Il difficile processo del mio coming out
Testimonianza di Nicole* pubblicata sul sito My Kid is Gay (Stati Uniti), liberamente tradotto da Chiara Benelli
Il coming out è un processo. E mi dispiace dovertelo dire, ma non finirà mai. Anche ora, mentre sono in treno e scrivo, mi chiedo se il passeggero che mi siede accanto riesca a vedere cosa scrivo, perché temo il giudizio silenzioso che si cela in quel suo sguardo solenne. Ripenso ancora ai primi anni della mia vita, a quella pagina di diario in cui mi chiedevo se valesse la pena vivere una vita da lesbica, e quelle notti in cui restavo sveglia a piangere per la mia sessualità in perenne evoluzione.
Per me, il coming out è iniziato con mia madre. Il momento in cui per la prima volta ho pensato di essere lesbica è arrivato in prima media, dopo che avevo frequentato un corso tenuto da una bellissima insegnante di inglese, la signorina L. Era splendida, volevo i suoi vestiti, i suoi amici, ma soprattutto: volevo essere sua.
Ma lottavo con me stessa, come d’altra parte faccio ancora qualche volta, e mi ripetevo che era solo una fase. Ero una normalissima ragazzetta che aveva la sua eroina, tutto qui.
Passavano gli anni, e io nel frattempo avevo rinchiuso la mia sessualità in una fortezza inespugnabile al riparo da tutti, me compresa. Non era un’opzione, non avrei mai potuto essere lesbica. Con il passare degli anni, mi sono resa conto che le cose si stavano complicando. Stavo crescendo, e non potevo semplicemente ignorare i sentimenti che avevo in me. Provare a uscire con un ragazzo non era la soluzione. Tutto ciò non faceva che confermare quello che temevo di più: non ero etero, e non lo sarei mai stata.
Quando ho iniziato il liceo, ho deciso che l’unica cosa da poter fare a quel punto era sostenere apertamente la causa LGBTQ+. Non mi sentivo ancora pronta a confessare quel mio profondo e oscuro segreto alla mia famiglia, ai miei amici, ma nemmeno a me stessa. Su cosa invece ho messo fin da subito le cose in chiaro coi miei amici, è stato il mio parere favorevole al matrimonio tra persone dello stesso sesso, e un anno ho avuto addirittura il coraggio di partecipare al Giorno del Silenzio.
In quell’occasione ho parlato di quanto fosse fantastico che Sara Bareilles sostenesse così a gran voce il matrimonio omosessuale. Ogni martedì sera guardavo Glee, e mi assicuravo che i miei amici sapessero quanto stravedessi per i Klaine.
Dopo mesi e mesi di terapia, e molte lunghe conversazioni con mia madre, ho deciso che era giunta l’ora di dirlo anche a mio padre. Dopo una scena particolarmente intensa di Pretty Little Liars, che aveva come protagoniste le Paily (Paige ed Emily) e che affrontava le implicazioni insite nell’occultamento della propria omosessualità, gliel’ho detto. Ma non riuscivo a guardarlo negli occhi; non ero pronta a un confronto di quel genere. Quindi con un cuscino sulla faccia, gli ho detto: “Papà, penso di essere lesbica”.
Fortuna per me, l’ha presa bene. E lo stesso fecero mia sorella, i miei nonni, mia zia e quei pochi amici intimi con cui feci coming out quell’anno. La cosa più difficile per me è stata la mia vulnerabilità: dover chiedere a qualcuno di sedersi per parlargli dei miei sentimenti più profondi è stata una delle cose più spaventose che abbia mai dovuto fare.
A distanza di un paio d’anni, non posso dire che la mia vita sia perfetta. Mi preoccupo ancora della persona che sbircia da sopra la mia spalla sul treno e legge i miei pensieri più intimi. Ma posso dire che il processo di coming out è cambiato molto per me, man mano che crescevo e che acquisivo sempre più sicurezza con la mia sessualità. Invece di chiedere alle persone di sedersi e di dir loro le due parole più terrificanti di tutte – “Sono lesbica”– , ho imparato a dire che lo sono senza necessariamente fare una dichiarazione ufficiale.
Ho detto ai miei amici quanto sia stato fantastico l’ultimo webcast di Everyone Is Gay; mi scuso con gli altri di non potermi sedere con loro a pranzo, perché devo sentire la mia ragazza su Skype. Sono arrivata a un punto in cui posso essere me stessa senza dover dare spiegazioni sulla mia sessualità.
Non fraintendetemi, le cose sono ancora complicate. Ci sono ancora quei famigliari con cui non puoi neanche minimamente immaginare di fare coming out un giorno, quei momenti in cui impazzisci al solo pensiero di avere una futura moglie invece di un futuro marito, e ti fai subito prendere dal panico all’idea di un matrimonio con due spose. Ma mi sono resa conto che nessuno, omosessuale o etero o qualsiasi altro orientamento intermedio che sia, può prevedere il futuro.
Guardandomi indietro, il momento più duro di questo viaggio non è stato mai il giudizio di famiglia e amici. In cuor mio, ero certa che avrebbero sempre sostenuto la mia sessualità, e posso dirmi davvero fortunata per questo. La parte più difficile per me è stata il coming out con me stessa, l’ammissione che sì, mi piacevano le ragazze, e non c’era niente di cui vergognarsi. Avere il sostegno dei miei amici e della mia famiglia non ha risolto immediatamente il problema, ma sicuramente mi ha fatto sentire più a mio agio con la mia identità.
Il coming out è un processo. Non avrà mai fine, ma ti assicuro che con il tempo diventerà sempre più facile. Quindi ti prego, genitore, sii comprensivo e sostieni la comunità LGBTQ, perché così non farai che rendere più facile il cammino di tuo/a figlio/a verso l’autoaccettazione.
* Nicole ha 20 anni ed è una frizzante matricola allo Smith College, dove segue il corso di laurea in studi femminili e di genere e quello in musica, ed è membro attivo del comitato studentesco. Nel tempo libero è facile vederla mentre suona l’ukulele, mentre sviscera i suoi programmi TV preferiti, mentre combatte l’eteronormatività, e mentre fa la fan accanita dei suoi musicisti preferiti. Quest’estate lavorerà nel campo dell’informazione e dell’attivismo LGBT, cosa che spera di continuare a fare perché la comunità queer venga sempre rappresentata in maniera positiva nei media.
Testo originale: Coming Out Doesn’t End, But It Gets Easier