Il caso. Gli scout cattolici e l’omosessualità
Articolo di Marco Pasqua tratto da Repubblica.it, 4 maggio 2012
Capi scout omosessuali che non dovrebbero dichiarare il loro orientamento sessuale, per evitare di “turbare e condizionare i giovani”; giovani omosessuali che, a loro volta, dovrebbero essere mandati da uno psicologo, visto che si ritiene possibile educare i ragazzi e le ragazze all’eterosessualità.
Doveva essere il seminario dell’apertura degli scout cattolici dell’Agesci al tema dell’omosessualità, invece, complice l’impostazione di alcuni relatori chiamati ad affrontare il tema, è finita con l’essere un’occasione per presentare l’eterosessualità come l’orientamento “giusto”, la retta via verso la quale devono essere “indirizzati” scolte e rover.
Organizzato dalla rivista “Scout-Proposta educativa”, il seminario si è tenuto a novembre, ma gli atti ufficiali e le relative conclusioni sono stati pubblicati in questi giorni, incluse quelle che dovrebbero essere le prime linee-guida ufficiali per i capi di tutta Italia.
Linee guida che, in alcuni casi, si traducono in un’offesa (più o meno volontaria) nei confronti delle persone Glbt.
A partire dal paragone tra le adozioni dei bambini da parte dei gay e la tortura o dal divieto di coming out, che sembra riproporre la contrapposizione, ancora molto diffusa, tra persone normali-eterosessuali e anormali-omosessuali.
L’approccio seguito dagli esperti, del resto, era chiaro sin dalla presentazione del convegno, nella quale l’omosessualità viene definita come “un problema”. Oltre a due psicoterapeuti – lo scout Dario Contardo Seghi e Manuela Tomisich – le lezioni sono state tenute anche da padre Francesco Compagnoni, assistente ecclesiastico presso il Masci (Movimento adulti scout cattolici italiani).
Il religioso, che proviene da 45 anni di attività negli scout, ha messo in guardia i presenti dalle ostilità nei confronti della chiesa cattolica, anche alla luce degli scandali che hanno coinvolto preti pedofili.
In particolare, Compagnoni ha “denunciato” il caso del Regno Unito, dove la legge “ritiene la coppia omosessuale portatrice di diritti umani al pari della coppia eterosessuale.
“La tesi sottesa in questa affermazione – dice il sacerdote – è che l’avere dei figli sia un diritto umano per ogni persona e, se è un diritto umano, neanche una comunità religiosa può sollevare alcuna obiezione.
Sarebbe come se un gruppo religioso ammettesse la tortura come pratica lecita: la società civile non può ritenere ammissibile la negazione di un diritto fondamentale (in questo caso all’integrità fisica contro la pratica della tortura) in nome della religione”.
Pur ammettendo che “l’omosessualità non ha nulla a che vedere con la pedofilia”, il prete ribadisce il pensiero della chiesa sul tema: “Le relazioni tra persone omosessuali, secondo la Sacra Scrittura, sono gravi depravazioni. Per questo, le persone omosessuali sono chiamate alla castità”.
I gay, inoltre, “si trovano generalmente in difficoltà con il loro sesso corporeo – afferma padre Compagnoni – Le persone omosessuali, in linea generale, hanno dei problemi non solo sul piano sociale, ma anche con loro stessi”.
Perché – e qui vengono in mente le teorie che considerano i gay dei malati – l’omosessualità “è un fatto di struttura ormonale e, quindi, anche di struttura cerebrale”.
Da queste premesse discende, logicamente, che i capi-scout omosessuali non sono visti di buon occhio (a poco serve ribadire, più volte, che i gay non debbano essere discriminati) e non possono rappresentare un esempio: “Le persone omosessuali adulte nel ruolo di educatore – teorizza dunque padre Compagnoni – costituiscono per i ragazzi loro affidati un problema educativo.
