Il Dio “perverso”
Articolo di Élodie Maurot pubblicato sul sito La Croix (Francia) il 12 Luglio 2018, libera traduzione di finesettimana.org.
“Maurice Bellet ha tirato fuori dal pantano tanti cristiani prigionieri del ‘Dio perverso’ ed è stato un faro sul cammino di molti (…). Disturbava, certo, ma aveva visto giusto. Il suo pensiero ci reinseriva in una spiritualità viva radicata nel reale”.
Questo omaggio di una lettrice di La Croix, giunto in redazione alcuni giorni dopo la morte del teologo e psicanalista Maurice Bellet, il 5 aprile 2018, ricorda quanto il libro “Le Dieu pervers” sia stato importante per tutta una generazione di cattolici. Pubblicato la prima volta nel 1979, più volte ristampato, ma da tempo esaurito, questo libro torna oggi in versione tascabile edito da Desclée de Brouwer.
Divenuto un classico – al punto che l’espressione “Dio perverso” è diventata di uso comune – , il testo era stato scritto per rispondere “alle parole terribili, provenienti da persone credenti e devote che davano del cristianesimo un’immagine insostenibile di crudeltà e di menzogna”. Prete e psicanalista, abituato a ricevere confessioni e confidenze in cui l’amore-odio di Dio poteva esprimersi senza tabù, Maurice Bellet fu il testimone dell’“imprigionamento” psichico e spirituale di tanti cattolici.
Lì nasce quel libro dal titolo graffiante – “formula provocatoria, eccessiva. Oso proporla per ciò a cui fa pensare” – nel quale il teologo si interroga sul modo in cui il “Dio amore” ha potuto trasformarsi in un Dio “che non ama, che inquieta, perseguita, colpevolizza, domina”. Un Dio che confisca la potenza della vita che ha donato. Un Dio “che ama tanto da esigere tutto, che vuole per sé ogni nostro desiderio, che distrugge tutto ciò che avrebbe costituito la nostra gioia troppo umana”.
Da dove arriva questa grande disgrazia? Maurice Bellet parla di un “sistema dottrinale e disciplinare”, precisando però che si tratta “meno di un apparato bloccato quanto di un processo che continua a bloccare la vita”.
Un sistema in cui la morale imposta a tutti è come “ossessionata dalla nostalgia della perfezione” attribuita alla vita religiosa consacrata. Un sistema associato alla colpevolizzazione della sessualità, che pure è un dono di Dio alla sua creatura, “ma tutto era come se Dio odiasse, condannasse in linea di principio questa realtà che è nostra e il desiderio che vi è legato”.
Questa religione della paura è davvero superata? Maurice Bellet non lo pensava. “Credo che l’origine sia troppo profonda perché tale male si dissolva facilmente”, sottolineava. Lucidamente, si esprimeva sulle conseguenze ancora vive di questo male, presenti “in un risentimento contro la Chiesa e Cristo stesso (…), e di cui spesso i cristiani non vedono l’ampiezza, nella troppo frequente impotenza della parola di fe
de”.
Tuttavia, Maurice Bellet credeva nella possibilità di decostruire il Dio perverso, di far vedere “l’altra faccia dell’altra faccia”: “Se il Dio amore può trasformarsi, convertirsi in Dio perverso, è anche possibile che questo Dio-mostro appaia come l’Amore snaturato, sfigurato e che, nel liberarsi da questa orribile inversione, appaia in una nuova chiarezza, in qualche modo folgorante, la verità dell’amore”.
Lo scrittore Jean Sullivan vedeva in Maurice Bellet un “Nietzsche cristiano”: “Sa tutto ciò che sa Nietzsche e qualcosa in più, un ‘quasi niente’ che cambia il senso del tutto”, scriveva. Quel “qualcosa” era una parola data che apre alla vita. “Perché possa dissolvere e vincere la forza di morte di cui il ‘Dio perverso’ è l’immagine opprimente, bisogna che essa parli con la potenza massima. Una parola che dice: puoi vivere”. Per Maurice Bellet, questa era la voce di Cristo nei Vangeli.
Maurice Bellet, Le Dieu pervers, éd. DDB.
Testo originale: «Le Dieu pervers» de Maurice Bellet