Il coraggio di affrontare l’omofobia che è dentro di noi
Riflessioni di Maurizio Mistrali, medico chirurgo-psicoterapeuta
Il tema dell’omofobia interiorizzata è un tema che richiede coraggio per essere affrontato. Il rispetto per se stessi è una virtù civile ed un ottimo strumento d’igiene mentale.
Nelle persone omosessuali è corroso “nelle sue radici” dal senso d’indegnità, dai sensi di colpa, di incapacità prodotti dall’omofobia interiorizzata, che considero un ottimo “apripista” per la depressione.
Ripeto: ci vuole coraggio per “guardare negli angoli bui” delle nostra mente, della nostra vita, il coraggio sereno, positivo che ci vuole anche per vivere.
Non un semplice coraggio culturale, che potremmo chiamare anche “sociale”… insomma il tema non piace, imbarazza, crea disagio.
Ma il coraggio introspettivo è necessario ad una persona adulta, eterosessuale od omosessuale, per entrare in una esplorazione scomoda, spesso non facile … (un legame psicoterapeutico, od essere parte di un gruppo che lavora sui temi dell’autocoscienza e della consapevolezza, della spiritualità… aiuta).
Per guarire dal pregiudizio occorre una scelta CORAGGIOSA : incontrare, cercare, esplorare, le proprie dinamiche più profonde, partendo dalle consce per arrivare alle inconsce. Non è un lavoro impossibile, inaccessibile : spesso lo si è fatto inconsapevolmente leggendo un romanzo di Dostoevskij, Gogol’, Tolstoj, Schiller, Thomas Mann o di Pasolini, ecc….
Lo fa chi affronta su di un piano laico la “meditazione di consapevolezza”, o credente oltrepassa le “frontiere del silenzio” nell’esperienza quotidiana della contemplazione, in quel silenzio (luogo metafisico, e per alcuni teologico) veicolo di un’esperienza di meditazione laica o di preghiera del profondo, si può raggiungere quell’intimo santuario del proprio essere, dove può essere dato d’incontrare il proprio vero Sé.
Col coraggio ci vuole una saggia, forte, serena volontà di cercare con onestà, sapendo guardare in faccia la “voglia” di trovare un risultato rispetto ad un altro che ci piace di meno, riconoscendo quelle motivazioni “spinte” da un bisogno che va riconosciuto, compreso, ma non assecondato. È un lavoro estremamente funzionale alla crescita della nostra LIBERTA’.
La nostra famiglia, la Chiesa, la società agiscono in modo “superegoico” nei confronti di ogni nuovo essere, ed è cosa buona, necessaria, utile…ma in fase infantile: quando un bambino è totalmente dipendete da chi lo accudisce. Ma pian piano al “super ego”della famiglia, della cultura, della religione, si deve sostituire l’IO, al “dovere” il VOLERE, al “senso di colpa”, il SENSO DI RESPONSABILITA’, al “controllo”, la LIBERTA’.
Nella fatica (gioiosa, gratificante, affermativa, liberatoria) di diventare adulti (processo che dura tutta la vita). E’ necessario prendere coscienza, rivisitare, ciò che ci è stato “impresso” nel processo antropopoietico, quando siamo stati “messi in forma”per entrare nel nostro mondo famigliare e culturale.
Per chi è religioso e appartiene al “bacino ebraico-cristiano” può essere utilissimo usare metaforicamente l’esperienza dell’esodo. Il cammino del popolo per incontrare il “Mistero” sul monte Tabor è stato epico e faticoso.
La lotta contro i fantasmi , i rimpianti per la vita di prima, i legami (gli idoli) del passato, il pericolo, il conflitto, la ricerca, l’esplorazione, la forte tentazione verso la normatività, il pensiero quieto e rassicurante “della maggioranza”… rispecchiano le stesse difficoltà sul piano psichico, spirituale, per “salire”all’incontro nella parte più alta della propria coscienza con il proprio Sé.
Nel cammino verso la “terra promessa” di una personalità integrata, equilibrata, è necessario incontrare l’omofobia che ci è stata “veicolata” dentro con l’educazione, e per incontrarla ne va riconosciuta la possibile presenza, va cercata e se possibile individuata.
Ciascuno di noi conosce la fatica che ha fatto per diventare un uomo (un detenuto di un campo di sterminio lasciò una poesia che fu ritrovata: ”morirò domani all’alba, insieme a cento altri, sotto un cielo indifferente e nessuno saprà la mia fatica per diventare un uomo), oltre al tono di angoscia e disperazione, quest’uomo vuole lasciare il suo TESORO, la memoria del suo lavoro per essere un UOMO.
È in questa fatica personalissima , diversa per ogni donna e per ogni uomo, che l’omofobia interiorizzata può essere riconosciuta, accettata e TRASFORMATA, sì trasformata: delle dinamiche umane “non si butta via niente”, questo materiale che ci può stigmatizzare può essere usato come “carburante”(la frustrazione, il disgusto, il disprezzo di se, il senso di fallimento , la disperazione per un futuro felice, sereno, pieno d’amore) vanno viste per quel che sono: interpretazioni che ci sono state imposte.
La vita NON E’ COSI’, (e … non è così il Padre del quale Cristo cerca incessantemente la volontà… non è normativo, esclusivo, non è giudicante “nessuno ti ha condannata?…Va in pace…”,ecc…) ed è possibile uno sviluppo diverso, magari usando pure la rabbia, l’odio per noi stessi o per gli altri, trasformandolo in coscienza, ricerca, lotta CIVILE (non sorprenda se si parla di odio per se, o per quelle strutture civili e religiose omofobe che con astuzia ed aggressività “costruiscono il nemico” manipolando la paura, l’omofobia magari per motivi “interni” additando un “diverso” pericoloso , in agguato … naturalmente lontano da loro stesse: accreditandosi come “buoni” e difensori del bene, virtuosi , retti).
E’ intuitivo come sia importante ed aiuti un gruppo di “pari” in queste dinamiche (scena, a volte scenario, ma sempre contenitore delle dinamiche che accompagnano questo processo).
Una vita migliore è possibile!
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