Il (com)plesso della creazione. Perchè “Tutte le opere del Signore sono buone” (Sir 39:33)
Dialogo di Katya Parente con la teologa Marinella Perroni
Il penultimo appuntamento della serie di on line incontri “Riprendiamoci la Parola” è quello che si terrà mercoledì 4 maggio 2022 su “Tutte le opere del Signore sono buone (Siracide 39:33). Il (com)plesso della creazione”, che verrà sviluppato dalla professoressa Marinella Perroni, tra le fondatrici del Coordinamento Teologhe Italiane.
Il tema è sicuramente di grande pregnanza antropologica, e la professoressa ce ne dà un breve assaggio in questa intervista.
Da anni studia e (ri)pensa agli argomenti che toccherà durante il suo intervento. Perché questo suo interesse così particolare?
Sono convinta che le questioni che riguardano la creazione del mondo e l’origine del male costituiscano un nodo che ogni generazione è chiamata a sciogliere, perché chiamano in causa problemi che tutti gli esseri umani si sono posti, si pongono e si porranno, ma che la tradizione biblica ha preteso di declinare in chiave teologica.
Quanto per tutti gli esseri umani è il cosmo, per i credenti nel Dio di Abramo, prima, e poi anche nel Dio di Gesù, è invece la creazione, e quanto per tutti costituisce il prodotto più sofisticato dello sviluppo della materia, gli umani, per gli ebrei e per i cristiani sono l’unica creatura a immagine di Dio. Per non parlare del fatto che la violenza intrinseca alla vita costituisce motivo di sofferenza, di paura e di scandalo.
Si tratta, di fatto, di questioni che si trovano su un crocevia nel quale convergono conoscenze tra loro molto diverse, che si sviluppano anche in modo tutt’altro che prevedibile e lineare, oltre che per interferenza reciproca. Pensiamo al salto di paradigma avvenuto nell’ambito delle scienze della natura grazie alla rivoluzione copernicana, o allo scontro tra scienza e teologia di cui è stato un vero e proprio emblema Galileo Galilei.
Ma pensiamo anche alla tensione ancora viva, negli Stati Uniti, tra creazionisti e evoluzionisti, che scuote non soltanto le diverse Chiese, ma anche il sistema scolastico. Si tratta dunque di un terreno sul quale la riflessione teologica misura la sua specifica singolarità, anche però grazie al confronto con altri approcci teoretici e alla consapevolezza della dimensione storica di ogni conoscenza umana.
La creaturalità è la nostra identità più profonda. Ogni creatura, uomo compreso, è sessuata. Ma solo nel genere umano essa – la sessualità – è trasfigurata dall’amore. Nonostante un “make up” di facciata, per la Chiesa Cattolica il sesso si identifica, tout court, con la procreazione. Perché, secondo lei?
Riparto da quanto accennavo in precedenza. Nel momento in cui usiamo il termine “creaturalità” per profilare l’identità umana, accettiamo di muoverci in un ambito nel quale la riflessione deve prevedere inevitabilmente che il legame con il trascendente sia, appunto, creaturale.
A suo modo la Bibbia, e in particolare i tre racconti di creazione, fanno appunto questo: tentano di articolare, comprendere, definire questo legame e, a partire da esso, comprendere e dare senso a qualsiasi altro legame con il mondo, con gli altri esseri umani e con la loro storia.
Anche la sessuazione, come ogni altra dimensione dell’umano, ha dunque una valenza teologica. Ancor prima di assumere i tratti della relazione amorosa, la sessuazione è stata capita in termini funzionali, cioè come il mezzo senza il quale nessuna specie animata poteva aspirare alla propria sopravvivenza.
Non c’è nulla di perverso in questo. I problemi cominciano nel momento in cui – e non può essere che così – la sessuazione umana diviene una delle dimensioni sulle quali si esercita il controllo sociale e quello religioso. Un controllo che avviene attraverso costruzioni ideologiche e affermazioni di prassi consolidate.
La tradizione cristiana si è sviluppata dentro un groviglio di influssi che l’hanno plasmata ma, spesso, anche paralizzata. Ha assunto alcuni aspetti di culture molto diverse da quella ebraica originaria, già di per sé molto più complessa di quanto pensiamo, ha assorbito dall’incontro con la cultura greca il disprezzo del corpo e le pratiche ascetiche, e dall’impatto con il mondo mediorientale una difficile sintesi tra natura e grazia, e via dicendo, in un secolare susseguirsi di mutazioni di orientamenti e di conflitti per affermare e consolidare il proprio diritto di controllo sulla vita di coloro che entravano a far parte delle diverse Chiese che si andavano insediando in tutto l’Occidente.
Accadrà mai che la Chiesa Cattolica, visti i contributi della psicologia e dell’antropologia, concepisca un “ventaglio creaturale” che includa tutte le manifestazioni della sessualità umana?
Si tratta di una questione ben più complessa di come voi la pensate. Soprattutto, sappiamo ormai molto bene che oggi i confini si spostano in modo molto rapido. È vero che la Chiesa Cattolica sembra immobile nel suo rifiuto della pluralità morfologica della sessualità umana, arroccata nella strenua difesa dell’indifendibile, cioè del sistema binario. Come è vero che è a tutti chiaro che questo arroccamento non consegue soltanto da un’ideologia di tipo religioso, ma è elemento costitutivo anche di sistemi ideologico-politici che se ne servono come baluardo della coesione, cioè del controllo sociale.
Dobbiamo però riflettere sul fatto che il fronte ormai non è più compatto, neppure tra coloro che hanno da tempo acquisito la pluralità come paradigma della sessualità umana. Trans-sessualità e maternità surrogata – tanto per citare solo due punti incandescenti – ci obbligano di nuovo a uscire dall’irenismo un po’ romantico con il quale abbiamo ritenuto di poter sistemare la tensione sesso-genere.
La Chiesa Cattolica si trova perciò atterrita da questioni che sono ancora più complesse di quelle che voi chiamate il “ventaglio creaturale”, dato che prevedono possibilità manipolatorie quanto mai elevate di quanto riguarda la sessualità umana, prima ancora del suo esercizio.
Alcuni adoperano la Bibbia come una sorta di manuale contro le persone LGBT. In che modo, Scrittura alla mano, si può sfatare questo modo di pensare?
Molto cammino al riguardo è stato fatto. L’esegesi contemporanea non consente un tale atteggiamento. Ma vorrei che fosse chiaro che questo prevede che un’organizzazione religiosa faccia qualcosa che è quanto mai difficile da accettare, e cioè l’ammissione di colpa.
Non l’abbiamo fatto fino in fondo neppure sulla guerra, o sul razzismo, o sulla misoginia. Eppure è proprio questa la spinta che fa della teologia una “scienza umana”, la sua capacità di avere un suo passato, di individuarne forza e limiti, di riconoscere i suoi abusi e di andare avanti. Forse, proprio per questo, da quando ho iniziato gli studi teologici, non ho più potuto smettere.
Grazie alla professoressa Perroni per questi preziosi spunti di riflessione. Vi aspettiamo tutti on-line per approfondire questo argomento molto interessante.