Il Dio dell’arte. Le immagini di Dio
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Articolo di Melania Mazzucco tratto da La Repubblica del 16 novembre 2012, pag.48-49
Oggi si può fare storia di tutto. Paradossalmente, nell’epoca della velocità e dell’istantaneità, del tempo trasparente, la storia domina il nostro modo di comprendere le cose. Si scrive la storia di concetti e di oggetti, di popoli e mentalità, fenomeni naturali o biologici.
Esistono libri che narrano la storia dell’oceano, della latitudine, dell’infanzia, delle malattie – ma anche della noce moscata, del pettine, del clitoride, del tabacco, del riso, della bestemmia e via dicendo.
Nel monumentale Le immagini di Dio, appena pubblicato da Einaudi (584 pagine corredate da una moltitudine di preziose illustrazioni a colori), il domenicano François Boespflug, teologo e docente di storia delle religioni, affronta il tema più affascinante di tutti: la storia iconica di Dio.
Ovvero: come Dio è stato rappresentato nell’Occidente cristiano, dalla morte di Gesù ai nostri giorni – quando si può parlare della “morte estetica” di Dio. E fra queste due morti, ci sono duemila anni di teofanie – di carta e di pietra, di pigmenti e d’oro: perché il Dio trascendente e irrappresentabile dei Cristiani – a differenza del Dio degli Ebrei e del Dio dei Musulmani – ha tollerato di rendersi visibile attraverso l’immagine.
Non da sempre. Il cristianesimo nasce aniconico: è l’eredità del Decalogo («Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo…»). Nei Vangeli Gesù non viene descritto. Non ha volto, né lineamenti. È evanescente al punto che a poche ore dalla morte Maddalena lo scambia per un giardiniere e i suoi discepoli a Emmaus lo riconoscono solo quando spezza il pane.
Nei Vangeli non si parla d’arte, e i primi cristiani sono impegnati piuttosto a distruggere gli idoli dei pagani, adoratori di statue. Ma poi, più di due secoli dopo la morte di Gesù, irresistibilmente, il Dio dei Cristiani è tornato. Nessuno ha concesso l’autorizzazione preventiva. È una trasgressione: un atto di audacia e di libertà, da parte dei committenti, dei fedeli, dei religiosi, degli artisti. Un’esigenza insopprimibile di presenza e vicinanza.
Irresistibilmente, quasi ripetendo lo scandalo dell’incarnazione, Dio risale dalle tombe alle case, dilaga sulle monete, nelle chiese… Prima è solo un taumaturgo, oppure un simbolo (agnello, pesce, mandorla). Ma poi ha avuto un volto, una bocca, capelli e barba, ha avuto le mani, i piedi, le scarpe, un vestito. Ed è iniziata un’epopea nuova, ciò che Boespflug chiama: «l’immenso processo di umanizzazione di Dio».
È un fatto enorme, cui noi occidentali, abituati a convivere con la proliferazione di immagini di una civiltà iconofila, non prestiamo quasi attenzione. Come fosse un evento scontato, e perciò universale e a tutti comprensibile. Non lo è. Una qualche riflessione più seria si è avuta solo dopo i fatti del 2006 – le violenze generate dalle caricature danesi di Maometto.
Ed è anche in nome della conoscenza reciproca e del dialogo interreligioso, e con lo scopo dichiarato di costruire con il sapere la pace, che Boespflug – dopo trentacinque anni di ricerche e numerose pubblicazioni specialistiche – ha voluto concepire quest’opera totale, che «studia, presenta e racconta esordi, trionfo e lento declino di quello che fu il più straordinario soggetto del pensiero e dell’arte».
L’immagine di Dio non è eterna. Essa dipende dagli uomini: è dunque mortale. Ogni generazione ha creato la propria. Il lettore di questo libro labirintico e arduo dovrà essere paziente; dovrà affidarsi alla sua guida, provvista di un’erudizione sconfinata e insieme umile, sempre militante – anche se talvolta troverà sorprendente l’inevitabile selezione (esaustiva la parte riservata al XII secolo e riduttiva quella dedicata a Michelangelo), avare le righe su Reni, Poussin e Tintoretto o ingenerose quelle su Tiepolo.
Scoprirà che lo aspetta un’avventura intellettuale davvero rara in questo tempo “trasparente”. E Boespflugl accompagnerà attraverso i millenni, in un viaggio speleologico nella mente dei teologi, degli iconoclasti e degli eretici e in quella dei “pauperes” – in nome della cui edificazione, dopo il placet di Gregorio Magno, la Chiesa ha finito per accettare e promuovere le immagini di Dio. Un viaggio nella storia ma anche nella geografia: dalle catacombe di Roma alle chiese dell’Armenia, dalla Germania al Portogallo, da Wroclaw a Pamplona, dall’Ungheria fino alle cataratte del Nilo. Attraverso l’arte – in ogni sua forma.
Affreschi e miniature, icone e reliquiari, vetrate, sculture. E in ogni supporto: la tavola dipinta, l’avorio, il marmo, l’alabastro. Fra gli anonimi maestri del romanico e i grandi del Rinascimento, tra opere celebri come la Trinità di Lorenzo Lotto a Bergamo, ma anche meno note – incantevoli come l’Incoronazione della Vergine di Enguerrand Quarton (1454) o sconvolgenti come il Cristo Rosso dell’espressionista Lovis Corinth, pittore “degenerato” per i nazisti.
Immagini-prototipo, che hanno alimentato un’infinità di imitazioni e riproduzioni, e immagini effimere o solitarie, presenti in un unico esemplare, un manoscritto sperduto nella biblioteca di un monastero di provincia, dove nessuno, a parte i monaci, ha mai potuto vederle. Arte colta o popolare, ligia alle prescrizioni dei papi o ignara – indifferente alle guerre, alle pestilenze, alle leggi: la storia iconica non avanza al ritmo dell’attualità.
Così Boespflug ci insegna che alle origini Dio era solo Cristo, e anche la Trinità (il Padre e lo Spirito Santo) aveva il suo volto: la giovinezza è l’Eterno sottratto al tempo. Solo nel Medioevo maturo Dio è divenuto l’Antico di Anni, il Padre barbuto e anziano che ha resistito nelle chiese fino a poco tempo fa. Per diventare sempre più simile agli uomini – stanco, collerico, dolente.
Finché negli ultimi due secoli l’unico Dio possibile è tornato a essere Cristo, e la Crocifissione il solo tema che abbia continuato ad ispirare gli artisti moderni – da Ensor a Picasso, da Chagall a Bacon. Ma ormai non era più questione di Dio: Gesù in croce solo il simbolo della sofferenza dell’umanità. E fra l’arte cristiana e l’arte si è aperto un abisso, forse incolmabile.
Punto d’arrivo di una ricerca durata una vita intera, e ancora aperta, Le immagini di Dio ha un dono raro: è dettato dall’urgenza e dalla necessità. Come credente, Boespflug lo destina in primo luogo ai credenti – perché, senza nostalgia, «lascino che Dio se ne vada» e «in vista della loro capacità di futuro». Ma in verità sono gli altri ad averne bisogno.
François Boespflug, Le immagini di Dio, ed. Einaudi, 2012, 584 pagine