Il coming out segna le vite dei cristiani LGBT come un sacramento
Testo di Chris Glaser* tratto dal libro Coming Out as Sacrament, Westminster John Knox Press (USA), 1 novembre 1998, capitolo 1, libera traduzione di Giacomo Tessaro
Il coming out (il rivelarsi, l’uscire fuori) è un’esperienza di valore universale ed è quindi un sacramento al quale tutti sono invitati a partecipare. Il nostro coming out spinge altri a mettere in comune le loro parti segrete, a rischiare rivelazioni intime. Nella storia, diversi individui e gruppi sono venuti fuori dall’ombra e dall’anonimato per dichiarare le loro identità uniche, i loro modi di vedersi, le loro fedi e le loro visioni (del presente e nel futuro).
Molta parte di questo testo è dedicata a dimostrare come Dio venga fuori dal “segreto” del paradiso e riveli la Sua natura in modi intimi e sorprendenti, spingendo le persone nella Bibbia a venir fuori nella verità.
Cosi le persone di fede, lesbiche, gay, bisessuali e transessuali, come anche le nostre famiglie, i nostri amici e i nostri sostenitori, possono essere ispirati nei loro venir fuori dall’autorivelazione di Dio.
Il coming out assume una grande somiglianza con i sette sacramenti che sono diventati parte della tradizione della chiesa nel senso più ampio (…). I sette sacramenti sono divisibili in tre categorie: iniziazione (battesimo, cresima, comunione); vocazione e promessa (consacrazione ai sacri ordini e matrimonio); guarigione e riconciliazione (unzione degli infermi e riconciliazione/confessione del peccato).
Il coming out è analogo al Battesimo, in quanto noi moriamo rispetto alla vecchia vita e sorgiamo a nuova vita. Il battesimo per immersione o aspersione si ispira alla morte, sepoltura e risurrezione di Gesù. Come il battesimo è un rito sia di purificazione e di iniziazione, così il coming out può emendarci dalla doppiezza e dall’attitudine a dividerci in scomparti chiusi, e introdurci in una nuova comunità: quella di persone gay, lesbiche, bisessuali e transessuali; come anche, vogliamo sperare, in membri della famiglia e amici che ci sostengono. Siamo sorti a una vita di maggiore integrità.
E’ importante distinguere l’integrità dalla perfezione. Non siamo sorti a una nuova vita di nuova perfezione, ma piuttosto a una vita piena di speranze che noi saremo ispirati lungo il percorso verso una sempre maggiore integrità. L’integrità personale è armonizzata con chi noi siamo, cosa noi crediamo, cosa diciamo, come agiamo, pensiamo e sentiamo. (…)
Il coming out può favorire la Riconciliazione in quanto ci pentiamo di una condotta succube della segretezza e delle sue innumerevoli espressioni peccaminose (come il rifiuto della sessualità in quanto dono di Dio, o comportamenti sleali, o anche lo sfruttamento sessuale) e offre per penitenza di accettare il dono divino della sessualità, di essere onesti, e di cercare quello su cui Carter Heyward insiste nei suoi scritti cioè “la relazione corretta” con gli altri, e quindi la riconciliazione. Inoltre, il coming out richiama gli altri a pentirsi del loro eterosessismo e ad espiare combattendo l’ingiustizia (dell’omotransfobia).
Come Gesù ha detto, “Nessuno dopo aver acceso una lampada la mette sotto un moggio, ma su un porta lampada per far luce su tutta la casa. Nello stesso modo, fate in modo che la vostra luce splenda davanti agli altri, cosicché essi possano vedere le vostre buone opere e rendere grazie al vostro Dio nel cielo” (Matteo 5: 15-16). Far splendere la nostra luce si rivela liberatorio per altri, riconciliandoci a vicenda e affermando il nostro reciproco servizio per la riconciliazione.
Il coming out annuncia la nostra Confermazione e l’affermazione della nostra creazione come gay, lesbiche, bisessuali e transessuali, e della nostra cittadinanza nel regno di Dio. Serve per il nostro assenso personale su qualcosa che Dio ha già fatto, e cioè ci ha creato attraverso la natura e l’educazione, e noi diciamo con il salmista: “tu mi hai tessuto nel grembo di mia madre (salmo 139: 13b) e su di te ho fatto affidamento dalla mia nascita; sei stato tu che mi hai tirato fuori dal grembo di mia madre” (salmo 71:6).
Il coming out non risponde a tutte le nostre domande, sul come o perché siamo omosessuali e non scioglie tutti i nostri dubbi sul nostro valore, non diversamente da come la confermazione cristiana non risponde a tutte le nostre domande e ai dubbi sulla nostra fede. Ma ambedue riconoscono “questa grazia nella quale dimoriamo” (Romani 5:12) che non è predicata con le opere ma con la fede, secondo l’interpretazione della frase da parte di Paolo. Nel coming out noi cominciamo a confermare la nostra fede nell’essere cittadini del regno spirituale di Dio.
