinger. Nel 2013 era chiaro che si era per Bergoglio».