Il Dio d’Israele e il genere, un punto di vista biblico
Riflessioni del rabbino Mark Sameth* pubblicate sul sito del quotidiano New York Times (Stati Uniti) il 12 agosto 2016, liberamente tradotte da Giacomo Tessaro
Negli anni ‘70 una mia cugina di nome Paula Grossman fu una delle prime persone in America a sottoporsi all’intervento di riassegnazione del genere. Sotto il nome di Paul Monroe Grossman mia cugina Paula era stata un’insegnante di musica in New Jersey, molto amata dagli studenti. Dopo l’operazione venne licenziata e in seguito perse la causa che intentò alla scuola per discriminazione sessuale (anche se un tribunale le assegnò una pensione d’invalidità). All’epoca il fatto era su tutti i giornali e mi piace pensare che oggi sarebbe finito in maniera diversa.
Nel 1976 la Corte Suprema negò a Paula il ricorso; quarant’anni dopo la storia transgender si sta ancora facendo. Questo mese uno studente transgender della Virginia ha perso il diritto di utilizzare la toilette dei ragazzi in seguito a un’ordinanza della Corte Suprema che ha bloccato temporaneamente la sentenza del tribunale locale, eppure per la prima volta è possibile immaginare una sentenza della Corte Suprema al gran completo che in maniera articolata metta fuori legge la discriminazione contro le persone transgender. Ci sono ragioni concrete per sperare, anche se i pregiudizi non scompaiono da un giorno all’altro.
Sono un rabbino e mi rattrista molto veder difendere i pregiudizi della società con argomentazioni religiose, come spesso accade nelle discussioni sui diritti transgender. In realtà la Bibbia ebraica, se letta in lingua originale, offre un punto di vista sul genere molto, ma molto elastico: in Genesi 3:12 ci si riferisce ad Eva come a un “lui”; in Genesi 9:21 dopo il diluvio Noè entra nella “sua (di lei) tenda”; Genesi 24:16 si riferisce a Rebecca come a un “giovane uomo”; Genesi 1:27 si riferisce ad Adamo come ad “essi”. È sorprendente, lo so. Ci sono molti altri esempi, ancora più pregnanti: in Ester 2:7 si dice che Mordecai allatta sua nipote Ester; similmente, in Isaia 49:23 si profetizza che i futuri re d’Israele “allatteranno dei re”.
Perché la Bibbia si esprime così? Non sono certo errori di trascrizione. Nel mondo antico l’espressione corretta della fluidità di genere era il segno di una persona civile, una persona considerata più “simile a Dio”. Nelle antiche Mesopotamia ed Egitto gli dèi erano concepiti aventi genere fluido e gli esseri umani erano il loro riflesso. L’ideale israelita dei “re che allattano” sembra basarsi su una persona realmente esistita, una donna di nome Hatshepsut la quale, dopo la morte di suo marito, il faraone Tutmosis II, indossò una barba finta e ascese al trono per diventare uno dei più grandi faraoni d’Egitto. Gli Israeliti presero il tropo transgender dalle culture circostanti e lo introdussero nelle loro Scritture sacre.
Il nome di Dio composto di quattro lettere ebraiche, che gli studiosi chiamano Tetragrammaton (YHWH), probabilmente non veniva pronunciato “Geova” o “Yahweh”, come molti pensano; può darsi che i sacerdoti israeliti leggessero le lettere al contrario come Hu/Hi (in ebraico, i pronomi personali di terza persona singolare maschile e femminile): in altre parole, il nome nascosto di Dio era “Egli/Ella”. Contrariamente a quanto ci hanno fatto credere il Dio di Israele, il Dio delle tre religioni monoteistiche, le religioni abramitiche alle quali oggi appartiene una buona metà della popolazione del pianeta, era concepito dai suoi primi adoratori come una divinità dal doppio genere.
Gli scienziati oggi ci dicono che l’identità di genere, come l’orientamento sessuale, è un continuum: c’è chi è più o meno allineato al genere assegnato alla nascita, chi è allineato con tutti e due o con nessuno dei due, per altri l’allineamento è un processo. Forse risulta sorprendente che gli scienziati considerino il genere come molto lontano da uno schema binario, eppure questa era una verità nota migliaia di anni fa, come possiamo vedere analizzando la letteratura antica.
Nei tribunali, nelle direttive amministrative e nella cultura popolare questa è una questione che si sta svolgendo in tempo reale, di fronte ai nostri occhi, ma dietro al dramma giudiziario in fieri sta la realtà della natura umana: il genere non è e non è mai stato un “aut/aut”. Il genere, come avrebbe forse detto mia cugina Paula, è più simile alla musica: ognuno e ognuna di noi ha una chiave e un registro con cui si sente più a suo agio. Se siamo in sintonia con noi stessi e reciprocamente, possiamo trovare la felicità e l’armonia.
* Mark Sameth è rabbino a New York e sta scrivendo la storia del Tetragrammaton.
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Testo originale: Is God Transgender?