Il coming out porta in dono la guarigione, così come l’Unzione degli Infermi. Questo può non apparire facilmente, giacché noi talora vediamo il nostro sacramento essere ricevuto con ostilità e risentimento. Come la consacrazione del malato non provoca la sua malattia, così la consacrazione di qualcuno con noi stessi non è la causa della loro ostilità e malessere. La loro ostilità e risentimento deriva dal loro essere a disagio con l’omosessualità, ciò di cui non siamo responsabili. Proprio come l’unzione del malato può portare guarigione, se non altro per la ricongiunzione di coloro che sono malati con Gesù o Dio o la chiesa attraverso il servizio del prete, così portare il sacro agli altri attraverso le nostre persone e può portare la guarigione dall’omofobia, dall’eterosessismo e da relazioni spezzate a causa della segretezza, dell’ipocrisia e dell’ignoranza.
La precedente intitolazione del sacramento come “estrema unzione” o “ultimi riti” suggerisce un’altra dimensione del coming out, quella documentata in Coming Out Within di Craig O’Neill e Kathleen Ritter. Il coming out può implicare di doversi misurare con una specie di morte che richiede un processo di lutto, col lasciar andare certe immagini e possibilità o relazioni; sia da parte della persona che fa il coming out sia da parte di coloro che ricevono questo sacramento da parte sua. Per la possibilità di guarigione è meglio evitare di negare qualsiasi perdita che potrebbe avvenire sia nella vocazione, sia in famiglia o nelle amicizie.
Il coming out può essere visto come un Ordine Sacro per servire Dio, sia attraverso un impegno particolare che nella libertà della nostra vita. Il solo fatto di essere “fuori” è una forma di ministero, un servizio di presenza che può testimoniare l’amore inclusivo di Dio. La diversità creativa di Dio, l’integrità spirito-sessuale e l’armonia tra i diversi orientamenti sessuali.
Oltre a ciò, diversi di noi nel coming out hanno sentito la vocazione a offrire un servizio per cercare di fare giustizia. Diversi chierici lesbiche e gay, lavoratori nel sociale come terapisti, dottori o insegnanti mi hanno detto che il riconoscimento della loro marginalizzazione li ha portati a desiderare di aiutare e di far crescere le persone. Dal coming out alla decisione di aiutare gli altri, queste sono tutte sacre vocazioni.
Il coming out è connesso al Matrimonio perché ambedue svolgono la funzione di veicolo sacramentale, un sacro patto d’unione reciproca tra due persone che si amano e che così si promettono amore futuro, così come amore nel presente; un patto celebrato e caldeggiato dalla loro comunità riunita in assemblea. (…)
Comunque, credo che il coming out, tra tutti i sacramenti, si connetta intimamente col sacramento della Comunione, perché ambedue contemplano un sacrificio e un’offerta che crea redenzione o comunione con Dio e con gli altri. Per i cristiani, Dio è rivelato nell’offerta sacrificale di Gesù. Per le nostre comunità, Dio è manifestato nei nostri doni sacrificali – la nostra vulnerabilità e le nostre doti (carismi).
Vi ricordate la risposta di Dio a Paolo in riferimento alla sua spina nella carne? “La mia grazia ti basta, giacché il potere è reso perfetto nella debolezza,” e ciò porta Paolo a concludere: “ogni volta che sono debole, è allora sono forte” (2 Corinti 12: 9-10). Come con Paolo, la nostra vulnerabilità è la nostra forza, ed è per questo che noi offriamo i nostri sacri doni di amore e servizio. Il coming out è il nostro dono sacrificale.
Eppure l’espressione “dono sacrificale” evoca anche delle immagini sgradite: violenza, vittima, martirio e morte. Ma è questo che realmente Dio vuole da noi?
* Chris Glaser è uno scrittore e teologo cristiano statunitense. E’ stato, per oltre 30 anni, un attivista nel movimento per la piena inclusione dei cristiani LGBT nella Chiesa Presbiteriana (USA) , attualmente è un ministro della Metropolitan Community Church (MCC). Vive il suo ministero attraverso la scrittura e la predicazione. Dopo essersi diplomato alla Yale Divinity School, nel 1977, ha prestato servizio in diversi comunità cristiane e ed ha parlato a centinaia di persone di varie congregazioni, campus universitari e comunità cristiane degli Stati Uniti e del Canada. Ha pubblicato una dozzina di libri di successo su spiritualità, sessualità, vocazione, contemplazione, scrittura sacra, teologia, matrimonio e morte, ma nessuno di essi è disponibile tradotto in italiano.