Il capo è il modello per i suoi ragazzi e sappiamo che gran parte dell’effetto educativo dipende dalla esemplarità anche inconscia che proviene dall’adulto.
Il capo trasmette dei modelli e i capi che praticano l’omosessualità, o che la presentano come una possibilità positiva dell’orientamento sessuale, costituiscono un problema educativo”.
Come comportarsi con un ragazzo omosessuale? “Secondo me – conclude il prete, che insegna anche in una pontificia università della capitale – bisognerebbe parlare con i genitori e invitare un esperto con cui consigliarsi. In linea generale uno psicologo dell’età evolutiva o ancora meglio un pedagogista”.
Per lo psicologo Contardo Seghi – anche lui proveniente dal mondo scout – l’omosessualità non è sempre una condizione permanente. Pur evidenziando che non si tratta di una malattia, Seghi afferma che alcune persone “diventano” omosessuali in seguito a un trauma o seguendo alcune loro errate convinzioni.
“Molto spesso – dice – alcune donne lesbiche avevano incontrato maschi brutali. In queste situazioni per la ragazza o per la donna è facilissimo tornare affettivamente a situazioni precedenti, soprattutto se quella dimensione materna (omo-affettiva) è stata positiva e appagante.
In questi casi, può facilmente svilupparsi una dimensione omosessuale perché il pensiero inconscio è: ‘se il maschio è brutale io trovo più facilmente soddisfazione affettiva con un’altra donna'”.
Un discorso analogo è quello relativo ai gay che, in realtà, sarebbero degli etero “latenti”. “A volte ci sono delle convinzioni sedimentate da molto tempo, come un caso che ho seguito in cui un uomo, per il fatto di avere provato da bambino delle sensazioni piacevoli toccando lo sfintere anale, aveva sviluppato una modalità di masturbazione con una stimolazione anale.
Questo fatto gli aveva prodotto la convinzione di essere omosessuale, e ne è rimasto convinto fino ai trenta anni. Ma lo sfintere anale può produrre di per sé piacere a chiunque con una stimolazione, e questa persona non era affatto un omosessuale”.
Per lo psicoterapeuta, educare all’eterosessualità è possibile e, inoltre, si possono “frenare” le pulsioni omosessuali: “Dobbiamo porre molta attenzione nell’educare i nostri ragazzi a non identificarsi con ciò che sentono perché quel che sentono non definisce pienamente ciò che sono.
Posso provare una rabbia terribile che devo imparare a gestire e a riconoscere, non identificando me stesso con la rabbia. Devo diventare consapevole del fatto che posso gestire ciò che sento.
Quindi non c’è dubbio che anche la dimensione sessuale vada poi gestita ed educata. Imparare a gestire le pulsioni e a non identificarsi in quello che si sente”.
Il capo-scout, in quest’ottica, svolge un ruolo chiave. Per lo psicoterapeuta, anche un omosessuale può essere una brava guida, a patto che non ostenti il proprio orientamento sessuale: “Accennavamo prima al coming out, cioè al bisogno che a volte un capo ha di manifestare ed esprimere i problemi della sua identità.
Un capo di questo tipo – dice lo psicoterapeuta – , affetto da protagonismo, se omosessuale, nel percorso di rafforzamento della propria identità può sentire di dover passare attraverso l’espressione pubblica del suo orientamento sessuale. Questa situazione può non essere opportuna in riferimento al percorso di crescita dei ragazzi”.
Le conclusioni del seminario faranno sicuramente discutere gli scout cattolici, in particolare quanti, collocandosi su posizioni assai più lungimiranti verso i gay, hanno sollecitato l’associazione ad organizzare un momento di dibattito.
Ora, infatti, le indicazioni e le “linee guida” uscite dal convegno saranno inviate a tutti i capi-scout, che, a loro volta, potranno confrontarsi e suggerire altri approcci.
Ma per la piena accettazione dei capi omosessuali, in particolare quelli che non vivono di nascosto il loro orientamento sessuale, la strada è ancora in salita.